I FUNZIONARI DI DIO

 

Psicoanalisi dell’organizzazione clericale

di
Eugen Drewermann *

L’opera di E. Drewermann, recentemente pubblicata in Italia dalla Edition raetia di Bolzano con il titolo "Funzionari di Dio", non è solo una vera pietra miliare della ricerca teologica e psicoanalitica, ma è anche un’occasione per riflettere sulla fede cristiana e sul modo con cui essa si è andata strutturando nei secoli attraverso una peculiare organizzazione. Data la complessità del lavoro ci limiteremo a illuminare alcuni passaggi fondamentali della ricerca di D. (Drewermann).

Ben consapevole della difficoltà di sottoporre ad analisi un’organizzazione bimillenaria che coinvolge milioni di persone, D. non poteva eludere il problema metodologico che si presenta complesso soprattutto quando si mira a comprendere le correlazioni e le dinamiche dell’inconscio collettivo. La soluzione adottata dallo psicoanalista-teologo tedesco ci è parsa convincente in quanto egli ha cercato di collegare tra di loro, ed in modo coerente, una molteplicità di fonti e precisamente: i risultati di psicoterapie e consulenze attuate dallo stesso D. su ecclesiastici e religiose; i documenti ufficiali della gerarchia e degli ordini religiosi; i testi della riflessione teologica; le opere della letteratura e del cinema, nonché le interviste e le notizie connesse con la vita clericale.

Lo scopo della ricerca è stata quella di individuare le falle patologiche dell’organizzazione clericale, non le deficienze dei singoli. In tal senso si potrebbe dire che l’approccio di D. è più psico-socioanalitico dal momento che il suo interesse primario è comprendere l’insieme, non le parti. E la ragione di tale scelta sta proprio nel fatto che lui ha a cuore la salute del chierico, la sua realizzazione personale, la sua felicità, ma per raggiungere tale obiettivo è fondamentale e prioritario individuare quelle dinamiche istituzionali che mutilano l’uomo-chierico.

Tutta la ricerca è attraversata dalla passione per la pienezza della vita. L’obiettivo dichiarato è quello di contribuire a generare una nuova personalità di chierico, aperto ad una sconfinata fiducia in Dio, capace di comunicare in modo umano, pronto a disfarsi di retaggi ideologici proprio come faceva Gesù che, nella sua infinita libertà di spirito, viveva una intensa alleanza con la natura.

 

 

LEGAME CON LA NATURA

Secondo Drewermann la religione attraverso i suoi interpreti ufficiali dovrebbe mostrare come la fede pervasa da una mistica profetica possa contribuire a ristabilire il legame tra l’uomo e la natura che lo sostiene e lo circonda. Come i Maya si aspettavano dal sacerdote una persona che abbracciasse l’universo da levante a ponente, così il mondo si attende dai chierici e dai cristiani un segno concreto che è possibile congiungere tutto, da est a ovest, tra il sopra e il sotto, tra il dentro e il fuori, in modo da non escludere più nulla dalla propria persona.. E’ qui che diventa perentorio il richiamo a Gesù, archetipo del sacerdote che concilia gli opposti, ma non per via di dettami ideologico-istituzionali bensì in virtù di una forza interiore capace di modellare una personalità. D. annota:

"Per dirla in modo paradossale: gli sforzi della Chiesa dovrebbero essere tesi non già a formare dei sacerdoti ma a promuovere nel modo più intenso possibile l’elemento sacerdotale che i giovani portano dentro di sé (E. Drewermann, Funzionari di Dio, ed. Raetia 1995)."

La natura diventa. il luogo autoctono dell’esperienza di Dio e la croce del Cristo non può più essere utilizzata per dichiarare come peccaminosa la natura o per reprimere le dinamiche istintuali dell’uomo.

 

L’INTEGRAZIONE DEL SOGGETTO

Ritrovare in sé tutta la creazione e la trascendenza per essere sacerdoti del creato e dell’increato non è un’operazione che può essere fatta sulla base di regolamenti o di ascesi eteronome, in una parola dall’esterno. E’ indispensabile un nuovo atteggiamento che dischiuda, tanto per i chierici come per i laici, uno spazio esperienziale in cui sia possibile vivere in modo profondo e personale i simboli della salvezza e della redenzione.

Drewermann insiste sul fatto che solo chi attraversa in prima persona l’angoscia e la disperazione, i dubbi e l’oscurità può accedere all’esperienza reale e non fittizia della fiducia e della rinascita. Non c’è solo una natura fatta di volontà e ragione ma anche una vita inconscia con leggi diverse da quelle della razionalità e che la cultura occidentale ha considerato incongiungibili: di qui la scissione tra carne e spirito, tra intelligenza e passioni, tra sogni e realtà, con la conseguente debolezza dell’ Io, incapace di integrare le parti scisse.

 

 

CONSIGLI EVANGELICI

D. considera la pratica dei consigli evangelici (povertà, ubbidienza, castità) una vera ricchezza antropologica a condizione che essi abbiano un effetto umanizzante e salutare: un discorso su Dio sarebbe, infatti, in-credibile all’interno di un sistema inumano ed eteronomo. I consigli evangelici sono segni efficaci di una presenza redenta solo se sono interpretati in senso integrale e non integralistico, in senso personale e non funzionale, come forme espressive e non come doveri.

"Per questo è fondamentale che nella vita dei chierici i consigli evangelici non vengano interpretati a partire dal "servizio per la Chiesa , "dalla testimonianza escatologica", dal "sacrificio del Cristo" o dalla solidarietà con determinati gruppi: piuttosto bisogna scorgere in essi degli atteggiamenti che hanno valore in se stessi."

 

 

LA POVERTA’

Il grande problema della povertà ha visto schierata la chiesa cattolica su due interpretazioni: una a favore della povertà materiale (S. Francesco), l’altra a favore della povertà spirituale (papato). Secondo D. questa discussione non ha radici bibliche perché per i profeti e per Gesù il problema è la ricchezza, non la povertà. Non sono primordialmente sociali i motivi che inducono Gesù a mettere in guardia contro la ricchezza.

"Questo avvertimento nasce piuttosto dal suo rapporto con Dio: la ricchezza non deve intromettersi tra Dio e l’uomo, non deve diventare per una persona ciò che alla fine può essere soltanto Dio, vale a dire un’ultima sicurezza dell’esserci contro l’angoscia."

