NOI NON SIAMO QUESTA CHIESA

Di Giulio Girardi*

Il brutale provvedimento assunto dalla burocrazia vaticana nei confronti del nostro fratello Franco Barbero non richiede solo, nei suoi confronti, la solidarietà incondizionata e indignata di quanti credono in Gesù Liberatore. Perché al di là della sua estrema rilevanza personale e comunitaria, questo episodio è carico di un significato storico, che è necessario ed urgente esplicitare; che dovrà quindi, a mio giudizio, ispirare una feconda riflessione teologica e, probabilmente, aprire una nuova fase nella vita della chiesa e nella stessa Teologia della Liberazione.
Don Franco considera questa lettera vaticana come il regalo del papa e del vescovo per i suoi 40 anni di ministero. Essa, in effetti, con la stessa condanna, illumina vivacemente il significato evangelico del suo ministero, lo spirito di apertura, di ricerca e di comunione con cui lo ha esercitato e lo esercita, la dignità e la libertà con cui egli reagisce a quella misura.
Ma il significato teologico della "condanna" va molto al di là della persona di Franco e della sua comunità. Essa infatti definisce con terribile chiarezza l'identità dell'istituzione che ha emesso quella sentenza. Agli occhi di moltissimi cristiani, la gerarchia dimostra con tale decisione e con tale metodo, di non avere più nessuna autorità né dottrinale né morale, nessun senso della giustizia, nessun rispetto per la persona e la comunità. Essa tradisce clamorosamente l'amore e la scelta degli oppressi da cui era nata ed a cui era destinata a rendere testimonianza nel mondo.
Con una decisione di questa gravità, la burocrazia conferisce piena legittimità alla serena ed aperta insubordinazione dello stesso Don Franco e della sua comunità. Essa ricorda ancora una volta che l'obbedienza non è più una virtù; virtù è solo l'amore. Essa fa di tale insubordinazione non solo un diritto ma un dovere. Ne fa anzi un gesto profetico, ricco di insegnamenti e di annunzi per il futuro della Chiesa nel mondo. Mi riferisco alla Chiesa di Gesù, non a quella istituzione che con il suo comportamento ha perso il diritto di portarne il nome; che con il suo comportamento provoca in tanti di noi il rifiuto di continuare a considerarcene membri.
Don Franco e la comunità di Pinerolo ci indicano invece con la dignità del loro comportamento che la piena autonomia nei confronti della burocrazia romana è ormai condizione e segno essenziale della fedeltà al Sovversivo di Nazareth, a Gesù Liberatore. I fratelli e le sorelle di Pinerolo, con la loro affermazione di autonomia lanciano un messaggio alla chiesa universale, destinato, mi pare, ad avere fortissime ripercussioni.
Un messaggio di libertà e di liberazione. Ogni comunità cristiana, stimolata da questa testimonianza, vedrà con tutta chiarezza che la sua libera ricerca, espressione, organizzazione, non è solo legittima, ma è un segno essenziale di fedeltà a Gesù Liberatore, di identificazione con gli oppressi e le oppresse del mondo. Vedrà con tutta chiarezza che la comunione ecclesiale non nasce dall'ortodossia né dalla sottomissione, ma dall'amore audace e storicamente impegnato.
Tutti i vincoli alla creatività umana e cristiana imposti alle comunità dalla burocrazia saranno sciolti, consentendo alla vitalità delle chiese locali di esprimersi in pienezza. Liberate da questo giogo, emergeranno in tutta libertà e fecondità le Chiese indigene, le chiese negre e le loro teologie. Emergeranno in tutta libertà e fecondità le chiese locali, le loro comunità, le loro teologie. Il pluralismo religioso oggi represso potrà affermarsi nella sua ricchezza, perché nessuna istituzione avrà il diritto di confiscare Dio, proclamandosi unica interprete autentica della Sua rivelazione.
Per questo il futuro della chiesa non dipenderà più dalle posizioni del nuovo papa, ma dalla capacità di autonomia e creatività di tutte e di ciascuna delle chiese locali, di tutte e di ciascuna delle sue comunità.
Liberate dal giogo della gerarchia, le comunità cristiane potranno riscrivere la loro storia, indicando e denunciando i vari momenti di rottura, in cui la ricerca del potere imperiale da parte della Chiesa di Gesù, ha portato con sé l'abbandono della fedeltà agli esclusi ed alle escluse della storia; riconoscendo e denunciando le gravi complicità con i crimini del potere che tale ricerca ha spesso generato; riconoscendo il progressivo abbandono, di ieri e di oggi, della fedeltà al sovversivo di Nazareth.
Riscrivere la loro storia, significherà, per le comunità cristiane, riscoprire nella sua purezza il messaggio originario e appassionante di Gesù. Significherà rompere con le strutture oppressive e coinvolgere la riscoperta delle origini comunitarie nella ricostruzione dal basso di un'alternativa di civiltà.

* filosofo e teologo della liberazione -  marzo 2003