"NON È PECCATO FRA "PADRE" E "FIGLIO"": CATECHESI E ABUSI DI MONS. STORNI

DOC 1266. BUENOS AIRES-ADISTA. Se ne riparla ora, sempre sottovoce perché il personaggio è influente, ma il caso è esploso la prima volta nel 1994. Risale a quell'anno infatti la decisione presa in Vaticano di aprire un'indagine su mons. Edgardo Gabriel Storni, arcivescovo di Santa Fé, oggi 67enne, accusato di abusi sessuali su almeno 45 dei giovani alunni del seminario locale da lui diretto. Oggi è tornato in auge grazie al libro denuncia della scrittrice e giornalista argentina Olga Wornat, "Nostra Santa Madre" (Ediciones B) presentato in agosto a Buenos Aires durante la Festa del libro.
Nel capitolo "il Principe e il pastore", la scrittrice denuncia che "i gravi fatti sugli abusi sessuali che coinvolgono l'arcivescovo di Santa Fé, rivelati da un'indagine realizzata anni fa da mons. José María Arancibia, sono stati messi a tacere e nascosti dalla gerarchia ecclesiastica argentina e persino dal Vaticano".
Il libro della Wornat si basa sulle circa cinquanta testimonianze dei giovani seminaristi e laici che frequentavano il seminario, raccolte da mons. Arancibia nel '94, a cui la scrittrice ha avuto accesso anni dopo, corredate da altre dichiarazioni e accuse raccolte direttamente dalla scrittrice tra ragazzi e adulti che hanno avuto a che fare con l'arcivescovo. "Mi hanno raccontato piangendo cose orribili", ha dichiarato la Wornat, per le quali "ho provato rabbia e vergogna"; ma, ancor di più, "mi ha sorpreso il fatto che qui, a Santa Fé, tutti lo sapessero".
Per l'indagine, Arancibia aveva stabilito il suo quartier generale nell'abitazione di mons. Estanislao Karlic, allora arcivescovo di Paraná ad Entre Ríos, dove tutti questi ragazzi andavano, all'insaputa di mons. Storni, e raccontavano delle violenze fisiche e psicologiche cui l'arcivescovo li sottoponeva.
Il materiale raccolto, più abbondante di ogni previsione, racconta la scrittrice venne consegnato in Vaticano, alla Congregazione per i Vescovi, dove sparì senza nessuna conseguenza per mons. Storni che è rimasto al suo posto fino al 6 settembre scorso, quando, all'incontro con il papa che l'ha ricevuto a Castelgandolfo, non ha fatto seguito il suo ritorno in Argentina (v. notizie sul numero blu allegato).
Di seguito il resoconto della violenza subìta da un giovane seminarista e quello dell'indagine condotta da mons. Arancibia estrapolati dal capitolo "Il principe e il pastore" (i titoletti sono redazionali).


IL PRINCIPE E IL PASTORE
di Olga Wornat
(brani tratti dal Capitolo 9)

"Questo non è peccato, figlio"
"Era notte. Lo chiamarono al dormitorio principale. Il ragazzo credeva che dovesse svolgere qualcuno dei suoi compiti giornalieri. Entrato nell'abitazione appena illuminata da due lumi in bronzo, una strana sensazione di intimità gli inondò il corpo e se ne sentì turbato. Cercò di non pensare e obbedì agli ordini del suo superiore: lo aiutò a spogliarsi. Lo fece con pudore, credendo però che fosse qualcosa di normale nel seminario e che doveva adeguarsi alle norme di quel posto dove era giunto solo tre giorni prima. Tremando di fronte al corpo del sessantenne, gli tolse un capo dopo l'altro… Quando finì, vide cadere il corpo flaccido dell'arcivescovo sul letto, la sua nudità coperta appena da un asciugamano. Il ragazzo credette di aver terminato così il suo compito e si preparava a ritirarsi, ma si sbagliava. Buttato sul letto a due piazze con testiera di bronzo, il monsignore lo chiamò con tono insinuante e gli chiese che lo massaggiasse. Sempre più nervoso, ma mosso dalla paura e dal rispetto che gli infondeva la figura, il seminarista appoggiò le sue mani sulla pelle pallida, rosata e floscia e cominciò a frizionarlo. Ai massaggi seguì la nudità completa e la richiesta che gli si coricasse a lato e che gli accarezzasse tutto il corpo e soprattutto i genitali.
Confuso, turbato, spaventato, il ragazzino da poco giunto dalla campagna, figlio di una famiglia umile, ubbidiva e ascoltava le parole serene e moderate che lo incoraggiavano:
'Questo non è peccato, figlio, io sono monsignor Storni, un padre per tutti voi seminaristi. Dobbiamo condividere il nostro amore. Dio guarda con benevolenza questa manifestazione d'amore fra due uomini, fra un padre e un figlio. Egli ci appoggia dal Cielo'.
Quando terminarono, il ragazzo uscì turbato dal dormitorio episcopale e si chiuse nel suo. Un compagno lo vide mal messo, gli chiese se poteva aiutarlo e il ragazzo gli raccontò piangendo quello che era successo. Quel compagno ero io".
Con una indescrivibile smorfia di dolore, vergogna e schifo, un ex seminarista di Santa Fé mi ha riferito così l'esperienza della confessione di quel ragazzo di campagna. Da quel momento, la fonte diventò un orecchio privilegiato per quel ragazzo, e dopo per tanti altri: potevano così vomitare il dolore e la confusione di quegli abusi 'incestuosi' nei quali si trovavano coinvolti, sedotti e costretti dal religioso più importante degli ultimi diciassette anni dell'arcidiocesi di Santa Fé. (…).

