MICHELA MURGIA - AVE MARY, Einaudi, Torino 2011, pagg. 159, € 16

 Tertulliano nel suo «de cultu feminarum» dice: «ogni donna dovrebbe camminare come Eva nel lutto e nella penitenza. Di modo che con la veste della penitenza essa possa espiare pienamente ciò che le deriva da Eva, l’ignominia, io dico, del primo peccato, e l’odio insito in lei, causa della perdizione umana. Non sai che anche tu sei Eva? La condanna di Dio verso il tuo sesso permane ancora oggi; la tua colpa rimane ancora. Tu sei la porta del Demonio! Tu hai mangiato dell’albero proibito...»! penso sia nata dalla dotta lettura di questo apologeta vissuto fra il II e il III secolo l’urgenza di scrivere questo saggio che la Murgia definisce conversazione.

Il titolo «pop», un po’ irriverente, cerca e ci riesce a riportare al 21°  secolo la condizione della donna all’interno soprattutto della tradizione ecclesiastica ma non ultimo fra la società dei benpensanti che criticamente e dorse geneticamente, ha fatto propria questa spaventosa discettazione Tertullianesca.

Se pure riprende il saluto dell’Angelo alla Vergine, non è un libro sulla Madonna ma una disanima ironica a volte, divertente, cruda ma fondamentalmente vera della scomoda posizione che «l’altra parte del cielo (+ una)» ha collocato all’interno della storia di sempre, anche sì, di quella attuale.

C’è, in questa bravissima scrittrice sarda, indimenticabile il suo Accabadora, una sorprendente e illuminante capacità di leggere la Teologia con un taglio assolutamente nuovo e disincantato; la bravura di cogliere fino al midollo l’intrinseca lettura della posizione della tradizione ecclesiastica ufficiale davanti alle figure anche storiche, recenti o passate, dalle sante aureolate alle giovani vergini immolatesi sull’altare della loro virtù. C’è insomma il divertimento di ritrovare nelle e fra le righe, la nostra storia ma soprattutto da lasciarci affascinare dal taglio assolutamente nuovo e spiazzante del quale l’Autrice afferma: «... non è un libro sulla Madonna ma sulle donne... che non comprenderebbero il linguaggio dei saggi accademici ma che comunque patiscono le conseguenze di una educazione cattolica assimilata fin dall’infanzia».