"GESÙ NON VOLEVA SACERDOTI". UN SAGGIO CONTROCORRENTE
DEL TEOLOGO CATTOLICO HERBERT HAAG


DOC-1070. ROMA-ADISTA. L'esistenza, nella Chiesa, dello stato clericale accanto a quello laicale non corrisponde a ciò che Gesù ha fatto e insegnato, ed ancor meno vi corrisponde il sacerdozio che, in contrasto con la prassi dei primi quattro secoli, la Chiesa (cattolica) ha poi istituzionalizzato. È questa le tesi centrale che il teologo cattolico Herbert Haag sostiene in Da Gesù al sacerdozio (ed. Claudiana, Torino 2001, pp. 128, L. 19.000), una tesi che ha già sollevato contro il teologo aspre critiche da parte dell'episcopato svizzero, anche se da Roma la Congregazione per la Dottrina della Fede (Cdf), forse in considerazione dell'età dell'autore - oggi 86enne - sulla vicenda non si è ancora pronunciata direttamente.
Nato in Germania nel 1915, diventato sacerdote nel '40, Haag ha studiato filosofia a Roma, teologia a Parigi e Friburgo (Svizzera), scienze bibliche a Roma. Dal '48 al '60 è stato docente di Antico Testamento alla Facoltà teologica di Lucerna, e dal '60 all'80 professore alla Facoltà teologica di Tubinga, in Germania, dove per vari anni è stato collega di insegnamento del futuro card. Joseph Ratzinger, attuale prefetto della Cdf. Nell'80 il teologo si è ritirato a Lucerna, dove ha continuato a battersi per la riforma della Chiesa cattolica romana, creando nell'85 la Fondazione Herbert Haag "per la libertà nella Chiesa e al servizio di una fede cattolica aperta ed ecumenica". La Fondazione ha premiato finora, tra gli altri, il teologo brasiliano della liberazione, Leonardo Boff; la redazione del settimanale cattolico tedesco Publik-Forum; il teologo tedesco Eugen Drewermann, il vescovo francese Jacques Gaillot e gli iniziatori del movimento internazionale "Noi siamo Chiesa" (Imwac) - tutti personaggi o organizzazioni in vario modo impegnati per la riforma della Chiesa romana.
Autore di una settantina di opere (famoso il suo Bibellexikon), Haag ha pubblicato nel '97 il libro ora tradotto in italiano dalla Claudiana: un libro che ha messo a rumore il mondo teologico germanofono, attirandosi alti apprezzamenti ma anche aperte critiche. Il 12 gennaio 2000 mons. Amédée Grab, vescovo di Coira e presidente della Conferenza episcopale svizzera, ha firmato una Dichiarazione sulle tesi di Herbert Haag, sostenendo che il teologo "non solo informa in modo completamente sbagliato lettori e lettrici, ma soprattutto nega pubblicamente l'insegnamento della Chiesa confermato dal Concilio Vaticano II". Per tale ragione, i vescovi svizzeri sono costretti a "negare la fiducia" ad Haag, come teologo cattolico, in quanto egli "considera sbagliati i fondamenti della comprensione cattolica della Chiesa".
Il libro di Haag, che la Claudiana ha appena mandato in libreria, è preceduto da una nota introduttiva del pastore riformato di Locarno Paolo Tognina e arricchito da una ricostruzione cronologica del caso Haag, in Svizzera e fuori, firmata dal teologo cappuccino di Locarno Martino Dotta. Adista pubblica di seguito la "Premessa" dello stesso Haag che inquadra il problema in discussione, alcune parti della ricostruzione del caso di Martino Dotta, i passaggi più significativi delle argomentazioni di teologia, di tradizione e di pastorale di Haag e le conclusioni dello stesso teologo svizzero.