Il coraggio di denunciare la verità
"Io - continua l'ex seminarista - avevo sentito, come tutti in città, voci su una certa inclinazione omosessuale del vescovo e del suo circolo intimo di sacerdoti, ma mai pensavo che mons. Storni fosse così dedito all'abuso. (…). Avevo una seria vocazione e facilità per gli studi. Ho sofferto molto per quello che succedeva là dentro. Molte volte ho visto che l'arcivescovo chiamava nel suo dormitorio qualche seminarista - cercava sempre quelli che avevano problemi con i genitori o erano orfani. (…). Lui si mostrava nudo nella sua abitazione. Dopo venivano le pressioni per fare sesso e gli abusi concreti. I compagni mi raccontavano dettagli da rabbrividire. (…). C'erano ragazzi che arrivavano al seminario intorno ai 17 anni, dall'interno della provincia, con molto poca o nessuna esperienza sessuale. Erano questi quelli che il vescovo seduceva: gli diceva che era loro 'padre', che avere rapporti sessuali con lui non era peccato, li confondeva moltissimo. Dopo, questi giovani avrebbero avuto una buona sistemazione, il vescovo prometteva loro una buona parrocchia dopo l'ordinazione, li comprava in cambio di sesso. Io non ho mai condannato le azioni personali, non mi preoccupava allora e non mi preoccupa ora l'omosessualità manifesta del vertice della curia della mia provincia; quello che mi sembra aberrante è l'abuso di potere e la manipolazione delle coscienze. Questo copre di fango e di vergogna la nostra Chiesa che io, come cattolico, amo e difendo". (…).
Non è difficile capire, dopo aver ascoltato questa fonte, il grande dolore e la profonda rabbia che sente di fronte all'impunità del potere che dal 1984 governa la Chiesa di Santa Fé e che, sembra, si perpetuerà malgrado le gravissime denunce e i procedimenti avviati per ordine del Vaticano.
L'arcivescovo è un uomo molto potente nella struttura religiosa e politica della zona. La sua vita è molto distante dagli insegnamenti del Vangelo, e questi comportamenti, noti fino alla nausea agli abitanti della città, hanno allontanato molti fedeli dalla Chiesa. Conservatore e reazionario a oltranza, Storni fu amico dei militari della dittatura, con i quali pranzava molto spesso e con i quali - si dice - condivideva la lotta contro "il comunismo ateo", come dimostra l'affermazione della sua omelia del 25 maggio 1995 (all'epo-ca in cui i vescovi argentini discutevano l'ipotesi, poi concretizzatasi in un documento, che la Chiesa chiedesse perdono per il silenzio mantenuto durante la dittatura, ndt): "La Chiesa non ha bisogno di fare nessun esame di coscienza e ancor meno di chiedere perdono alla società argentina".