L’antidoto alla ricchezza non sta nella povertà materiale giacché essa può essere utilizzata narcisisticamente come mezzo per sentirsi "buoni" e "privilegiati" da Dio; non sta nemmeno nella povertà spirituale, in nome della quale si è complici delle ingiustizie e si alimenta la fiducia nei beni materiali. L’antidoto alla ricchezza sta nella consapevolezza che la sicurezza di base non é garantita

se non dalla piena fiducia in Dio, il quale sostiene tutto ed ognuno. Ma la fiducia basica non si ottiene

con atti di volontà o con un "voto": essa suppone un Io integrato, consapevole dei propri limiti, spesso inerme e confuso, ma pur sempre pervaso dal sentimento rassicurante di un Padre che ama incondizionatamente perché non possiede niente, non domina su nessuno, dà tutto quello che ha.

"La vera povertà non comincia con i meriti delle opere buone di rinuncia, ma con la fiducia di avere il permesso incondizionato di essere."

 

 

L’OBBEDIENZA

Anche in questo caso il modello di obbedienza è quello neotestamentario. Pietro, di fronte all’autorità religiosa di appartenenza, afferma in modo perentorio e a rischio della sua vita: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (At.5,29). Di fronte alle burocrazie religioso-amministrative, che richiedono una obbedienza acritica perché si ritengono sacre e quindi divine, Gesù protesta la sua autonomia critica e la sua fiducia nell’amore e nella misericordia, non nella legge e nella routine. L’obbedienza di Gesù è dono di libertà e non repressione, è redenzione dall’angosciae dalla colpa e non uccisione della speranza. L’obbedienza non è, come spesso si crede, sottomissione ma ascolto.

"Secondo i dettami della psicoanalisi "obbedire" significa seguire le parole dell’altro in maniera così coraggiosa e gentile, seria e serena, precisa e paziente da essere disposto a comprenderlo più di quanto egli in quel momento osi comprendere se stesso; significa percepire le figure, le esperienze e le scene condensate presenti nelle e dietro le sue descrizioni, aiutarlo a prendere coscienza dei contrasti e delle contraddizioni tra il suo pensiero e i suoi sentimenti e, a volte, significa anche interpretare per lui il suo vissuto con l’aiuto di immagini, che riflettono i suoi sogni che, in un certo senso li anticipano."

L’ascolto dell’altro suppone assenza di obiettivi, assenza di pianificazioni, assenza di pregiudizi, condizioni indispensabili per percepire aspetti sconosciuti della verità e del Dio incarnato nella realtà umana e non. Come nella preghiera, si tratta di abbandonare ogni "fraintendimento materiale della religiosità", per cui si smette di chiedere A o B a Dio, per imparare a trovarsi d’accordo con la sensibilità di Dio.

 

 

LA CASTITA’

La castità, secondo Pio X, sarebbe il "magnifico decoro dello stato clericale... Il suo splendore rende il sacerdote simile agli angeli, gli assicura la stima dei fedeli e conferisce al suo agire una benefica forza sovrannaturale." Questa visione della castità, dice D., non è certamente biblica, anche perché sulla questione del celibato dei preti o della castità dei laici non vigeva in tempi precristiani la scissione che tormenta la Chiesa da circa due millenni e che rende ambigua tale virtù, dal momento che ai laici viene imposta la castità, mentre ai sacerdoti viene imposta una castità "particolare". Il tutto fa presupporre che, in sostanza, la castità consisterebbe nell’assenza di rapporti sessuali.

"Sarebbe meglio se in futuro evitassimo semplicemente le espressioni "casto" e "non casto" ovvero "impuro": invece di dire che un comportamento o un atteggiamento è "impuro" sarebbe meglio dire che è ingiurioso, rozzo, privo di riguardo, da macho, "umiliante", prosaico, insensibile, meccanico, senza anima, senza fantasia, puramente tecnico, che mira soltanto ad ottemperare al proprio dovere...Tutte queste espressioni descrivono il comportamento concreto di due persone e parlano del modo in cui sperimentano personalmente il loro rapporto. "Impuri" sono in questo senso già i discorsi senza anima, "oggettivanti" e freddi con cui la teologia morale cattolica continua ad affrontare le questioni dell’amore e delle angustie del cuore."

Ma allora in che cosa consisterebbe la castità? D. traduce la parola casto con immagini del tipo:

"così sensibile da chiamare l’anima, tenero come il soffio del vento sull’erba, lieve come l’ala di una farfalla, caldo e profondo come le sorgenti di un geyser, ampio come un fiume che si apre verso il mare, salutare e gradevole come la pioggia leggera sulla terra arida, sognante come il luccichio delle stelle, liberatore e forte come una tempesta dopo giorni di afa soffocante; in tutte queste espressioni traspare l’esperienza di una poesia concreta. La castità, intesa in questo senso comincia con la constatazione che non è possibile parlare della relazione tra uomo e donna se non nella lingua dei poeti."

D’altronde la castità è una condizione deontologicamente essenziale anche per chi non è prete, né credente: si pensi all’esercizio della psicoterapia, dove si instaura una relazione molto intima, emozionalmente vibrante e spesso sconvolgente, intessuta di sentimenti amorosi e vitali per entrambi (paziente e terapeuta), impregnata di una "benevolenza oggettiva" e di "curiosità impegnata", ma dove è rigorosamente proibito approfittarsi dell’altro, "agire" sentimenti. Proprio nell’esercizio della psicoterapia si sperimenta quanto sia propedeutico, almeno da parte del terapeuta, una castità di pensieri e di azioni, nel senso che egli non cerca altro che il bene e la maturazione dell’interlocutore, nel controllo rigoroso di quelle pulsioni di appropriazione che sono connaturali alla condizione umana. Anzi egli è tenuto ad andare oltre la semplice astensione sessuale: più importante è astenersi dal giudizio, da ogni giudizio, che quasi sempre è un pre-giudizio: fare "due miglia" con il paziente quando questi gli chiede di farne "uno".