Premessa
ORDINAZIONE E CELIBATO: DUE "INVENZIONI" ECCLESIASTICHE
CHE DANNEGGIANO LA CHIESA

La crisi del sacerdozio cattolico romano è evidente. Tutto ciò che la chiesa ufficiale ha intrapreso finora per fronteggiarla non ha sortito alcun effetto. Mancanza di sacerdoti, comunità senza eucaristia, celibato, ordinazione delle donne sono i problemi che, accanto ad altri, maggiormente caratterizzano l'attuale difficoltà della Chiesa cattolica. Accade sempre più spesso che la conduzione delle comunità sia affidata a laici, i quali, tuttavia, non essendo "ordinati", non possono celebrare l'eucaristia con la loro comunità, anche se ciò dovrebbe propriamente far parte dei loro doveri. Nella Chiesa delle origini ciò non costituiva un problema. La celebrazione dell'eucaristia era di esclusiva competenza della comunità. Coloro i quali presiedevano l'eucaristia, con l'accordo della comunità, non erano "ordinati". Erano semplici membri della comunità. Oggi li definiremmo dei laici, uomini, ma anche donne, di regola sposati, ma anche non sposati. L'elemento determinante era l'incarico affidato dalla comunità. Peché oggi non dovrebbe essere realizzabile ciò che ieri era possibile?
Se Gesù, come si sostiene, ha istituito il sacerdozio della nuova alleanza, occorre chiedersi come mai non se ne trovi traccia nei primi quattrocento anni di storia della Chiesa. Si dice inoltre che i sette sacramenti che la Chiesa cattolica conosce siano stati tutti istituiti da Gesù. In più di un caso risulta tuttavia difficile dimostrare che le cose stiano davvero così. Nel caso del sacramento dell'ordinazione sacerdotale la dimostrazione è del tutto impossibile. Gesù ha piuttosto indicato, con parole e gesti, di non volere sacerdoti. Egli stesso non era un sacerdote, nessuno dei "dodici", e nemmeno Paolo, lo erano.
Allo stesso modo il ministero episcopale non può essere fatto risalire a Gesù. L'ipotesi secondo cui gli apostoli, allo scopo di garantire la successione del loro ministero, avrebbero insediato dei vescovi quali loro successori, è indifendibile. Il ministero episcopale, come ogni altro ministero ecclesiastico, è una creazione della Chiesa, il prodotto di uno sviluppo storico. Stando così le cose, la Chiesa può disporre liberamente, in ogni momento, dei ministeri del vescovo e del sacerdote. Essa può decidere di mantenerli, modificarli o abolirli.
La crisi della Chiesa durerà fino a quando essa non si deciderà a darsi una nuova costituzione. In questa nuova costituzione non ci potrà più essere posto per due classi - sacerdoti e laici, consacrati e non consacrati - ed essa dovrà stabilire che un incarico affidato dalla Chiesa è sufficiente per condurre una comunità e celebrare con essa l'eucaristia. Questo incarico potrà essere affidato a uomini e donne, sposati e non sposati. In questo modo sarebbero risolti due problemi in una volta sola, quello dell'ordinazione delle donne e quello del celibato.

A chi sostiene che nella Chiesa non possono esserci due classi, si risponde spesso che esistono altri esempi di sviluppi organici la cui origine può essere fatta risalire solo indirettamente al Nuovo Testamento. Quale esempio si cita il battesimo dei bambini, che non trova diretto riscontro nel Nuovo Testamento, ma che nemmeno lo contraddice. Il richiamo ad altri sviluppi è però accettabile solo nella misura in cui quelli rispettino i principi fondamentali dell'evangelo. Allorquando essi li contraddicono su questioni decisive, sono illegittimi, inaccettabili e dannosi.
Tutto ciò si applica sicuramente alla Chiesa sacerdotale. Lo studio dei testimoni biblici e delle origini cristiane rivela in modo chiaro e convincente che la gerarchia e il sacerdozio si sono sviluppati, nella Chiesa, senza alcun rapporto con la Scrittura. Solo in una fase successiva è stata data una giustificazione dogmatica alla loro esistenza. Tutto indica che per la Chiesa è giunto il momento di recuperare la propria essenza originale.
(...)
Dedico questo libro, in modo particolare, ai credenti delle diocesi nelle quali ho prestato il mio servizio ecclesiastico: Coira, Basilea e Rottenburg-Stoccarda.

Lucerna, Capodanno 1997
Herbert Haag


IL DOGMA AL SERVIZIO DEL CREDENTE
di Martino Dotta
(frate cappuccino e teologo, Locarno)

