Noi Siamo Chiesa (a cura di), Eucarestia senza prete?, Edizioni La Meridiana, Molfetta 2009, pagg. 124, € 13,00.

Franco Barbero

 

Il volumetto riporta “il rapporto dei domenicani olandesi: un dibattito” e le prime reazioni ufficiali cattoliche. Se l’interrogativo nasce dalla persistente scarsità di preti “ordinati”, la questione è decisamente più ampia e rilevante.

A mio avviso, va affermata la piena legittimità della domanda posta. Infatti le comunità delle origini o/e Gesù non ci trasmettono altra esortazione se non: “fate questo in memoria di me”.

Tutta l’organizzazione del cammino comunitario è soggetta alla creatività e alla responsabilità dei fratelli e delle sorelle. L’imperativo, se posso dire così, è limitato al “celebrare l’eucarestia” (e soprattutto a viverla, ovviamente). Ma tutti - ripeto tutti - i problemi connessi al “modo” sono decisi dalla comunità in un umile ed audace confronto interecclesiale. Nella storia sono comparse tante legittime domande, tante risposte e tante modalità celebrative: “E’ necessario che ci sia una presidenza? Se si ritiene necessaria, a chi tocca?”.

Spesso è sembrato opportuno che sia il pastore, altre volte si è ritenuto che sia possibile una presidenza affidata a persone - uomini o donne - di fede e di preparazione riconosciute dalla comunità. La chiesa romana ha vincolato la “validità” dell’eucarestia alla presenza e alla presidenza del “sacerdote” stabilendo che la presidenza è necessaria e deve “appartenere” al sacerdote.

 

UN CAMMINO CONDIVISO

Voglio esprimere un cammino che mi sembra ora ben acquisito da tanti cristiani, anche cattolici. I ministri della comunità devono essere o scelti/e o riconosciuti/e dalla comunità stessa. Ove e quando esiste e sia presente un pastore può essere opportuna (non necessaria, non dogmaticamente necessaria) la sua presidenza. Ma la sua assenza non può privare la comunità del dono dell’eucarestia.

Non si tratta, secondo questa prospettiva, di affidare troppo semplicisticamente ad ogni comunità il compito di risolvere questi problemi, ma di richiedere e favorire il confronto, il dialogo tra posizioni diverse, di non impedire né la ricerca, né il dibattito, né l’esperimentazione di strade nuove. E’ funesto il diktat vaticano che blocca ogni tentativo di vie nuove. E’ tempo di uscire da queste “regole liturgiche assolute” che sequestrano l’eucarestia e la sottraggono alla responsabilità comunitaria. Senza questo “laboratorio” le comunità restano soggette ad una struttura sacrale e piramidale che non ha nulla di pastorale, ma riafferma il dominio e la mediazione sacerdotale

 

 

LE REAZIONI UFFICIALI

Le reazioni della Curia dell’Ordine, dei vescovi olandesi e del teologo ufficiale padre Hervé Legrand sono state penose, infondate, grossolane, succubi della tradizione letta in chiave tradizionalista, senza la minima capacità di percepire lo spessore evangelico ed ecclesiale delle questioni sollevate.

 

Voglio chiudere con alcune osservazioni:

1) Questa enfasi sul problema della presidenza ci espone al rischio di perdere di vista il centro che è il dono dell’eucarestia, ciò che esso significa e comporta per la nostra vita di uomini e donne. Senza questa riflessione continua e profonda, il rito degenera in ritualismo. Ogni problema connesso alla presidenza è soggetto a soluzioni diverse. Quale è più utile, opportuna e feconda?

2) Chi, come la gerarchia cattolica, tenta di bloccare queste ricerche e di tracciare dei confini, si carica della responsabilità di imbrigliare il soffio dello Spirito che anima molti credenti che sentono l’urgenza di nuove vie, di nuove scelte. Questi credenti vanno incoraggiati, non emarginati o esclusi.

3) Una vera comprensione pastorale, non sacerdotale, del ministero del prete non può relegarlo nel ruolo liturgico. Il ministero pastorale è soprattutto la predicazione dell’evangelo, l’animazione, l’ascolto, l’accompagnamento della comunità. Oggi, in verità, moltissimi preti non sono pastori di una comunità, ma dei liturghi che passano da un eucarestia ad un’altra, da un sacramento all’altro. Questa è una deviazione ed uno svuotamento del ministero pastorale stesso.

4) Credo che lo stesso dialogo sia da ricomprendere. Da una parte le decisioni rilevanti vanno assunte “coram ecclesia”, cioè nel necessario confronto, ma dall’altra esse non possono essere impedite. Le comunità forse debbono saper anche disobbedire senza pensare che, con questo atto, si rompa la comunione ecclesiale come comunione nella fede.

5) Senza una nuova e condivisa ministerialità, le parrocchie, i centri di fede, le varie esperienze comunitarie cadono nel rischio di diventare congreghe di persone immature che non assumono realmente la corresponsabilità della propria vita di fede. Comunità e corresponsabilità. Diversamente la chiesa si riempie di burocrati e di funzionari e di pecore obbedienti.

6) A fine lettura si rimane piuttosto sconcertati dalla riaffermazione rigida della prassi liturgica vigente. Non è forse una conseguenza di una concezione legata al potere e alla paura? Certo, un “ordine” sembra più che necessario anche nella celebrazione eucaristica, ma questo ordine può essere realizzato con modalità diverse, secondo le situazioni, i contesti, le persone. Non è necessario stabilire alcun modello da applicare ovunque e per sempre. A questo punto ogni comunità potrà, dentro il suo percorso a tappe, nel tempo e con il variare e il crescere della consapevolezza e della corresponsabilità, assumere decisioni diverse nell’ottica della “provvisorietà”. In sostanza si tratta di valutare quali modalità sono più maturanti sul piano umano e sul piano evangelico.