"La castita’ così intesa significa questo: intuire qual è l’essenza dell’altro e riportarla in superficie con la stessa attenzione che distingue un restauratore di quadri quando toglie i ritocchi operati da estranei e risana gli effetti della corrosione del tempo per rendere nuovamente visibile l’opera originaria; evidenziare le linee del carattere, in cui l’Io dell’altro manifesta di più la sua bellezza; accogliere in se stesso il ritratto del suo sorriso e l’espressione della sua tristezza così che queste immagini dell’animo possano manifestare pienamente la verità della sua persona; attirare l’anima dell’altro che è sepolta sotto montagne di macerie, fatte di speranze distrutte, gesti nascosti, pensieri segreti, e farla ritornare alla luce del sole; far sì che l’anima faccia fiorire le zone devastate, bruciate, disseccate o gelate dall’angoscia e vi si senta a suo agio."

Nell’ottica di D. la castità non è assenza di rapporti sessuali, dato che questi sono essenziali in una coppia così come è indispensabile che i due partners abbiano bisogno l’uno dell’altro: la castità è la massima realizzazione della coppia, dell’Io e del Tu,

 

 

L’INSUFFICIENZA DEI CHIERICI (e dei laici)

Di fronte ad ideali così umani, ma anche così sovrumani, l’organizzazione clericale appare agli occhi di molti sostanzialmente incoerente e non per ragioni attinenti la volontà dei chierici, che anzi mostrano una straordinaria volontà nel permanere fedeli a certi ideali al punto da entrare in conflitto con altre parti della personalità diverse od opposte al piano volitivo. L’insufficienza del clero nasce, secondo lo psicoanalista tedesco, dallo scontro tra due funzioni fondamentali della personalità, e cioè tra il Super Io, che presiede alle norme, e l’Es, che racchiude tutta la vita pulsionale e desiderativa, a detrimento dell’Io, cioè di quella funzione mentale che garantisce l’equilibrio della personalità e una razionalità critica ma anche empatica e permeata di sentimenti amorosi.

Nel confrontarsi con le analisi provenienti dalla letteratura mondiale, da Boccaccio a Dostoevskij, da Diderot a Sartre, da Kirkegaard a Freud, Drewermann nota che le critiche rivolte al "chierico" non si riferiscono mai alla debolezza o alla insufficienza del singolo, ma ad aspetti dell’intero apparato ecclesiastico, compresa la sua teologia, di cui è contemporaneamente padre e figlio, succubo ed autore.

Riassumendo tali critiche D. non può fare a meno di stendere la seguente diagnosi dell’apparato e dell’esistenza clericale:

"un soffocante sistema coercitivo.... l’esteriorizzazione dell’interiorità dell’elemento religioso....l’estraniazione del sentimento personale... la fissazione morale della personalità attraverso un sistema di giuramenti di fedeltà coattivi....la distruzione o la deformazione degli impulsi naturali... la razionalizzazione di strutture inibitorie....l’inversione della finalità dell’obiettivo e del risultato causata dalla scissione tra coscienza e inconscio, tra volontà e motivazione..."

Dalla diagnosi alla patogenesi il cammino è piuttosto complesso e complicato, ma D. non vi rinuncia ben sapendo che la ricezione della sua analisi incontrerà consistenti resistenze, quasi sempre frutto della squalifica dell’inconscio e della idealizzazione della Grazia. Anche il chierico più evoluto, infatti, ritiene che la "Grazia" é una Grazia di Dio mentre l’ inconscio è una..."disgrazia" diabolica in perenne opposizione alla volontà di Dio, che si esprime nella razionalità

E qui siamo a un nodo fondamentale della patologia clericale, rappresentato dal conflitto permanente e radicale tra l’Es (la vita pulsionale) e il Super Io (norme esterne): dato che si tratta di una guerra tra Dio (Super Io) e Lucifero (l’Es) la vicenda non può che concludersi con la vittoria di Dio (la norma-legge) e con la sconfitta del Maligno (la vita pulsionale-desiderativa). In questa battaglia non possono esserci le mediazioni dell’Io critico ed autonomo, proprio perché la struttura psichica è dominata da una coppia (Super Io-Es) e non è trinitarizzata: lo sarebbe se anche l’Io avesse diritto di esistere, ma ciò è vietato dal magistero intollerante del Super Io.

 

 

IL CONFLITTO TRA IL SUPER IO E L’ES

La verità è che in questo conflitto binarizzante chi la fa da padrone è il Super Io a scapito dell’Io e dell’Es. In sostanza l’organizzazione clericale scivola inconsapevolmente da un sistema trinitario in cui dice di credere in uno monoteistico, o più precisamente monistico, antitrinitario, antidialogale e potenzialmente scismogeno. Non è un caso che il Super Io cattolico, rappresentato dalla Gerarchia, si trovi sempre a giocare la parte di chi giudica, condanna, scomunica e considera eretiche le chiese d’Oriente e quelle Riformate, per non parlare dell’atteggiamento antidialogale e persecutorio adottato nei confronti della scienza e della democrazia.

La caratteristica, infatti, di un sistema mentale anti-trinitario è l’intolleranza, sia quella verbale che quella agita attraverso la forza (crociate, Inquisizione, epurazioni etnico-religiose, licenziamento brutale dei membri che contestino il Super Io, ecc.). L’alternativa all’intolleranza è la rinuncia, dato che un sistema binarizzato comporta un "aut-aut", non un "et-et". Esemplare è l’evangelizzazione in Oriente: quando la Gerarchia si presenta, ad esempio, in Cina pretende di imporre i propri riti, vestiti, linguaggi e filosofie, cose assolutamente non necessarie per vivere la fede in Gesù. Di fronte all’impossibilità di dominare quelle culture il sistema gerarchico-ecclesiastico si ritira e rinuncia da millenni a qualsiasi evangelizzazione e dialogo con l’Oriente. Lo stesso dicasi per quanto riguarda i rapporti col mondo operaio, gli intellettuali, il femminismo o i giovani. stante la premessa inconscia che non è possibile se non vincere o perdere, i membri dell’organizzazione gerarchico-clericale, dato che non riescono a sottomettere giovani, intellettuali e donne critiche, così come induisti, taoisti, mussulmani, ecc. si vedono costretti a ritirarsi dal mondo. Si accontentano di grandi celebrazioni, di parate o show in mondovisione, ma senza dialogo, senza rapporti, senza sentimenti in comune. Come in ogni celebrazione chi "vince" o chi "esiste" è il solo prete-papa. la folla, il pubblico, gli oranti soccombono come "persone", cioè come soggetti pensanti, come fonti di problemi e di soluzioni.

