"UN'ALTRA FORMA DI TERRORISMO". I BOMBARDAMENTI SULL'AFGHANISTAN SECONDO I VESCOVI E PASTORI BRASILIANI

DOC-1132. IBIÚNA-ADISTA. Cadono le bombe sui villaggi afghani, sui quartieri civili. Colpiscono - involontariamente, ci rassicura il Pentagono - un'agenzia di sminamento, un ospizio, un ospedale militare, forse anche uno civile. Per il governo Bush, e per chi lo appoggia, sono "danni collaterali". Ma a molti questa definizione sta decisamente stretta. Così è, senza alcun dubbio, per un gruppo di vescovi cattolici e di pastori evangelici riuniti a Ibiúna, nello Stato di San Paolo, per una settimana di riflessione e preghiera. Il bombardamento anglo-americano contro l'Afghanistan - denunciano infatti in un documento dal titolo "Clamore dei popoli per la giustizia, la solidarietà e la pace - non è che un'altra forma di terrorismo, solo "praticato, ora, da governi che si presentano come democratici, civili e cristiani". Un documento molto forte, sottoscritto (fino al 21, ma la raccolta delle firme è ancora in corso) da 23 vescovi cattolici - in maggioranza brasiliani, tra cui Franco Masserdotti di Balsas; Apparecido José Dias di Roraima; Pedro Casaldáliga di São Felix do Araguaia; José Maria Pires, emerito di Paraíba, Tomás Balduino, emerito di Goiás; ma anche argentini e messicani, come Samuel Ruiz e Raúl Vera Lopez, e due protestanti: il vescovo episcopaliano di Brasilia Almir dos Santos e il pastore luterano di San Paolo Rolf Schunemann. Di seguito il documento, in una nostra traduzione dal portoghese.

Noi firmatari, vescovi e pastori evangelici e cattolici del Brasile e di altri Paesi dell'America Latina, riuniti per delle giornate di studio, riflessione e preghiera, ad Ibiúna, San Paolo, dal 15 al 22 ottobre del 2001, abbiamo deciso di esprimere la nostra angoscia e preoccupazione di fronte all'attuale situazione internazionale.
Condanniamo ogni e qualsiasi atto terroristico, come quelli dell'11 settembre scorso che hanno suscitato rifiuto e costernazione universali per la loro follia e per le migliaia di vittime che hanno provocato, anche tra i gruppi di soccorso. Si è udito, da ogni parte, un grande clamore per la giustizia seguito da gesti di compassione e solidarietà con le vittime e i loro familiari.
Per altro lato, l'indebita trasformazione di questa richiesta di giustizia in atti di vendetta e di rappresaglia, con bombardamenti aerei contro l'Afghanistan, è ugualmente terrorismo, praticato, ora, da governi che si presentano come democratici, civili e cristiani.
I bombardamenti stanno provocando innumerevoli vittime innocenti, compresi donne, bambini e anziani, la distruzione dell'infrastruttura, l'aumento della fame e della disperazione, l'aggravamento della situazione sanitaria, gettando sulla strada milioni di rifugiati. Si è incentivata, deliberatamente, una recrudescenza della guerra civile tra fazioni politiche rivali, con rinnovate sofferenze per la popolazione. Oggi il clamore per la giustizia è accompagnato da un crescente grido per la pace che si esprime in ripetute proteste e marce contro la guerra, in manifesti e celebrazioni ecumeniche e interreligiose a favore della pace.
Ci uniamo a tutte queste persone e istituzioni religiose e civili e alle nostre comunità, per proporre, alla luce della Parola di Dio e di questo anelito profondo dei nostri popoli, un rinnovato impegno per la giustizia e il dialogo, la solidarietà e la pace.