Il vivace dibattito suscitato dal presente volume di Herbert Haag, nasce da una situazione di crisi. La Chiesa cattolica del dopo Concilio Vaticano II (1962-1965) si trova confrontata, in Svizzera come altrove, con problemi pastorali e teologici di difficile soluzione: l'inculturazione della fede cristiana nel mondo contemporaneo, le conseguenze del dialogo ecumenico, i movimenti religiosi alternativi, la secolarizzazione, la perdita d'identità confessionale, il calo della partecipazione alle celebrazioni liturgiche, l'invecchiamento del clero e dei membri degli istituti religiosi, la carenza di nuovi preti o consacrati, il ruolo dei laici e in particolare delle donne nelle comunità, la collaborazione tra teologi e magistero, le relazioni tra chiese locali (nazionali, regionali) e Chiesa universale, i rapporti tra Chiesa e Stato nelle società moderne.
Forse si tratta semplicemente di dare tempo al tempo? Oppure bisogna attendere i non indolori passaggi di generazione, finché vengano individuate vie d'uscita alle difficoltà sopraelencate? È un dato di fatto che la maggioranza degli attuali membri della conferenza episcopale, del clero e dei consacrati, nonché dei fedeli svizzeri ha conosciuto ancora la Chiesa degli anni di Pio XII e ha vissuto in prima persona l'avventura conciliare. Ma questo non basta a spiegare le lentezze nel trarre le conseguenze delle riforme promosse e attuate dal Concilio e, soprattutto, delle prospettive da esso aperte. Herbert Haag non fa che intervenire su alcuni dei problemi aperti nella Chiesa cattolica. Le sue "provocazioni" nascono dalla constatazione di una necessità pratica (ovviare alla mancanza di preti e alla conseguente impossibilità per numerose parrocchie di celebrare l'eucaristia), che ha tuttavia puntuali risvolti teologici, pastorali, liturgici e canonici.
Nelle righe che seguono intendiamo collocare il contributo di Haag nel quadro del dibattito in corso nelle diocesi svizzere di Basilea e Coira e riassumere le tappe principali seguite alla pubblicazione del libro del Nostro. Le tensioni che tuttora accompagnano la discussione e le problematiche sollevate mostrano quanto sia ancora difficile avviare, nella Chiesa cattolica svizzera, un dialogo aperto e rispettoso.
La prima edizione tedesca del volume di Haag, Worauf es ankommt. Wollte Jesus eine Zwei-Stände-Kirche? è uscita presso Herder nei primi mesi del 1997. L'autore motiva sul piano biblico e storico la sua convinzione che la Chiesa cattolica contemporanea necessita di una nuova struttura canonica per uscire dal vicolo cieco in cui si trova. "La crisi del sacerdozio cattolico romano è evidente - scrive Haag - Mancanza di sacerdoti, comunità senza eucaristia, celibato, ordinazione delle donne sono i problemi che, accanto ad altri, maggiormente caratterizzano l'attuale difficoltà della Chiesa cattolica". "Il ministero episcopale - prosegue Haag - come ogni altro ministero ecclesiastico, è una creazione della Chiesa", sviluppatosi nel corso dei secoli. Pertanto "la Chiesa può disporre liberamente, in ogni momento, dei ministeri del vescovo e del sacerdote. Essa può decidere di mantenerli, modificarli o abolirli".
A prima vista, quest'ultima affermazione risulta avventata; non meno può apparirlo la soluzione preconizzata da Haag: "La crisi della Chiesa durerà fino a quando essa non si deciderà a darsi una nuova costituzione [Verfassung]. In questa nuova costituzione non ci potrà più essere posto per due classi - sacerdoti e laici, consacrati e non consacrati - ed essa dovrà stabilire che un incarico affidato dalla Chiesa è sufficiente per condurre una comunità e celebrare con essa l'eucaristia. Questo incarico potrà essere affidato a uomini e donne, sposati e non sposati. In questo modo sarebbero risolti due problemi in una sola volta, quello dell'ordinazione delle donne e quello del celibato".
Tali proposte hanno suscitato immediate reazioni: all'inizio di aprile 1997, il vescovo di Basilea Kurt Koch (ordinato il 23 febbraio 1996, dopo essere stato per parecchi anni docente di teologia dogmatica all'Università di Lucerna) scrive nella "Schweizerische Kirchenzeitung" (15/1997), organo ufficiale delle diocesi svizzere di lingua tedesca: Haag promuove "lamessa in congedo del sacerdozio nella Chiesa cattolica" e perciò "non si trova più, a tale proposito, all'interno del suo consenso di fede". Koch contesta anche l'accettabilità ecumenica della posizione di Haag: "Chi conosce l'odierna discussione ecumenica, non può designare nemmeno come "riformata" la radicalità di una tale tesi. Le chiese riformate