Il bavaglino sporco dell'arcivescovo
Le testimonianze dei giovani che affluivano all'arcidiocesi di Santa Fé sono molto dettagliate sui costumi privati del monsignore.
Sebbene sia molto accurato, monsignor Storni mangia con gola. A prova di questo peccato capitale ci sono i suoi tovaglioli. In un attaccapanni del seminario, sono appesi, ognuno con un proprio numero, i tovaglioli di ogni seminarista, ma quello dell'arcivescovo si distingue a distanza per dimensione e disegno speciale. Si tratta di un enorme panno con elastico al collo, in tutto simile al bavaglino che usano i bebè, e che un seminarista a turno, prima di ogni pranzo e a conclusione della preghiera, fa passare molto religiosamente intorno alla testa del vescovo. Il bavaglino (in realtà ne possiede due) viene lavato dopo ogni pasto perché rimane macchiato come quello di un bambino. È che l'arcivescovo mangia con tutta la disinibizione e l'ansia di un bambino o, se si vuole, con la libertà e la gola di Enrico VIII.
Se, oltre alle persecuzioni, c'è qualcosa che i seminaristi ricordano del loro passaggio nell'arcidiocesi di Santa Fé, sono i rumori emessi dal movimento della sua mandibola, delle sua labbra e della sua lingua assaporando il cibo. Nulla gli importava delle sghignazzate dei suoi occasionali compagni di tavola. Tutti dovevano abituarsi al fatto che l'arcivescovo "mangia veloce e si sporca come un maiale", secondo quanto affermano unanimemente i sacerdoti.
Forse la sua compulsione ha a che vedere con l'ernia iatale che lo affligge da molti anni. Questa malattia lo costringe ad una dieta stretta, che la cuoca controlla burberamente, ma dalla quale mons. Storni si discosta tutte le volte che può, con la furberia e l'ansia di un bambino che sa che sta facendo qualcosa di male però ne è attratto. Il suo menu da sempre include pesce e altro cibo assolutamente sano, ma in grande quantità e presentato con la stessa opulenza con cui egli si amministra in ogni campo. Sebbene scondito e poco elaborato, il suo pranzo è sempre stato oggetto di una certa invidia da parte dei seminaristi, obbligati a un menu molto più scarso e meno appariscente. (…).

Il Vaticano sapeva
Fu nel maggio del 1994 che, di fronte a tanto scandalo e tante dicerie, il Vaticano ordinò di indagare sulla condotta sessuale di mons. Edgardo Gabriel Storni. Allora era già una decina d'anni che era stato nominato pastore di Santa Fé, su suggerimento del nunzio apostolico, Ubaldo Calabresi, di cui era intimo amico.
Venne incaricato delle indagini il prestigioso arcivescovo di Mendoza, José Pepe Arancibia, che realizzò un compito che andò ben al di là del Codice di Diritto Canonico: insediatosi nella casa particolare dell'arcivescovo di Paranà, ad Entre Ríos, Estanislao Karlic (attuale presidente della Conferenza episcopale argentina), intervistò in tutto 47 persone, la maggioranza seminaristi, che all'insaputa di Storni si recavano a Paranà per testimoniare. L'indagine ebbe termine nel dicembre di quell'anno e la pratica venne spedita a Roma.
Il 22 dicembre, il giornale della sera di Santa Fé El Litoral si faceva eco, sebbene in forma cauta, di quello che aveva pubblicato quella stessa mattina il quotidiano Rosario 12 che, citando fonti inattaccabili, aveva rivelato dettagli dell'indagine.
Il Litoral riferiva che, secondo Rosario 12, le denunce "sarebbero arrivate direttamente a Roma senza che i vescovi argentini ne venissero a conoscenza, e per questo motivo venne ordinata l'indagine". Con il titolo "Indagato?", l'articolo sosteneva che "l'arcivescovo di Santa Fé continuerebbe ad essere indagato per questioni che riguardano la sua attività personale e riguarderebbero lo svolgimento del suo lavoro pastorale".
"Rosario 12 indica mons. José María Arancibia come il delegato e l'incaricato principale dell'indagine, per la quale ha incontrato quasi cinquanta persone tra sacerdoti, seminaristi, psicologi e laici, che ruotavano intorno al seminario dell'arcidiocesi.
Si segnala anche che un giudice federale della provincia avrebbe rilasciato una dichiarazione al segretario generale dell'episcopato. Consultati da questo giornale, sia il giudice Raúl de la Fontana sia il dottor Víctor Bruzza hanno negato di aver preso parte o essere venuti a conoscenza del procedimento.
L'indagato principale, mons. Storni, consultato da El Litoral, ha negato di essere a conoscenza di un procedimento di questo tipo, così come delle cause che lo avrebbero motivato.
Storni, senza mostrarsi particolarmente colpito da un simile scandalo, ha precisato: 'sono sorpreso, non sapevo dell'indagine e della denuncia che l'ha causata, ma le porte dell'arcivescovado sono aperte ed io mi metto a disposizione per l'indagine'. Mons. Arancibia non ha confermato, né ricusato quanto pubblicato nel periodico".