In un sinodo di vescovi, come in una normale eucarestia, chi è tutto è uno solo: gli altri sono semplici "zeri", che possono avere un valore solo se si accodano all’"uno", cioè se rinunciano ad "essere". Tutto ciò risponde ad una filosofia dicotomizzante che separa il "sopra" dal "sotto", il "capo" dalla "massa", la "mente dagli "effetti", la persona dalla "natura", Dio dall’uomo, il conscio dall’inconscio.

D. annota che nel racconto di Marco (1,12-13) l’indicazione è diversa. Gesù stava con le "fiere" e gli angeli lo servivano, cioè egli era in grado di fare la pace tra l’Io e la parte animale dell’Es, così come con le forze ideali e angelicali del Super Io.

"In realtà la Chiesa cattolica fa di tutto per disgregare il sistema dei passaggi cercando di imporre invece un aut aut: bisogna scegliere un’attività remunerata oppure la povertà, un’esistenza borghese oppure il monachesimo, il matrimonio oppure il celibato."

Il conscio oppure l’inconscio. D. nota che è proprio a livello di tale dicotomia che si struttura il sistema clericale che privilegia la componente consapevole a scapito di quella dell’inconscio, con due innegabili vantaggi:

"permette delle valutazioni che sembrano sicurissime secondo principi ritenuti chiari, e al tempo stesso semplifica la formazione ecclesiastica che si limita quindi a impartire insegnamenti morali e concettuali, a insegnare cioè determinati comportamenti e contenuti culturali. Non c’è bisogno di porsi domande sulla vera formazione della personalità né tanto meno di favorire una successiva formazione personale degli interessati; di conseguenza neppure gli istruttori sono costretti a interrogarsi sulla propria personalità né ad impegnarsi davvero in prima persona. A questo punto la via per diventare chierico può essere standardizzata e oggettivata: l’apparato istituzionale comincia a lavorare velocemente e senza intoppi."

A fronte di questi due vantaggi il mondo psichico dei chierici (comprensivo anche delle religiose) va incontro a due conseguenze inconsce che si estendono anche a tutta la chiesa: la proiezione inconscia su Dio e la personalità contraddittoria.

 

 

IL DIO DELLE PROIEZIONI CLERICALI

Quando si effettua una rimozione quel che ne consegue é che si ha la sensazione illusoria di aver nullificato la parte rimossa dello psichismo: in realtà essa viene proiettata all’esterno, e quindi anche su Dio, cosicché questi perde le caratteristiche proprie per assumere quelle che impropriamente e irrealisticamente il soggetto gli attribuisce. A causa di queste proiezioni abusive Dio, ad esempio, viene connotato in modo ambiguo perché da un lato egli è buono ma al tempo stesso tirannico, punitivo e vendicativo, proprio perché a lui vengono attribuiti quei sentimenti ambivalenti di cui il chierico si disfa, dato che rimuove quello che il Super Io non accetta.

Questa conseguenza non è circoscritta ai membri dell’organizzazione clericale ma si estende a tutta la chiesa: il chierico dovrà insegnare una dottrina contraddittoria e cioè che Dio è un essere estremamente buono, ma al tempo stesso permaloso e vendicativo, che richiede l’uccisione del figlio per essere risarcito di una colpa commessa milioni di anni fa da una coppia ignota (Adamo ed Eva) e che per di più si trasmette (non si sa bene per quale catena biologica e per quale destino irrazionale) a tutti gli uomini fino alla consumazione del pianeta. Di qui due dinamiche divine: una creativa (oblativa) e una redentiva (punitiva), che comporta l’annullamento fisico del Dio-Figlio (buono e vittima) a vantaggio di un Dio Padre (collerico ed intollerante).

Drewermann si chiede:

"Ma che "padre" è questo che, stando alle informazioni fornite dai teologi, ama con un amore infinito al punto tale da essere infinitamente disposto a perdonare l’umanità, mentre è al tempo stesso così infinitamente giusto da reputare il peccato di uomini e donne un infinito oltraggio contro se stesso, un padre che pertanto ha bisogno di un sacrificio infinitamente prezioso, del sacrificio del proprio FIGLIO cioè, per risolvere in se stesso in modo estremamente curioso la contraddizione tra misericordia e punizione nel quale il Sapiente e l’Onnisciente fu spinto dal peccato dell’umanità? Quando Gesù parlava di suo Padre lo descriveva sempre simile a un re che senza alcuna condizione perdona ai suoi debitori tutto, semplicemente perché nella loro situazione disperata non sono assolutamente in grado di saldare una pur minima parte dei loro debiti."

Il problema rappresentato dal binomio" peccato originale-redenzione" è centrale per D. anche nelle precedenti ricerche: egli ritiene, suffragato da una adeguata esegesi, che la lettura biologistico-materialista della "Genesi" abbia indotto i soggetti predisposti al sacrificio vittimistico a sviluppare una lettura perversa di Dio e quindi a presentare un "Dio perverso".

Tali persone saranno indotte, inconsapevolmente, a dare un contributo permanente ad una teo-filosofia incentrata sul sacrificio espiativo: di qui il circolo vizioso di un apparato clericale modellato teologicamente da una filosofia dell’autosacrificio espiativo (e non oblativo) che genera, ed avalla, con dogmi immobilizzanti una teologia del sacrificio (sado-masochistico), la quale a sua volta genera una chiesa orientata verso una visione del mondo inconscia di tipo redentivo-riparativo-espiativo.

Inutile domandarsi se nasce prima l’uovo o la gallina: le esigenze psicodinamiche di una vita all’insegna della riparazione, della colpa e della sottomissione al Super Io si coniugano, "come la chiave con la serratura", con una teologia ed una pastorale che "deve" idealizzare il sacrificio riparativo-espiativo, la sola condizione per essere accettati dal Padre (Dio) e dalla Madre (Chiesa).