prendono in ogni caso ben più sul serio l'ordinazione dei loro ministri come segno dell'origine cristica del ministero di quanto non faccia Haag". Il vescovo basilese sostiene inoltre che la contestazione di Haag del legame tra il sacerdozio ebraico e il presbiterato cristiano, stabilito dalla teologia attolica classica, contiene "tendenze antigiudaiche". È la critica ripresa pure dal professore di Nuovo Testamento dell'Università di Basilea Ekkehard Stegemann (cfr. "Reformierter Pressedienst" 10.4.1997; 13.6.1997). Nel giugno 1997 Herbert Haag, prete della diocesi di Basilea dal 23 marzo 1940, chiede pubblica riabilitazione da parte del vescovo Koch, mentre precisa che per lui "non è in gioco in primo luogo l'abolizione del presbiterato", bensì il fatto che "l'eucaristia può essere presieduta anche da cosiddetti laici, come era il caso per secoli nella Chiesa primitiva" (cfr. "Reformierter Pressedienst" 13.6.1997).
(...)
È dei primi giorni del 2000 un nuovo episodio della disputa attorno alle affermazioni di Haag. Il 4 gennaio, Haag sintetizza le sue posizioni in un articolo pubblicato sulla "Basler Zeitung" in cui contesta che il sacerdozio, quale si è sviluppato dopo il III secolo, possa essere riferito a Gesù, che "si tratti di un dogma irrevocabile che sia necessario un sacerdote per celebrare un'eucaristia "valida"" e che il presbiterato sia un dato irrinunciabile, come ribadito invece dall'istruzione vaticana del 15 agosto 1997 La collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti. Haag chiede di nuovo "la rinuncia al celibato obbligatorio", il superamento della "mistificazione della figura sacerdotale", mentre ricorda il principio teologico fondamentale in base al quale "i sacramenti sono per gli uomini e non il contrario". Precisa inoltre che "è incontestato che debbano esserci dei ministeri nella Chiesa", ma essi devono essere "al servizio della comunità e non viceversa". Haag sostiene infine che non solo il ministero ordinato è "a libera disposizione della Chiesa", ma anche l'eucaristia, in quanto "non è un'istituzione di Gesù", perciò la Chiesa può stabilire "a quali condizioni debba essere celebrata". Anche questa volta le reazioni non si fanno attendere: il 12 gennaio mons. Amédée Grab, presidente della conferenza dei vescovi svizzeri, firma la Dichiarazione sulle tesi del prof. Herbert Haag, in cui constata che Haag "non solo informa in modo completamente sbagliato lettori e lettrici, ma soprattutto nega pubblicamente l'insegnamento della Chiesa confermato dal Concilio Vaticano II" ("Schweizerische Kirchenzeitung" 3/2000). Nella loro dura presa di posizione, i vescovi dicono pure di non potere restare indifferenti a "come il popolo di Dio venga disinformato e indottrinato in un forma estremamente pericolosa", poiché "le misure chieste dal prof. Haag non sono strade verso il futuro, bensì sono fatalmente strade sbagliate"! Perciò si sentono costretti a "negargli la loro fiducia", in quanto "un teologo che considera sbagliati i fondamenti della comprensione cattolica della Chiesa, in queste questioni non può essere più considerato un teologo cattolico serio sul piano scientifico".
Di fronte alle accuse d'eresia rivolte dai vescovi a Haag e alla durezza insolita della loro Dichiarazione, si levano più voci per domandare il dialogo e il confronto teologico piuttosto che la condanna di posizioni scomode. A tale proposito Thomas Gubler commenta, sulle pagine della "Basler Zeitung", che "il modo in cui i vescovi hanno reagito fa presumere che Herbert Haag non si sbaglia di molto, ma dovrebbe per cortesia tacere" ("Basler Zeitung" 14.1.2000). Il professore friburghese di teologia pastorale Leo Karrer, in riferimento alla diatriba vescovi-Haag, deplora che "nella pratica, la cura d'anime soffra di ristagno decisionale, perché a livello gerarchico il teologicamente possibile e il pastoralmente necessario non possono nemmeno essere dibattuti" ("KIPA" 20.1.2000). In un'intervista rilasciata in occasione della consegna del premio attribuitogli dalla Fondazione Herbert Haag, il dogmatico lucernese Dietrich Widerkehr nota che "in fondo, Haag ha ricordato ai vescovi solo quello che è loro possibile fare e la libertà di movimento di cui dispongono" ("Neue Luzerner Zeitung" 21.1.2000). E in aprile una noantina di teologi, biblisti, assistenti pastorali e collaboratori ecclesiali firmano una Dichiarazione all'indirizzo della conferenza dei vescovi svizzeri. Nel loro testo, i firmatari sostengono di non riconoscersi nelle accuse rivolte dai vescovi a Haag e ritengono, di fronte alla "necessità di discutere e soprattutto agire nella questione dei ministeri", che "avrebbero fatto meglio a rendere possibile e a stimolare il dibattito", tenendo conto sia della capacità "del popolo di Dio e rispettivamente di molti cristiani adulti" di farsene un'opinione, sia dell'urgenza di affrontare la problematica ministeriale e pastorale (cfr. "Schweizerische Kirchenzeitung" 18/2000).
(...)
Per ovviare in parte a una situazione sempre più insostenibile, da un paio di decenni, sono stati designati come assistenti pastorali o responsabili della guida parrocchiale teologi e teologhe laici, debitamente formati sul piano liturgico, pastorale e catechistico, ma non abilitati alla celebrazione ordinaria dei sacramenti. Solo in casi eccezionali, cioè dopo avere ottenuto l'esplicita autorizzazione del vescovo, possono amministrare il battesimo, celebrare matrimoni e funerali (senza l'eucaristia) o l'unzione degli infermi. Molti di questi operatori pastorali laici si trovano a lavorare in condizioni tutt'altro che facili, anche perché con il tempo la gente fatica a capire perché un assistente pastorale possa presiedere la liturgia domenicale della Parola, predicare e distribuire la comunione, ma non può celebrare l'eucaristia. Essa è a volte sostituita da un agape, sul modello della Chiesa primitiva, che non fa che aumentare la confusione in parecchi credenti. Nell'estate del 1997, ha poi 

suscitato un ceto scompiglio e disorientamento l'istruzione intitolata La collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti, a cui si è già accennato sopra. Tutto ciò contribuisce ad aumentare tra fedeli e operatori pastorali laici il senso di frustrazione e rassegnazione, spingendoli persino - a volte - a gesti provocatori o atteggiamenti contestatori. È il caso dell'iniziativa lanciata da un gruppo di assistenti pastorali della diocesi di Basilea nel 1995, denominata "Pentecoste '99". Essa chiedeva di risolvere la "questione eucaristica" entro la Pentecoste del 1999 e minacciava, in caso contrario, di celebrare l'eucaristia anche senza un prete presidente. La provocazione è rientrata in seguito alle discussioni intavolate dal


vescovo Koch con il gruppo, che è stato ammonito di non suscitare movimenti secessionisti nella diocesi.