I vescovi amici

La città divenne un brulichio di rumori, commenti scandalizzati e poche certezze. In differenti luoghi dell'arcidiocesi, tanto i fedeli che parte del clero speravano che, di fronte a un simile scandalo, Storni si facesse da parte. O che la stessa Chiesa lo destinasse ad un'altra onorevole missione, possibilmente fuori del Paese, ma non successe nulla di tutto questo. Nell'anno 2001, corse voce a Santa Fé che l'arcivescovo aveva già un posto garantito nella biblioteca vaticana, ma che la sua partenza non si concretizzava perché sua madre, Blanca, era molto anziana e malata e il figlio non voleva lasciarla sola.
Durante l'indagine, gli unici che a Santa Fé firmarono un documento di sostegno a Storni furono quelli del suo entourage, alcuni consiglieri e gruppi laicali, e la locale Cgt (Conferenza Generale del lavoro). Curiosamente, in varie dichiarazioni ottenute e pubblicate dal quotidiano El Litoral, sono comparsi nomi di persone che poi hanno smentito di aver firmato quel documento, o di essere stati consultati per essere inclusi in una qualsiasi lista di sostegno.
Il membro della gerarchia ecclesiastica che in quei giorni lo appoggiò maggiormente - in modo incomprensibile a molti - fu l'attuale vescovo di Santiago del Estero, mons. Juan Carlos Maccarone, allora vescovo titolare di Mauriana, ausiliare di Lomas de Zamora e presidente della Commissione di Educazione e Cultura dell'episcopato. Il 28 dicembre del 1994, El Litoral ha pubblicato tra le altre dichiarazioni di personalità della provincia e della città, quella di mons. Maccarone: "Sono costernato per il danno inflitto all'arcivescovo di Santa Fé. Sono qui solo per appoggiare l'arcivescovo Storni in questo momento in cui deve mandar giù il boccone amaro della diffamazione", ha detto, aggiungendo inoltre che "ignorava" chi avesse fatto la denuncia a causa della quale era indagato.
Il quotidiano El Litoral ha considerato:
"In conseguenza degli ultimi fatti noti, mons. Maccarone è giunto ieri in città ed ha avuto un incontro con mons. Storni, durante il quale gli ha dato segnali di incoraggiamento non solo personali, ma di alti esponenti della Chiesa.
"Maccarone ha segnalato: 'essendo stato ospitato nei giorni della Convenzione Costituente come rappresentante dell'episcopato, mi sono reso conto non solo del suo sano zelo pastorale, ma della vitalità di una Chiesa di servizio, impegnata nelle linee pastorali che abbracciano tutte le dimensioni della carità. Non smetto di esprimere la mia costernazione per il danno inferto al pastore e alla comunità diocesana. Prego perché il perdono raggiunga la fragilità di quelli che hanno prodotto tanto danno, le crepe di una pretesa diffamazione si trasformeranno senza dubbio nella roccia delle verità'".

I sacerdoti nemici
Al vecchio sacerdote che aveva affrontato l'arcivescovo (questo sacerdote, che l'autrice precedentemente definisce come "prestigioso sacerdote della vecchia scuola che preferisce tacere il proprio nome", aveva inviato una lettera a Storni in cui lo informava di essere a conoscenza di quanto succedeva in seminario e lo invitava a desistere, ndt), come a molti di quelli che hanno testimoniato a Paranà contro Storni, le cose non sono andate troppo bene. Dopo un certo tempo, mi ha ricevuto e mi ha raccontato:
"Nella mia parrocchia c'è molta attività giovanile, e così come il ragazzo vittima di Storni - che era uno dei miei pupilli, e per questo l'ho difeso non solo a livello pastorale ma anche personale - altre vocazioni si sono indirizzate verso il seminario dalla nostra comunità. Dopo lo scandalo, un giorno è venuto a trovarmi Diego, un ragazzo che era entrato nel seminario di recente, molto addolorato perché lo avevano cacciato. Gli chiesi perché e mi rispose che non lo sapeva. Allora andai alla Curia per approfondire la cosa, ho parlato con padre Santiago Copello e mi ha detto che lui non era al corrente di quello che succedeva nel seminario. Allora ho parlato con p. Grassi, e mi ha risposto che non ne sapeva nulla. Infine sono andato a parlare con Mauti, il direttore del seminario, e mi ha risposto in maniera ambigua, senza segnalarmi un motivo preciso per l'espulsione. Ero molto preoccupato e addolorato. Però dopo l'indifferenza con cui mi avevano trattato e l'inconsistenza degli argomenti, mi sono reso conto che il problema di Diego era di aver fatto parte della mia comunità ed essere tra i miei raccomandati".