Drewermann annota:

"Un fatto emerge con estrema chiarezza durante il lavoro psicoanalitico sulle resistenze che si presentano durante la terapia di chierici: essi hanno un bisogno enorme di aggrapparsi con tutte le loro forze all’ideologia e alla mistica del sacrificio. Chi mette in crisi questa ideologia e questa mistica fa vacillare l’Io faticosamente stabilito del chierico; rovina l’autostima dell’interessato che ha bisogno di un annichilimento fittizio, di un annientamento dimostrativo, per essere ammesso all’essere; e in questo modo mette in pericolo l’identità stessa dell’interessato in quanto fa scomparire la differenza che separa il chierico da tutti gli altri per il fatto che lui è un altro e diverso dagli altri. Dobbiamo concludere che dietro e sotto questa teologia del sacrificio si nasconde un immenso desiderio di autoannientamento, un dictat dell’angoscia, un vero "attentato da vampiro" perpetrato contro il chierico quando era ancora bambino o bambina, anche se non comprendiamo il perchè di tutto questo."

L’apparato clericale, dunque, è la "chiave" con cui si può mettere in movimento la "serratura" teologico-pastorale della chiesa, la quale non potrebbe essere operativa se non trovasse un accordo (inconscio) con la "chiave" rappresentata dall’apparato psichico del chierico-religioso.

In altri termini: un fedele che non credesse all’interpretazione materialistica del peccato originale e, quindi, all’opera di Gesù come universalmente riparativa dell’offesa al Padre, non avrebbe alcuna possibilità di diventare chierico o rimanere religioso della chiesa cattolica, a meno che egli non viva alla periferia della stessa, in un atteggiamento praticamente dissidente. Non a caso tali chierici o religiosi, comunemente definiti "scomodi", sono sorvegliati a vista, censurati pubblicamente e, spesso, eliminati (il chierico Drewermann ne è una prova documentale).

 

 

LA PERSONALITA’ CONTRADDITTORIA

La seconda conseguenza è intrapsichica ma con ricadute ecclesiali: dato che la funzione dominante mentale è quella del Super-Io, mentre quella perdente è dell’Es, il mondo ecclesiastico deve produrre una personalità con un Io debole e con due qualità assolutamente contraddittorie: da un lato "la calma confortevole da impiegato" (dato l’annullamento della componente istintuale-desiderativa e l’impoverimento dell’Io critico-creativo); e dall’altro una vita decisamente antiborghese secondo i cosiddetti "consigli evangelici". Una vocazione autenticamente clericale non può essere plasmata che in questa tenaglia mortale. C’è la combinazione di due motivazioni

"diametralmente opposte di cui abbiamo parlato sopra, vale a dire, la combinazione dei desideri di normalità e di eccezionalità si spiega solamente in presenza di due movimenti d’inversione; da un lato la persona interessata cerca di allontanarsi da una straordinaria anormalità delle premesse psichiche per ritornare all’apparenza esteriore della normalità, dall’altro vuole liberarsi da una normalità che reputa scandalosa e piccolo borghese per evadere in una realtà eccezionale. A ben vedere questi due movimenti sono delle turbolenze contraddittorie, che nascono da uno stesso centro, ovvero dallo stesso vuoto esistenziale, producendo, in ogni fase dello sviluppo e per ogni istinto, "vortici" diversi."

Ecco il chierico-capo, destinato ad essere un funzionario qualificato del vescovo, a sua volta prestigioso funzionario del papa: tale leadership non è il frutto di una maturazione dell’Io nel confronto quotidiano con gli uomini e le loro vicende. Tutt’altro: il periodo formativo del chierico esclude persino che egli sia valutato o formato da una comunità di credenti, proprio perché l’Io non è in grado di integrare teoria e prassi, Dio e lavoro. L’Io, cioè, si troverebbe di fronte all’angoscia perché carente di strumenti e apprendimenti di tipo integrativo. Essere eletto da Dio come "capo" di un popolo è un occasione per l’Io che, in modo quasi magico, sperimenta la sensazione di essere ben costruito e non mancante di nulla.

"In altre parole: alla luce della psicoanalisi e dell’antropoanalisi, l’elezione di un chierico è il risultato stratificato della compensazione di un disorientamento ontologico, che svuota e disgrega l’esistenza personale dell’individuo in modo così intenso e persistente da far sembrare che la propria identità sia assicurata solo nell’identificazione con un ruolo estraneo, nella fusione con il contenuto di un incarico oggettivamente dato. A questo punto "l’ufficio" diventa la verità fondamentale del Sé, lo conferma e lo conserva, e infine diventa l’unico valore secondo il quale l’Io dell’individuo interpreta se stesso. Per gli interessati l’aspetto essenziale della loro esistenza non è dunque più il loro essere persone, bensì l’essere chierici."

Ma c’è una reazione a catena che si determina nel mondo ecclesiastico una volta che l’Io si trova ad essere inabile a gestire i conflitti, accettando che l’Es soccomba di fronte al Super Io: tale processo non può essere fermato da chicchessia, nemmeno dall’autorità suprema, complice e vittima di un sistema patologico, che ha effetti strutturali sullo psichismo clericale. Osserviamone alcuni.

 

 

L’ALIENAZIONE DEL PENSIERO

Dato che il chierico deve immolare l’Io e l’Es al Super Io, è questi, cioè l’esterno, a dettar legge. L’apprendimento personale, la ricerca sofferta e dubbiosa sono tassativamente esclusi. La realtà impiegatizia esige un pensiero "eteronomo", disposto solo ad identificarsi con il pensiero dell’autorità. Un pensiero, quindi, su incarico, che parte da determinati contenuti e principi morali e che viene tramandato e applicato alla realtà senza bisogno di mediazioni.

"L’aspetto decisivo del loro pensiero all’insegna del Super-Io consiste appunto nel fatto che non partono dalle esperienze della vita per capire Dio e la Rivelazione; piuttosto muovono da Dio o dai contenuti stabiliti della rivelazione di Dio avvenuta una volta per tutte, per accostarsi poi alla realtà umana. Letta in questa chiave, le formule, la mancanza di naturalezza, le ossessioni e la noiosità presenti nel linguaggio ufficiale dei chierici non sono dunque una trovata casuale, una mera degenerazione di stile e buon gusto, ma piuttosto l’espressione e la manifestazione di una struttura patogena che incide in modo determinante sull’esistenza clericale stessa."