LO DICE LA TRADIZIONE: L'ORDINAZIONE
RISPONDE AD UNA ESIGENZA DI CLASSE

di Herbert Haag

C'è il sacerdote perché c'è il sacrificio
Non è un caso se l'istituzione del sacerdozio nasce all'inizio del terzo secolo - "il termine "sacerdos", sacerdote, appare, per la prima volta, per designare i vescovi e anche i presbiteri cristiani, in Tertulliano (83).
Dall'inizio del terzo secolo la comprensione sacrificale dell'eucaristia è saldamente radicata. Per arrivare a ciò occorsero circa cento anni. Fin dall'inizio, a cominciare dai racconti neotestamentari dell'istituzione, l'originaria cena degli amici con il Signore risorto subisce una reinterpretazione e viene celebrata come memoria, per ricordare la passione di Gesù e richiamarla alla mente. A partire dal secondo secolo troviamo indicazioni del fatto che la comunità offre al Padre il suo Figlio sacrificato (84). Cristo diventa il sacrificio della Chiesa, uno sviluppo dovuto, come abbiamo visto (pp. 103 ss.), all'accusa di ateismo mossa dallo Stato romano.
La prima lettera di Clemente riconosce che i presbiteri allontanati dal loro servizio (leiturgia) "hanno servito (leiturgesantes) il gregge di Cristo umilmente e in modo esemplare" (44,3) e "hanno offerto con devozione e in modo esemplare i sacrifici (dora)" (44,4). È chiaro che il termine leiturgia non ha qui nessun significato cultuale, ma indica genericamente l'esercizio di un ministero. Si discute invece se "sacrificio" non indichi anche e in modo particolare l'eucaristia (85).
Abbiamo già constatato (vedi pagina 81 ss.) che in Giustino si trovano espressioni che solo difficilmente possono essere intese in modo diverso da come sono presentate nella dottrina cattolica successiva. Ignazio di Antiochia non sostiene apertamente il carattere sacrificale dell'eucaristia, ma "lo lascia certamente intendere". Egli stesso desidera essere sacrificato a Dio finché c'è ancora un altare dei sacrifici (thysiasterion), dando quindi per scontato che la comunità si riunisca intorno a un simile altare (86). Clemente di Alessandria non elabora il tema dei sacramenti, nemmeno quello dell'eucaristia. Da affermazioni occasionali emerge tuttavia che l'eucaristia è, per lui, nel contempo, preghiera, pasto e sacrificio (87). "Rimane ['] da notare che anche Clemente collega l'idea del sacrificio all'eucaristia" (88).
Consideriamo infine i cartaginesi Tertulliano e Cipriano. Sorprende che Tertulliano abbia scritto un trattato sul battesimo e uno sulla penitenza, ma non uno sull'eucaristia. Tuttavia dobbiamo proprio a lui il più ricco vocabolario sull'eucaristia. A questo appartengono per esempio la definizione dominica solemnia e in particolare l'espressione, divenuta da allora classica nella Chiesa, "sacramento dell'eucaristia" (eucharistiae sacramentum) (89). Presenza reale e sacramento sono, per Tertulliano, i tratti essenziali dell'eucaristia (90). Da notare infine che, in Tertulliano, gli "anziani che hanno dato buona prova di sé" (probati seniores) presiedono l'eucaristia (91).
Di Cipriano di Cartagine dobbiamo occuparci un po' più dettagliatamente. Per quanto riguarda l'eucaristia egli è conosciuto per averne sottolineato, più di ogni altro, il carattere sacrificale. Su questo punto dobbiamo però procedere con cautela. In particolare la sua sessantatreesima lettera, scritta nell'anno 253, dimostra infatti che sebbene egli consideri l'eucaristia sacrificium, passio, oblatio, intenda tutto ciò nel senso antico di memoria, commemoratio. Essa è dominicae passionis et nostrae redemptionis sacramentum. E sacramentum indica, in questo caso, la presenza sacramentale (92).
Detto questo, bisogna riconoscere che la comprensione eucaristica del terzo secolo è dominata dal tema dell'offerta del sacrificio di Gesù e non da quello della presenza. E dove si offre un sacrificio non può non esserci - stando al pensiero dell'epoca - il sacerdote. "Dapprima si sviluppa il concetto di un culto e di un particolare rito sacrificale cristiano, subito dopo sorge quello di un ministero e di uno stato sacerdotale ['] L'idea del sacerdozio è, come detto, successiva al concetto del sacrificio cultuale" (93). In questo periodo si tratta tuttavia sempre ancora del sacerdozio inteso come ministero.
La svolta di Cipriano
Anche per Cipriano (metà del terzo secolo) l'ordinazione sacerdotale non è un sacramento (94). Il suo pensiero e quello del suo tempo - la metà del terzo secolo - contribuiscono tuttavia a modificare in modo significativo le strutture del clero. Queste cambiano sotto tre punti di vista.
1. Uffici come quello del dottore, che in origine erano posti accanto a quello dei vescovi e dei presbiteri, e dunque al di fuori del clero, vengono integrati nella gerarchia. In tal modo essi sottostanno alla sorveglianza e al controllo del vescovo (95).
2. D'ora in poi esiste la possibilità di salire da un ministero inferiore, come quello del lettore, che era finora permanente, a un ministero superiore, quale quello di presbitero o addirittura di vescovo. La temporanea assegnazione a un gradino inferiore poteva dipendere da vari fattori: giovane età (96), periodo di prova o retribuzione. Il presbitero occupava un'altra "fascia salariale" (97).
3. Con ciò siamo già al terzo punto: il ministero ecclesiastico diviene, d'ora in poi, un impiego a tempo pieno, dunque un mestiere che dà da vivere, mentre in epoche precedenti era un'occupazione accessoria (accanto a un'occupazione profana). La Chiesa divenne un'organizzazione simile allo Stato (98).
Non stupisce dunque di trovare in Cipriano, all'interno del clero come pure nei rapporti del clero con i laici, un quadro mutato. Nel clero l'ordine gerarchico vescovo-presbitero-diacono è divenuto ormai un istituto fisso. Rispetto alla "Traditio apostolica" si notano tuttavia due mutamenti gravidi di conseguenze:


