Il segno della croce

 Enzo Mazzi

Il crocifisso è un simbolo. Il suo significato sta altrove. Dalle pareti di una scuola, di un tribunale, di una chiesa, di una banca, di un carcere, di una caserma, come dalla sommità di una montagna, la croce lancia un messaggio. Anzi ne lancia molti. In questi giorni di polemiche a causa della sentenza del tribunale dell'Aquila, che impone di toglierlo da una scuola, si sono moltiplicati i significati del crocifisso: sigillo dei valori di pace, fraternità, solidarietà alla base dell'identità italiana, testimonianza del dolore universale, riscatto del sangue versato per la giustizia. Tutto vero. Stringi stringi però a rigore di teologia e di storia tutti i significati finiscono per confluire nel grande mare del potere. Il crocifisso è simbolo non di un qualsiasi volgare potere, ma del potere dei poteri, potere assoluto, trascendente e quindi globale, potere di Cristo morto, risorto e trionfante, potere che vive e si manifesta in ogni tempo nella Chiesa cattolica e nella sua gerarchia. Si dirà che è riduttivo un simile modo di vedere. Come fa ad essere simbolo del potere l'icona della vittima per eccellenza del potere: Gesù pendente dalla croce? Semmai sarà simbolo del valore salvifico universale della sofferenza e della solidarietà. Ma allora com'è che Costantino ha messo la croce sui suoi labari e in quel segno ha ucciso e in quel segno ha vinto? Com'è che da quel momento la croce è trionfo e vittoria? E' vero che poi Costantino in omaggio alla croce ha abolito la crocifissione. Non però la sostanza del supplizio. Si potrebbe continuare sul filo della storia, dalla croce indossata dai crociati alla croce brandita dai conquistatori alla croce usata per accendere i roghi di eretici e streghe. Ma questo appello alla storia è talmente conosciuto da apparire quasi ovvio. Più stringente e meno conosciuto è l'appello alla teologia.

La croce è lì a testimoniare un principio fondamentale della teologia cattolica tuttora dominante: il sacrificio dell'innocente è il vero fondamento della storia. Si chiama teologia sacrificale. Abele, archetipo dell'innocente, non può non essere sacrificato perché in realtà l'innocenza di Abele è solo apparente. Abele porta su di sé indelebile la colpa originale. E' questa colpa che rende inevitabile il sacrificio di Abele. Caino è solo uno strumento, perverso, del carattere radicalmente distruttivo del peccato originale. Sacrificio inevitabile quello di Abele ma anche insufficiente - continua la teologia sacrificale - perché la colpa è infinita in quanto colpisce il Dio infinito, mentre l'espiazione di quanti si voglia Abele è sempre espiazione di creature finite e quindi finita essa stessa. C'è un solo sangue che, pur non potendo sopprimere nella storia il sacrificio di Abele, può dargli però un senso e un senso pieno e positivo: il sangue del Figlio di Dio. La storia rimarrà segnata fino alla sua fine dal sacrificio degli innocenti-colpevoli perché il sangue di Gesù non cambia il corso della storia. Cristo riscatta di fronte alla giustizia divina il sangue di ogni Abele in modo misterioso e sostanzialmente invisibile. Il riscatto storico può e deve essere affidato alla dimensione non della giustizia ma della carità come anticipazione di ciò che sarà reale e compiuto solo alla fine della storia. Il grido del sangue di Abele può e deve sciogliere i cuori ma non deve intaccare i meccanismi del potere. La croce è stata elevata e amata non come vessillo del riscatto storico ma come simbolo supremo del riscatto trascendentale senza storia. La gerarchia religiosa può gridare quanto vuole contro l'ingiustizia, ma le sue parole sono svuotate in radice di significato e rese incoerenti dalla ostensione del crocifisso oltreché, s'intende, dalla ritualità eucaristica di tipo sacrificale.

E' stato facile per ogni potere oppressivo, fino dagli inizi del cristianesimo, fin da Costantino, strumentalizzare la croce come invito alla rassegnazione di fronte alla sofferenza e di fronte alla ingiustizia. Su tale strumentalizzazione è stata costruita la ideologia del dominio e, nell'orizzonte del dominio, la cultura della carità cristiana nel Medioevo e nel tempo della Controriforma. Da tale strumentalizzazione è nata l'ideologia capitalista della guerra di tutti contro tutti. Ma non è proprio questa cultura della carità che torna a dominare anche nel nostro tempo in conseguenza del declino della cultura della giustizia e dei diritti? E, immancabile, insieme al dominio della cultura della carità torna il dominio della croce. Il decreto del giudice dell'Aquila lo ha messo in particolare evidenza con la sollevazione di scudi che ne nata. Ma la Moratti ci aveva già pensato: croce e opere di bene.

La risposta della teologia sacrificale, sebbene da un certo punto in poi sia stata quella dominante, non è però l'unica. Nel profondo dell'anima cristiana si è da sempre sviluppata un'altra risposta: quella che il teologo della liberazione padre Ignacio Ellacuria ha chiamata «soteriologia storica» o teologia della salvezza storica. A differenza della teologia sacrificale, la soteriologia storica contesta il destino di perennità storica del sacrificio di Abele. E lo fa in atteggiamento critico anche nei confronti di un certo marxismo che nega fiducia al proletariato straccione (lumpenproletariat).

Il grido del sangue di Abele non è solo lamento impotente senza riscatto storico. E' anche grido di lotta per non dire di rivoluzione. Di conseguenza i "poveri" e gli "oppressi" non sono solo destinatari del vangelo della salvezza trascendente e sul piano storico oggetto di solidarietà caritatevole. Sono essi stessi soggetti storici del proprio riscatto e del riscatto universale. E' così che nelle comunità di base, da cui quella teologia traeva ispirazione, la croce ha incominciato ad essere sostituita dal vangelo.

C'è stato un momento in cui nei paesi dell'America Latina dominati da feroci dittature, come ad esempio in Salvador, Guatemala, Uruguai, era passibile di arresto o di sparizione chi veniva trovato in possesso della Bibbia, si noti bene non in possesso della croce ma della Bibbia, specialmente della "Biblia latino-americana", la cui traduzione era considerata sovversiva. Tanto che monsignor Oscar Romero, il vescovo di San Salvador ucciso all'altare nel 1979, poco prima di morire aveva consigliato ai catechisti e cristiani delle comunità di base di sotterrare la Bibbia.

Ho portato l'esperienza delle comunità di base. Ma solo come esempio. Il processo critico verso la croce da parte del "cattolicesimo dei diritti e del riscatto storico dei poveri" ha dimensioni molto più vaste. Meno croce e più Vangelo valeva anche nella scuola di Barbiana da dove don Milani aveva tolto il crocifisso. E vale oggi per tante esperienze di fede cristiana. Il problema è che il sistema dei media non ne dà notizia.

Cosa voglio dire? Sostanzialmente che è ingenuo e superficiale appellarsi ai valori della croce. Un po' più di dignità personale e di profondità sia storica sia teologica e un po' più di attenzione ai processi sociali di oggi non farebbe male neanche a sinistra e negli stessi movimenti. La croce è scandalo non solo per qualche appartenente ad altre religioni ma anche per tanti credenti, portatori di una fede cristiana come quella del gesuita ucciso in Salvador. La croce è scandalo per chiunque lotti per il riscatto storico dell'essere umano.

 (da il manifesto 29.10.2003)