Il rifiuto a pensare per l’angoscia di cadere nel "disorientamento ontologico" induce il chierico non solo ad aggrapparsi alla dottrina infallibile dell’apparato che lo sostiene ma a far sì che la religione stessa appaia "sicurezza", "certezza" immutabile, la qual cosa non può che sviluppare nel chierico, come nei suoi fedeli, un senso di grandiosità del Sé.

Un altro aspetto di tale pensiero burocratizzato ed alienato è che il soggetto non è tenuto a rispettare la verità, tanto meno a cercarla, né deve essere attento alla trasparenza e alla sincerità. Quello che conta è la lealtà, intesa come dipendenza. Tale pensiero non è quindi attrezzato al coraggio e sarà incapace di passare ad un contrasto virile per amore della verità. Non è un caso che i martiri-chierici siano una rarità nella storia della chiesa occidentale post-costantiniana: le eccezioni ci sono, ma fanno quasi sempre parte dei cosiddetti "preti o vescovi scomodi".

Scienza, arte, politica, società, psiche, sono territori che il chierico non esplorerà mai nel suo curriculum ecclesiastico, se non per riecheggiare dogmi, encicliche o controversie teologiche.

Persino in relazione alla Bibbia il pensiero ecclesiastico si muove all’insegna di una ripetizione meccanica di quanto impone l’autorità super egoica: l’esegesi rigorosa dei testi biblici è evitata, anche perché essa non può essere integrata alla realtà presente, proprio perché tale funzione egoica è carente. Di rado si udirà una predica che tenga conto degli avvenimenti dell’attualità e dello stato maturativo dei fedeli.

Drewermann così riassume il problema della paralisi del pensiero clericale:

"Finché il pensiero clericale all’insegna del Super-Io rimarrà legato alla verità d’ufficio, servirà esclusivamente a combattere, a debellare e letteralmente a "negare" il proprio Io; ne consegue inevitabilmente che con questo apparato mentale con il quale si cerca di placare l’angoscia, non viene risolta, ma perpetuata la contraddizione originaria, vale a dire l’insicurezza ontologica fondamentale nei confronti della propria esistenza. Calmando l’angoscia a scapito dell’Io si produce quindi un sistema di permanente eteronomia autoritaria introiettata come istanza divina a livello di Super-Io."

Per mantenere tale sistema bisogna, ovviamente, ricorrere a sistemi coercitivi, al potere e non allo spirito; a pratiche di omogeneizzazione (encicliche vincolanti per tutti, liturgie standardizzate, ecc.) piuttosto che a riflessioni comuni; a censure e punizioni piuttosto che a pratiche di condivisione e comunione.

 

 

LA RAZIONALIZZAZIONE DELLA FEDE

La rimozione dell’inconscio e di tutte le forze istintuali, oniriche o di tipo analogico conduce inevitabilmente l’apparato ecclesiale a motivare e spiegare i "misteri" della fede con i mezzi logici della filosofia. Fin dal primo secolo, anche nel tentativo di farsi ascoltare dai filosofi pagani, Cristo viene interpretato come Logos, come concretizzazione della sapienza di Dio. Desideri, emozioni, sensazioni, passioni non entrano nel Cristo reso Logos, con due ricadute immediate:

"il dogma assume la forma di un resoconto razionale e astratto di verità salvifiche, che vanno insegnate e recitate parola per parola per comunicare e per far propria la fede in Cristo; questa trasformazione della fede in Cristo in una dottrina di "fatti salvifici" oggettivamente dati, rappresenta il passo che promuove e pretende strutturalmente la psicodinamica dei chierici che con il passare dei secoli si è profilata con sempre maggiore chiarezza."

A ciò si aggiunga che un pensiero all’insegna del Super Io conduce a (ed è il prodotto di) una tendenza a trasformare le persone in "cose" e le cose in idee. Le persone come tali, nella loro problematicità e nella loro ricchezza, non esistono. Di qui la tendenza a privilegiare il piano delle idee astratte e ad eliminare, reprimere o svalutare inconsapevolmente l’elemento personale. Con i secoli nasce una vera ideologia "clericale", secondo cui preti e suore non hanno normalmente diritto ad avere una vita privata, soddisfazioni innocue, amicizie personalizzate, hobbies e sport. Se un prete ama cani o gatti diventa spesso un caso giornalistico e dovrà rassegnarsi a vivere da emarginato all’interno della corporazione.

In sostanza si sviluppa un’ideologia secondo cui il chierico deve tornare ad essere una materia informe che il Dio burocratizzato della gerarchia può e deve plasmare a suo piacimento. "Sia fatta la tua volontà" non si applica tanto a Dio che non parla (in senso antropologico) ma ai superiori, che ne sono un’incarnazione vivente, per cui essi possono fare ciò che vogliono, dato che essi sono, di fatto, Dio.

"Così si sostituisce tacitamente l’autorità di Dio che nell’intimo dell’uomo parla al suo cuore, con l’autorità esteriore del Papa e della Chiesa, ma non solo: in questo modo si neutralizza tutta la sfera dei sentimenti umani a favore del decisionismo del potere.

Ciò che Gesù aveva tassativamente proibito, e cioè che nella sua comunità si costituissero vecchi rapporti padre-figlio, servo-padrone, viene innalzato a dogma di fede: e così la vita che doveva essere "piena" diventa vuota e ritualizzata, lontana da ogni affetto autentico.

 

 

I VANTAGGI DELLA VITA CLERICALE

A questo punto mancano almeno due quesiti: quali vantaggi? e qual è la genesi psicologica? In effetti quale vantaggio deve esserci per un chierico che accetta di entrare in un’istituzione, nonostante rinunce consistenti a parti della propria vita?

Drewermann lo spiega con il fatto che l’apparato ecclesiastico, se da un lato svuota l’Io, dall’altro idealizza l’immagine del chierico, al punto da farne un rappresentante personale di Dio, un contenitore di grazie, un intermediario dell’onnipotenza, il Padre ideale che sta al centro di tutti e di tutto. Questo "innalzamento" lo rifornisce di stima e soprattutto di amore. Se è amato allora esiste, non è vero che è rifiutato.