1. La posizione del vescovo trova la sua massima esaltazione. Per Cipriano sacerdos è sempre il vescovo, egli è il sacerdos par excellence (99). Egli assume il ruolo di Cristo (sacerdos vice Christi) (100). In quanto tale, il vescovo deve rendere conto soltanto a Dio (101). I vescovi sono i successori degli apostoli, i primi vescovi (102). Nel contempo in Cipriano lo stato dei presbiteri acquista maggiore autonomia. Essi presiedono autonomamente l'eucaristia e impersonano, svolgendo questo ruolo, il sacerdozio levitico del tempio. I diritti del vescovo (elezione, possesso dello Spirito, assoluzione, eucaristia) sono da questo conferiti anche ai presbiteri. Il vescovo distribuisce le "parti" (kleroi) e i destinatari diventano, ricevendole, "clero" (103). Del clero non fanno parte soltanto i gradi più alti (vescovo, presbitero, diacono), ma anche quelli inferiori, tra cui gli accoliti e i lettori (104). L'appartenenza al clero non dipende più dalla liturgia. Chierico è semplicemente chi riveste un ministero ecclesiastico.
2. Di conseguenza la distanza tra clero e popolo aumenta. Clerus e plebs sono una coppia di parole ricorrente negli scritti di Cipriano (105). Chierici e laici sono chiaramente distinti. Quando il vescovo - o il presbitero - entra in Chiesa, il popolo deve alzarsi (106). Si può propriamente parlare del passaggio da un "popolo sacerdotale" a un "popolo dei sacerdoti" (107).
Tale sviluppo ha determinato la relegazione dei laici in un ruolo sempre più passivo. Un'immagine eloquente, che esprime tale situazione, la troviamo nelle Pseudo-Clementine, un romanzo cristiano - il primo romanzo cristiano in assoluto - risalente alla prima metà del terzo secolo (108). In quest'opera Pietro dà a Clemente, suo successore (!) indicazioni sull'esercizio del proprio ministero e sui doveri dei presbiteri, dei diaconi, dei catechisti e dei fedeli. La Chiesa è paragonata a una barca il cui timoniere è Cristo. Il vescovo è il secondo timoniere, i presbiteri sono i marinai, i diaconi i capi della ciurma, i catechisti sono gli ufficiali contabili. La "massa dei fratelli", cioè i fedeli, sono i passeggeri. Essi non conducono la nave, ma sono trasportati e affidati, in tutto e per tutto, alle capacità o incapacità dell'equipaggio: questa è l'immagine della Chiesa clericale, mantenutasi, attraverso i secoli, fino a oggi.
L'immagine è completata dalla seguente raccomandazione: "I passeggeri stiano seduti ai loro posti e non si muovano, affinché non provochino, con i loro spostamenti disordinati, pericolosi movimenti e sbandamenti della nave".
Il carattere indelebile del sacerdote
È Agostino (354-430) a provocare la svolta che porta al sacerdozio personale, "distinguendo tra la grazia dello Spirito Santo, che può essere persa, dalla grazia del sacramento dell'ordine, che non si cancella mai" (109). Il sacramento rimane valido anche per chi perde il proprio ministero ecclesiastico. "Anche chi viene allontanato dal ministero per avere commesso un grave errore conserva il sacramento del Signore ricevuto una volta per tutte" (110).
Per questo motivo Agostino ritiene che l'ordinazione non possa essere ripetuta. Essa è impressa indelebilmente nel sacerdote e appartiene al suo carattere. In altre parole essa esprime, come il marchio (character) impresso sugli schiavi, sui soldati e sugli animali, un rapporto incancellabile di proprietà (schiavo-padrone, soldato-imperatore, gregge-pastore). "Il disertore non porta il marchio del disertore, ma quello del condottiero. Così anche il battezzato porta in sé il sacramento del battesimo e l'ordinato quello dell'ordine, e non se ne può disfare, anche se è separato dalla Chiesa" (111).
Prima del quinto secolo non si può parlare di un sacerdozio inteso nel senso attribuitogli oggi. "Nei Padri più antichi non si trova alcuna traccia di un character indelebilis o di un "sacramento" dell'ordine sacerdotale e là dove si crede di trovare qualcosa di simile si tratta di un fraintendimento [...] La svolta decisiva verso una nuova, assoluta comprensione del concetto di sacerdote avviene al passaggio dal quarto al quinto secolo" (112).
Questa carrellata ha mostrato che tutti gli uffici sono creazioni della Chiesa. Nessuno di essi può essere fatto risalire a Gesù, nemmeno quello del vescovo e meno di ogni altro quello del sacerdote. Ciò significa che anche oggi questi uffici sono a disposizione della Chiesa. La più grande varietà di possibilità si riscontra nella celebrazione dell'eucaristia. Essa era celebrata dall'intera comunità (113), dagli ospiti delle comunità che si riunivano nelle case, da profeti, dottori, anziani, vescovi, presbiteri e infine - a partire dal quinto secolo - da sacerdoti che hanno ricevuto il sacramento dell'ordine. Per la durata di quasi quattrocento anni non è stata necessaria la "consacrazione sacerdotale" per la celebrazione dell'eucaristia. Per quale motivo essa dovrebbe essere oggi indispensabile? (114)
Risultato
Possiamo concludere: 