Il silenzio che umilia le vittime
Tutte le testimonianze che mons. Arancibia raccolse abbondantemente furono inviate al Vaticano, attraverso la Nunziatura. Fino ad oggi non si sa di nessuna decisione papale rispetto all'indagine. Quelli che vi sono coinvolti, dai seminaristi ai sacerdoti, sono apparsi profondamente delusi dal silenzio delle autorità religiose. "Ognuno di noi ha esposto ad Arancibia tutti gli orrori vissuti in seminario. C'erano ragazzini che gli hanno raccontato cose umilianti, schifose e che facevano riaffiorare ricordi dolorosi. Arancibia fu molto comprensivo e disponibile. Ci diceva: 'non abbiate paura ragazzi, ho ascoltato cose peggiori' e ci incoraggiava a parlare. Certo sia noi che i sacerdoti rischiavamo molto, visto che vivevamo a Santa Fé. Ma lo facemmo convinti che ne valesse la pena, che sarebbe servito per evitare futuri abusi di Storni. Un giorno Arancibia si congedò e non sapemmo più nulla né di lui né di quello che gli avevamo raccontato. Sicuramente la gravità del caso trascese le sue competenze e non poté far nulla. Però - confessò un seminarista - dal punto di vista umano meritavamo una risposta".
Un alto funzionario della Chiesa ha assicurato che l'indagine su Storni è giunto a Roma e lì è rimasta. Al punto che l'arcivescovo Storni andò in Vaticano, vi rimase quindici giorni, passeggiò, incontrò i suoi amici e ritornò indietro come se nulla fosse successo. Quali spiegazioni diede e a chi continua ad essere un mistero.

La doppia morale di mons. Storni
Il 25 giungo del 2000, durante la processione del Corpus Christi, Storni ebbe la sfrontatezza di fare un lungo discorso moralista sulla sessualità umana e la salute riproduttiva. I paragrafi più salienti della sua allocuzione, in cui si riferisce a questo tema, furono i seguenti:
"(…) Questo ventesimo secolo che finisce si proietta nel prossimo futuro come il secolo delle maggiori stragi tra gli uomini. La storia testimonia guerre, genocidi, stermini, terrorismo, oppressioni, persino lo sfruttamento dei bambini, crimini di ogni tipo, che sono andati coprendo l'intera geografia del pianeta, abbracciando i più diversi popoli, gruppi e livelli di umanità.
Però è giunto al colmo con gli aperti, promossi e pianificati attentati contro la vita innocente e indifesa. A partire da una mentalità materialista, non si esita a promuovere pratiche contro la natalità e per l'eutanasia, fino a soffocare violentemente le fonti della vita. Di più! Ad eliminare senza alcuno scrupolo la vita concepita, così come la vita al tramonto; ossia a eliminare l'uomo. Ucciderlo. E questo è giunto fino a noi, inserendosi fra noi.
La campagna internazionale organizzata sotto gli eufemismi (che gergo!) di "genere, salute riproduttiva, diritti della donna, pianificazione familiare" - che nasconde e alimenta la pratica dell'aborto - è già riuscita ad irrompere nell'ordinamento giuridico argentino, violando quanto stabilito nella Costituzione nazionale.
Così si dà il via al genocidio senza limiti, il peggiore di quelli conosciuti. Perché molti che si stracciano le vesti di fronte ai crimini di Hitler o di Stalin, sono invischiati nella stessa mostruosa linea di pensiero e azione. Con una arroganza nelle loro affermazioni pseudoscientifiche e nelle falsità statistiche, e un'immoralità nelle loro strategie operative che ripugna a qualsiasi coscienza elementarmente formata.
Questi crimini diventano più gravi perché le loro prime vittime sono le persone innocenti e indifese. E perché si commettono invocando diritti, pretesi diritti, che calpestano tutti gli autentici diritti umani, perché negano il primo e fondamentale: il diritto alla vita. Senza di cui non c'è soggetto alcuno di qualsiasi altro diritto.
Addolora anche questo traviamento fatale, perché con la legalizzazione di simili pratiche, si snatura il potere e si attacca il popolo al cui servizio stanno le funzioni pubbliche.
Talvolta, i suoi autori si appellano alla democrazia, mentre vanno direttamente contro di essa, andando contro il popolo, perché lo sviliscono e lo distruggono; portando a zero la natalità; provocando - intenzionalmente e nei fatti - la promiscuità sessuale, il vizio degradante, senza alcun limite, neppure quello dell'età.
L'inganno è totale quando si pretende di fare di ogni legittima opposizione a tal mostruosità una questione di religione, rimettendola - come ricorso indebito - al piano della fede, quando la questione è posta dalla stessa ragione a partire dalla verità, data la natura umana anteriore all'uomo stesso, e come esigenza della morale naturale che grida dal profondo della coscienza: 'non ucciderai!'".
Cosa spinge tanti argentini e soprattutto tanti rappresentanti del popolo a farsi complici di tali crimini? Non solo le ideologie totalitarie o il pansessualismo imperante. Anche, e di più, le esigenze di un impero economico che impone le sue leggi, a salvaguardia del benessere delle società ricche ed edoniste, e il lucro di imprese e laboratori, a costo dell'eliminazione delle classi dei Paesi poveri. I poveri danno fastidio, possono rivoltarsi. Abbasso i poveri. Così condizionano i prestiti usurai alle nazioni impoverite facendo dei rispettivi Stati i loro agenti servili. Questi, invece di servire l'uomo, si convertono in Stati prosseneti del vizio degradante. (…) Si richiede un'educazione per il vero amore tra uomo e donna e una trasmissione onesta e generosa della vita. Pertanto, un'educazione che parta da un'antropologia integrale, dalla verità totale dell'uomo, mai ridotto alla genitalità, mai coincidente con l'egoismo sterile". (…)