"Dal punto di vista psicoanalitico la figura del prete, quella figura che rappresenta in mezzo agli uomini il Padre celeste che è in cielo, produce almeno nei "fedeli" una spiccata tendenza a operare su di essa transfert paterni di ogni specie....Soprattutto l’idealizzazione religiosa della figura paterna del prete, la sua vicinanza alle sfere della salvezza e del perdono, il potere di "legare" e di "sciogliere" sopra la terra in nome di Dio, dà al prete i tratti di una personalità mana, ovvero lo avvicina all’archetipo del medico divino; qui sta uno dei pilastri più importanti su cui poggia il potere psicologico di Madre Chiesa sulle anime dei suoi "figli."

Ecco perché il fallimento pastorale, assai frequente in società adulte, meno disposte a idealizzare e più scaltre nel valutare realisticamente le funzioni del prete-religioso, si può tradurre in una tragedia psicologica, dato che l’identificazione dell’Io con un ruolo professionale e con Dio si è dimostrata fallace.

 

 

PSICOGENESI DELLA VOCAZIONE CLERICALE

Per spiegare l’inclinazione di milioni di chierici e religiose ad entrare in una "milizia" cristiana che si distanzia spesso anni luce dal discepolato di Gesù occorre, dice D., fare un cammino a ritroso nella storia personale di queste persone e non limitarsi a cercare spiegazioni esclusivamente sociologiche, come il potere, la sicurezza economica, ecc. Egli ritiene che nei primi anni della vita il chierico religioso-suora abbia sperimentato, senza esserne cosciente, un rifiuto da parte dei genitori, non tanto voluto, quanto "involontario", rifiuto che può nascere, ad esempio, da un sovraccarico del genitore o da un suo limite affettivo. Frequente è il caso di una madre che vuole amare il proprio figlio, ma è emotivamente incapace di amarlo.

"Di conseguenza tutto il rapporto tra madre e figlio manca di un autentico calore umano. Per far fronte all’assenza di affetto spontaneo si aumentano quindi gli sforzi di volontà che a loro volta rafforzano i sentimenti di fondo dell’originario rifiuto, questa situazione mobilita nella madre sensi di colpa che non possono che rafforzare ulteriormente il comportamento all’insegna della correttezza obbligatoria: un primo circolo vizioso di sentimenti repressi e di una tendenza alla riparazione dettata da sensi di colpa e da doveri morali."

Agli inizi della vita il chierico avrebbe sperimentato un contatto con una madre abbastanza vicina da poter risvegliare le speranze più intense e contemporaneamente abbastanza lontana da deludere tali speranze in modo traumatico. "Solo in presenza di questa esperienza contraddittoria nasce l’ambivalenza tipica della psiche clericale". In sostanza l’ambivalenza materna viene inconsciamente introiettata dal figlio e altrettanto inconsciamente proiettata su Dio, fino al punto da essere legittimata teologicamente. In fondo anche Dio, sempre secondo tale "teologia", mette al mondo l’uomo, ma poi lo caccia; gli è vicino , ma gli è anche lontano; lo ama ma lo rigetta. E così il Dio dei chierici è diventato ambivalente: crea l’uomo libero ma lo vuole dipendente; lo accoppia con una donna ma ecco che i due cominciano a litigare e a rinfacciarsi la colpa. Il dio "clericale" è un Dio meraviglioso che per l’uomo fabbrica galassie, mari, montagne, piante ed animali. alla prima mancanza però, diventa intollerante e vendicativo fino all’ultima generazione. Questo zoccolo duro della teologia cattolica, che viene riversato da secoli in miliardi di prediche e di libri di pietà, deve essere letto alla luce della proto-esperienza attraversata inconsciamente dal chierico, per cui il fatto stesso di essere al mondo è una colpa. Non a caso si parla di peccato originale, anche se nessuno sa spiegare in che cosa consista e come si trasmetta tale maledizione che raggiungerebbe l’uomo appena concepito. Sfortunatamente è proprio la rimozione di quelle proto-esperienze personali che dà l’avvio alla loro proiezione su Dio, per cui il chierico ha, paradossalmente, bisogno proprio di Dio affinché questi porti la croce delle ambivalenze personali che il Super Io non gli consente di riconoscere come proprie.

Scrive Drewermann:

"Per capire come un bambino diventi chierico, bisogna pensare psicologicamente proprio secondo lo schema della dottrina sostenuta dalla teologia cristiana; tutto l’esserci si fonda su un sacrificio primario che a sua volta comporta l’obbligo di essere infinitamente grati, in quanto tale sacrificio rivela e toglie la colpa altrimenti inestinguibile dell’origine, ossia il "peccato originale."

E’ ovvio che gli stessi desideri del figlio (futuro chierico) costituiscano per la madre una pretesa eccessiva (come per Dio è una pretesa eccessiva quella di Adamo di andare dove più gli piaceva): ma è proprio tale pretesa filiale ad obbligare la madre a votarsi al sacrificio in nome dell’amore per lui, così come Dio dovrà sacrificarsi fino all’autoimmolazione per salvare i propri figli. Nel linguaggio psicoanalitico tali concetti possono essere così espressi, secondo Drewermann:

"l’identificazione (inconscia) del figlio con la madre , ossia con il suo spirito di sacrificio, spinge il figlio più tardi ad assumere il mandato di chierico. Deve imitare il comportamento della madre e assumere i suoi principi e la sua mentalità per mantenerla letteralmente in vita e salvarla dalla prigionia della morte. Solo nel sacrificio di sé offerto (liberamente) dal figlio, si compie "l’opera della madre "...; solo facendo propria la mentalità della madre fatta di abdicazione e autorepressione, il figlio sente di essere realmente "redento" dalla colpa di esserci."

In tutto ciò ha una rilevanza capitale il coinvolgimento di Maria e la sua opera corredentrice: il sacrificio redentore richiesto alla "madre" e al "figlio" per salvare il mondo del "padre" formano un elemento unico, ma tripolare nella predicazione cattolica che combacia con l’esperienza primaria del chierico, dove il sacrificio è richiesto dalla madre al figlio, a vantaggio di un padre assente o lontano.

"Nel contesto della nostra problematica l’aspetto decisivo è però il fatto che, in sostituzione del padre assente, il figlio acquista un’importanza fondamentale per la vita della madre fino a diventare letteralmente il "salvatore" che dà senso e contenuto alla vita di lei."

Altre volte è l’opprimente vicinanza del padre a causare nella madre angosce tali da segnare il figlio e predisporlo ad una vita sacrificale.