1. Nella Chiesa cattolica ci sono due stati, clero e laicato, che hanno privilegi, diritti e obblighi diversi. Questa struttura ecclesiastica non corrisponde a ciò che Gesù ha fatto e insegnato. Nella storia della Chiesa questa struttura non ha dato frutti positivi.
2. Il Concilio Vaticano II ha cercato, in parte, di colmare il profondo divario esistente tra clero e laicato, ma non lo ha eliminato. Anche nei documenti del Concilio i laici appaiono come gli assistenti della gerarchia e non hanno possibilità di esigere il rispetto dei loro diritti.
3. Gesù ha rifiutato il sacerdozio giudaico e il culto sacrificale cruento del suo tempo. Con il tempio e con il culto celebrato dai sacerdoti nel tempio Gesù aveva un cattivo rapporto. Egli annunciò la distruzione del tempio e fece capire che al suo posto non sarebbe sorto alcun altro tempio. Per questo motivo il sacerdozio giudaico lasciò che morisse sulla croce.
4. Gesù non disse mai che tra i suoi discepoli dovessero sorgere un nuovo sacerdozio e un nuovo culto sacrificale. Egli stesso non era sacerdote e non lo erano neppure i "dodici", gli apostoli e Paolo. Nessuno degli scritti del Nuovo Testamento parla del sorgere di un nuovo sacerdozio.


5. Gesù non voleva che ci fossero, tra i suoi discepoli, classi o stati. "Voi siete tutti fratelli", è la sua indicazione (Matteo 23,8). Perciò i primi cristiani si consideravano e si definivano "fratelli" e "sorelle".
6. In contrasto con questa indicazione di Gesù si costituì però, nel terzo secolo, una "gerarchia", un'"autorità santa". Questo portò alla divisione dei credenti in due stati, clero e laicato, "ordinati" e "popolo". La gerarchia pretese per sé la guida delle comunità e soprattutto l'ambito liturgico. Essa estese sempre di più il proprio potere. Ai laici furono affidati ruoli di servizio e fu imposta l'obbedienza.
7. La diffusione della Chiesa su scala mondiale richiese la creazione di uffici. Questi potevano assumere, come mostra la storia, forme diverse. Tutti gli uffici, anche quello del vescovo, sono istituzioni della Chiesa. La Chiesa ha dunque, di volta in volta, secondo la situazione, la possibilità di mantenerli, modificarli o sopprimerli.
8. Dal quinto secolo la celebrazione dell'eucaristia richiede la partecipazione di un sacerdote che abbia ricevuto il sacramento dell'ordinazione. Dal quinto secolo si diffonde anche la concezione secondo cui l'ordinazione sacerdotale conferirebbe a chi la riceve un carattere indelebile. Questa dottrina, ulteriormente sviluppata dalla teologia medievale, è stata dichiarata dottrina di fede vincolante dal Concilio di Trento (sedicesimo secolo).
9. Per quattrocento anni l'eucaristia è stata presieduta da quelli che, nel nostro linguaggio, sono definiti "laici". Questo mostra che non occorre avere un sacerdote che abbia ricevuto il sacramento dell'ordinazione e che tale necessità non può essere dimostrata né biblicamente né dogmaticamente.
10. La condizione per la celebrazione dell'eucaristia non dovrebbe dunque essere un'"ordinazione", ma un "incarico". Questo può essere affidato a un uomo o a una donna, sposato o non sposato. Per entrambi, uomo e donna, deve essere richiesta la possibilità di accedere all'intero ministero ecclesiastico che comprende l'autorizzazione a celebrare l'eucaristia.

NOTE
conseguenza puniti, ma non sono stati uccisi) che Cipriano, a motivo della loro giovane età, nomina dapprima lettori, "in attesa che diventino, più tardi, presbiteri" (p. 326). Anche agli ufficiali municipali civili era richiesta un'età minima di 25 anni (e. herrmann, Ecclesia in Re Publica, cit., p. 46; cfr. più avanti nota 98). Un esempio particolarmente illuminante si trova nella lettera di Cipriano 55,8, nella quale egli parla del suo confratello Cornelio: "Ciò che rende del tutto degno presso Dio e Cristo e presso la sua Chiesa e tutti i sacerdoti il nostro carissimo Cornelio è il fatto che egli non sia arrivato alla carica episcopale direttamente", ma che vi sia giunto solo dopo aver salito tutta la trafila degli uffici ("officia") ecclesiastici, rendendosi spesso benemerito nel servizio divino, giungendo all'episcopato passando per tutti i gradini.
97 "Non è possibile stabilire a quanto ammonti lo stipendio. Sappiamo solamente che esso deve permettere di vivere. In modo esplicito Cipriano vieta ai sacerdoti di svolgere un altro lavoro" (b. van damme, Bekenner und Lehrer, cit., p. 327). Gli effetti negativi della scalata verso i vertici e dell'aumento dello stipendio sono (fino a oggi!) ben noti: ambizione, avidità di guadagno, carrierismo.
98 Fino a che punto la Chiesa, nelle sue strutture, abbia fatto proprie le forme costitutive romane è dimostrato in modo impressionante da e. herrmann, Ecclesia in Re Publica, cit., pp. 42-52 (Cipriano). Questo vale anche per la terminologia. Esempio: "ordinare" è il termine tecnico per l'insediamento al servizio dell'imperatore (p. 44). Lo stesso vale anche per Cipriano, riguardo alla gerarchia ecclesiastica. "Nelle opere di Cipriano il verbo "ordinare" e il corrispondente sostantivo