Quando le vittime diventano carnefici
La complicità del Potere Giudiziario di Santa Fé con l'autorità della Chiesa locale è stata così tacita ed accettata che nei primi giorni di dicembre del 2000 l'ufficio legale del programma Diritti del bambino dell'Unicef ha ricevuto una lettera di denuncia al riguardo. Firmata da Stella Dalla Costa, Alejandra Ocaño e Oscar Oliva, la prima madre adottiva di Ramón Pucheta, di 15 anni, e gli altri due, genitori di Gabriel Oliva, di 5 anni. Entrambi i ragazzini erano alunni del collegio Concezionista San Cayetano, e riferirono di essere stati abusati dal prete Carlos Vece, dell'arcidiocesi di Storni, discepolo e "intimo amico" dell'arcivescovo, secondo tutte le fonti consultate. (…)
Le denunce giornalistiche contro il religioso e il personale del Collegio sono state formalizzate al Tribunale dei minori di Santa Fé (…).
La causa fu portata davanti al Tribunale Penale, al dottor Dardo Rociani, catalogata come Pucheta s/denunce.
Questo spinse alla reazione i genitori di altri bambini che erano stati vittime o testimoni di fatti dello stesso tenore; tutte queste denunce furono presentate al dottor Rociani, ma fino ad ora non si sono concretizzate in nulla, non si sono prese misure preventive, di fronte al dubbio, allo scopo di cautelare l'integrità dei minori fra i 5 e i 17 anni che vivono attualmente nell'edificio. (…)
Vale la pena aggiungere che alla fine del 2000, il sacerdote in questione, Carlos Vece, è morto senza che la giustizia che reclamavano i genitori degli alunni vittime dei suoi abusi lo lambisse nemmeno. (…).
Storni approfittò della sua carica per abusare sessualmente - secondo tutte le testimonianze raccolte e l'indagine aperta per ordine del Vaticano e a cui ebbi esclusivo accesso - dei giovani pieni di fede che frequentavano il seminario e che dopo questi episodi furono traumatizzati per sempre o accettarono con sottomissione i perversi ordini del Principe in cambio delle promesse di una "buona destinazione" pastorale, come è stato il caso di p. Carlos Vece. Che ha ripetuto con i suoi stessi alunni gli abusi a cui lui è stato sottomesso quando stava con Storni.