"Dall’opposizione reciproca tra il padre e la madre deriva l’importanza emotiva di un altro teorema teologico che nella dogmatica cattolica occupa un ruolo centrale. Se osserviamo la pietà, che di fatto caratterizza la maggior parte dei chierici, ci rendiamo conto che loro vivono in fondo come se ci fossero due déi in netto contrasto l’uno con l’altro: da una parte credono in Gesù Cristo che rappresenta insieme con sua madre la quintessenza dell’amore, dall’altra credono nel Padre quale quintessenza della giustizia, della severità e della punizione. E’ vero che la Chiesa ha respinto già da molto tempo la dottrina di Marcione secondo la quale il Dio della creazione sarebbe radicalmente diverso dal Dio della redenzione, ma a livello dei sentimenti questa scissione è tuttora abbastanza efficace e influenza perfino la preghiera in seno alla Chiesa cattolica; tale scissione emerge per esempio nelle litanie e nei canti con i quali i fedeli supplicano la Madre di Dio di intercedere accanto a suo figlio presso il trono di Dio per l’umanità minacciata, sofferente e peccatrice affinché Egli le conceda protezione e aiuto."

Nel corso di tale excursus è possibile che si siano affacciate più obiezioni, ma una è quasi inevitabile: ammettendo che le cose stiano in questo modo, è pur vero che ci sono preti e suore che non solo non hanno un Io debole, ma sono ammirati per il loro coraggio. Si potrebbe obiettare a tale verità indiscutibile che una rondine non fa primavera. La realtà, comunque, conferma l’analisi di D., perché tali "chierici forti" non hanno un peso nell’organizzazione ecclesiale. Tutti costoro vivono fuori dell’organizzazione ecclesiastica, (non fuori della Chiesa!), al massimo in zone di frontiera, se non in recinti con precisi divieti a parlare in sinodi, assemblee pubbliche e persino in chiese o sale appartenenti all’ambito ecclesiastico. La stessa cosa può valere per vescovi scomodi: quelli con un Io forte vengono tallonati, sorvegliati, ammansiti con "ausiliari", se non rimossi e inviati nel limbo di " Partenia" (vedi il caso istruttivo di Mons. Gallot).

A mo’ di conclusione, citiamo l’ultima "indiscrezione" apparsa su Adista (23 sett.95), consistente in un documento non ufficiale dell’episcopato nordamericano firmato da 12 vescovi e appoggiato da altri 40. Il testo, frutto del lavoro di una riunione annuale con teologi e laici, pubblicato su "Origins’s"(Luglio 95), rivista ufficiosa dell’episcopato USA, fa un’analisi della conferenza che conferma la gravità della situazione psicodinamica, oltre a mettere in luce, ovviamente, gli aspetti positivi. Nel testo si legge:

"A nessuno, certo, viene impedito realmente di parlare, ma perdiamo di fatto l’opportunità di aver quello scambio aperto che riflette i pensieri e i sentimenti che si comunicano privatamente."

"Le parrocchie e le diocesi registrano una diminuzione di praticanti.. Siamo riusciti ad istruire i cattolici sulle verità di base... ma non a trasmettere la nostra relazione di fede con un Dio che ci ama."

"Di fatto attualmente succede che alcuni vescovi dicono spesso la loro opinione, molti (forse l’80%) parlano assai raramente o non parlano affatto."

" Nelle questioni vitali di natura pastorale i vescovi talvolta si sentono ignorati. Un recente esempio è stata la traduzione inglese del Catechismo. Questo è stato completamente strappato di mano a noi e ai vescovi delle altre Conferenze di lingua inglese...Noi aspettiamo pazientemente, quasi come bambini.."

" La guida per i preti è stata emessa dalla Congregazione per il clero senza collaborazione da parte delle Conferenze dei vescovi."

"La ristrutturazione della Conferenza e delle sue procedure non arriverà al suo scopo se i vescovi sono incapaci di parlarsi sinceramente gli uni gli altri."

"Certe questioni non vengono mai sul tappeto perché sono troppo delicate e controverse.."

"I vescovi possono essere tentati di scivolare nel ruolo di funzionari o di accontentarsi del minimo indispensabile."

"...c’è la sensazione che tra i criteri per la selezione dei vescovi le qualità di leadership siano considerevolmente messe in ombra da un interesse prevalente per le caratteristiche che permettono di identificare un candidato come "innocuo."

Lo psicogramma del chierico, per di più vescovo, tracciato dai vescovi americani, non si discosta da quello di Drewermann: in fondo c’è una convergenza fondamentale sul fatto che i vescovi sono "bambini che aspettano", che non sanno parlarsi sinceramente, né affrontare apertamente problemi scottanti e controversi. Salvo eccezioni alla Gallot, questo è quello che passa ...il convento!

Non meraviglia, dunque, che essendo "bambini" siano incapaci di trasmettere la loro "relazione di fede con un Dio che ama" mentre essi riescono a svolgere la funzione superegoica di "istruire" i cattolici sulle verità di fede, sulle leggi e le pratiche della Chiesa", proprio perché la funzione mentale ipertrofizzata è quella del Super Io. Quindi vescovi con un Io infantile, governati da un Super Io "romano" che dispone a suo piacimento di quello che essi debbono pensare e fare e di cui diventano i ripetitori. Vescovi come burocrati? Questa è la conclusione di Drewermann e questa è la constatazione di un manipolo di vescovi americani, che, però, non possono dire apertamente quanto pensano alla comunità ecclesiale.

Fino a quando potrà reggere una struttura infantile burocratizzata?

 

Contributo di Luigi De Paoli

*EUGEN DREWERMANN è teologo e terapeuta. È nato nel 1940 a Bergkamen in Germania, ha studiato filosofia, teologia e psicanalisi, è dottore in teologia ed è uno degli scrittori più letti del nostro tempo.Presso l'Editrice Queriniana ha pubblicato: Psicanalisi e teologia morale; -Il vangelo di Marco. Immagini di redenzione; -Parola che salva parola che guarisce. La forza liberatrice della fede; -Il cammino pericoloso della redenzione. La leggenda di Tobia interpretata alla luce della psicologia del profondo; - Il messaggio delle donne. Il sapere dell'amore; -L'essenziale è invisibile. Una interpretazione psicanalitica del Piccolo Princtpe; - Parole per una terra da scoprire; -I tempi dell'amore.