"ordinatio" non equivalgono ai termini moderni, ordinare e ordinazione (r. seagraves, Pascentes cum disciplina, cit., p. 28), ovvero, essi non hanno nulla a che fare con "ordinazione" ["Weihe"].
99 h. von campenhausen, Kirchliches Amt, cit., p. 310; r. seagraves, Pascentes cum disciplina, cit., p. 68.
100 Ibidem, p. 68.
101 Ibidem, p. 3, secondo Seagraves Cipriano è "il primo autore a sostenere che il vescovo è responsabile solo di fronte a Dio".
102 Ibidem, p. 27.
103 a. faivre, Ordonner la fraternité, cit., pp. 80-82.
104 r. seagraves, Pascentes cum disciplina, cit., p. 18.
105 "Si trova spesso, negli scritti di Cipriano, il binomio clero-plebe. La plebe indica il popolo cristiano e il clero il gruppo dirigente della Chiesa" (a. vilela, La condition collégiale, cit., p. 295).
106 h. von campenhausen, Kirchliches Amt, cit., pp. 297-300.
107 "Da popolo di preti a popolo dei preti" (a. faivre, Ordonner la fraternité, cit., p. 83).
108 A partire da un unico testo originale si sono sviluppate due versioni che raccontano, in forma romanzata, i viaggi di Pietro in Palestina e Siria e la biografia di Clemente Romano. Il romanzo è preceduto da una lettera di Pietro e una lettera di Clemente a Giacomo, vescovo di Gerusalemme. La citazione precedente è tratta da questa seconda lettera. Da circa due secoli l'importanza delle Pseudo-Clementine per la nostra conoscenza della Chiesa antica è fuori discussione. La ricerca più recente è stata inaugurata da Oscar Cullmann, Le problème littéraire et historique du roman Pseudo-Clémentin, Parigi, 1930. Una panoramica sullo stato attuale della ricerca si trova in Georg Strecker, Das Judenchristentum in den Pseudoklementinen, Berlino, 19812; nuova trattazione: j. wehnert, Abriss der Entstehungsgeschichte des Pseudoklementinischen Romans, in "Apocrypha", 3 (1992), pp. 211-235. Traduzione tedesca di J. Irmscher e G. Strecker in: w. schneemelcher, Neutestamentliche Apokr'phen, Tubinga, 19895, pp. 439-488; traduzione francese: André siouville, Les homélies clémentines, Parigi, (1933) 1991.
109 Ludwig ott, Das Weihe-Sakrament, in "Handbuch der Dogmengeschichte", IV/5, Friburgo in B., 1969, p. 29.
110 Ibidem.
111 Ibidem, p. 30. Agostino parla solo raramente del carattere sacerdotale e invece molto spesso del carattere battesimale; gli elementi sono tuttavia presenti per essere applicati al sacerdozio (cfr. e. dassmann, Character, in: "Augustinus-Lexikon", I, 1986-1994, pp. 835-840). Quanto poco precise siano, in Agostino, le relative concezioni, è dimostrato dal fatto che egli usa indistintamente "sacramentum", "sanctitas", "consecratio", "baptismus" e "ordinatio" quali sinonimi di "character". In definitiva si tratta semplicemente di un rapporto di proprietà che viene stabilito, mediante il battesimo, una volta per tutte (per questo esso non può essere ripetuto). Per Agostino non si tratta di un carattere impresso nell'anima (cfr. g. bavaud, in: Oeuvres de Saint-Augustin, 29, Traités Anti-Donatistes, II, De Baptismo libri VII, Parigi, pp. 581 s.) e perciò si può dire che nella sua opera la dottrina del carattere sacerdotale è soltanto accennata ("Ce qui sera plus tard la théologie du caractère est seulement en germe dans la doctrine augustinienne", j. pintard, Le sacerdoce selon Saint Augustin, 1960, p. 128). La dottrina del character indelebilis, come la troviamo in Tommaso d'Aquino, è il prodotto della teologia medievale ed è stata trasmessa attraverso i secoli fino a noi. I dogmatici contemporanei faticano nel definire essenza ed effetto di questo "carattere incancellabile". "Nella tradizione della Chiesa, questa capacità (di agire al posto di Cristo), data mediante l'ordinazione, porta il nome di "character indelebilis". Esso è indelebile perché è fondato nella incrollabile promessa e nella volontà di Cristo, di voler continuare a compiere la sua opera salvifica mediante il servizio dell'ordinato" (g. greshake, Priester sein, Friburgo in B.,