"Il frutto della giustizia è la pace" (Is 32.7)
La prolungata indifferenza internazionale di fronte a situazioni di disumana miseria che colpiscono una parte maggioritaria e crescente della popolazione mondiale sta lasciando una scia di sofferenza e di morte in tutto il mondo e sta generando risentimenti e rivolte contro i pochi Paesi che impongono questo nuovo ordine internazionale e ne godono i frutti, con l'appoggio di organismi internazionali e delle loro politiche di aggiustamento economico. Queste politiche neoliberiste stanno provocando disastri economici e finanziari in molti Paesi piegati sotto il peso di un debito estero impagabile o colpiti da bruschi movimenti e attacchi alle monete locali da parte del capitale speculativo.
Si assiste al ritorno, nei Paesi poveri, di malattie ed epidemie come il colera, la tubercolosi, la febbre gialla, la malaria, che sembravano sotto controllo, e la nascita di pandemie, come quella dell'Aids, che devastano continenti interi.
Dietro quasi tutte le guerre attuali, si muovono gli interessi delle industrie belliche e la disputa per il dominio dei mercati e per il controllo delle risorse naturali strategiche, come il petrolio e il gas.
Senza il superamento delle tensioni provocate dall'esclusione e dall'emarginazione delle grandi maggioranze; senza l'impegno concertato e sincero per diminuire le disuguaglianze internazionali, per eliminare la fame, il razzismo, la discriminazione contro le donne e le minoranze etniche e religiose, per cancellare o ridurre il debito dei Paesi poveri e per limitare la distruzione e i danni ambientali, difficilmente saranno generate condizioni per una pace duratura.
"Mai più guerra! Mai più guerra! È la pace che deve guidare il destino di tutta l'umanità. Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani!", è stato il grido di Paolo VI, il 4 ottobre del 1965, di fronte all'Assemblea dell'Onu, a New York, oggi ferita dagli attentati.
Persone e Paesi che hanno sofferto gli orrori e la follia della guerra senza limiti di qualunque tipo e che si è consumata nell'olocausto nucleare di Hiroshima e Nagasaki, possono unirsi alla voce e alla testimonianza di saggi e pastori, come il Mahatma Ghandi, Martin Luther King e Oscar Romero, martiri della giustizia e della pace, che hanno vissuto la nonviolenza attiva come atteggiamento spirituale e politico.
Di fronte alle moderne armi di distruzione di massa e alla guerra nucleare, chimica o biologica, che mettono a rischio la sopravvivenza del pianeta terra e della stessa umanità, non si può non ricordare la condanna etica pronunciata senza esitazione da Giovanni XXIII nella Pacem in Terris: "... Non è più possibile pensare che in questa nostra era atomica la guerra sia un mezzo adatto a risarcire i diritti violati" (n. 127).
A coloro che oggi intendono giustificare la guerra, ricordiamo la ferma parola del Concilio: "Qualunque azione bellica che miri alla distruzione indiscriminata di città intere o di vaste regioni con i loro abitanti è un crimine contro Dio e contro lo stesso uomo, da condannare con fermezza e senza esitazioni" (GS n. 479).
Quello che si sta spendendo nell'attuale operazione militare contro l'Afghanistan sarebbe sufficiente a eliminare in questa nazione e in molte altre la fame, la miseria e la distruzione a cui sono sottoposte, inaugurando relazioni di rispetto e di cooperazione, di aiuto e solidarietà e non aggravando sofferenze e piantando nuovi semi di odio e di incomprensione.
L'unico cammino di pace è quello del superamento delle ingiustizie e delle divergenze, nel quadro di un dialogo supervisionato da legittime istanze politiche e giuridiche internazionali, che dovrebbero essere maggiormente rispettate e rafforzate, come l'Onu e il Tribunale Internazionale dell'Aia, dove i sospettati di crimini di guerra o di terrorismo devono essere condotti, giudicati e puniti, se vengono trovati colpevoli.
Guerra e vendetta intraprese contro un'altra nazione sovrana, praticamente indifesa, in maniera unilaterale e imperialista, da uno o più Paesi, che sono allo stesso tempo parte in causa e giudici, distruggono le basi della convivenza internazionale e instaurano la legge della foresta e del più forte, eliminando le garanzie del diritto.
Una delle prime vittime della guerra è la verità. Le guerre moderne sono ingaggiate nei campi di battaglia, ma anche e soprattutto nei mezzi i comunicazione sociale. La menzogna e la manipolazione della verità, la demonizzazione dell'avversario e l'intossicazione della popolazione con desideri di vendetta e di odio rendono difficili il negoziato, il dialogo e la restaurazione della concordia e della pace.
Denunciamo e condanniamo, con ogni veemenza, la caricatura che si sta diffondendo della fede islamica e del mondo arabo e che circonda di sospetto persone, popoli e religioni. Ad essi chiediamo perdono per l'ingiusta offesa che viene loro dall'Occidente cristiano. Questo aggrava soltanto i fraintendimenti, alimenta i pregiudizi e aumenta le tensioni internazionali.
Uno sguardo a noi stessi e alla situazione che viviamo ci invita ad un atteggiamento di ascolto, di preghiera ma anche di deciso impegno per la ricostruzione della giustizia e della pace che ha inizio nel nostro quotidiano, attraverso gesti contro le ingiustizie e le disuguaglianze, i pregiudizi e le discriminazioni, attraverso atteggiamenti di compassione con i poveri e i piccoli, di lotta per politiche sociali inclusive e per un nuovo ordine internazionale.
La giustificazione della guerra non è né umana né evangelica e Gesù pone tra le beatitudini quella che siamo chiamati a realizzare in questo momento, quella dei costruttori di pace:
"Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5,

 

DOC-1132. IBIÚNA-ADISTA. Cadono le bombe sui villaggi afghani, sui quartieri civili. Colpiscono - involontariamente, ci rassicura il Pentagono - un'agenzia di sminamento, un ospizio, un ospedale militare, forse anche uno civile. Per il governo Bush, e per chi lo appoggia, sono "danni collaterali". Ma a molti questa definizione sta decisamente stretta. Così è, senza alcun dubbio, per un gruppo di vescovi cattolici e di pastori evangelici riuniti a Ibiúna, nello Stato di San Paolo, per una settimana di riflessione e preghiera. Il bombardamento anglo-americano contro l'Afghanistan - denunciano infatti in un documento dal titolo "Clamore dei popoli per la giustizia, la solidarietà e la pace - non è che un'altra forma di terrorismo, solo "praticato, ora, da governi che si presentano come democratici, civili e cristiani". Un documento molto forte, sottoscritto (fino al 21, ma la raccolta delle firme è ancora in corso) da 23 vescovi cattolici - in maggioranza brasiliani, tra cui Franco Masserdotti di Balsas; Apparecido José Dias di Roraima; Pedro Casaldáliga di São Felix do Araguaia; José Maria Pires, emerito di Paraíba, Tomás Balduino, emerito di Goiás; ma anche argentini e messicani, come Samuel Ruiz e Raúl Vera Lopez, e due protestanti: il vescovo episcopaliano di Brasilia Almir dos Santos e il pastore luterano di San Paolo Rolf Schunemann. Di seguito il documento, in una nostra traduzione dal portoghese.

Noi firmatari, vescovi e pastori evangelici e cattolici del Brasile e di altri Paesi dell'America Latina, riuniti per delle giornate di studio, riflessione e preghiera, ad Ibiúna, San Paolo, dal 15 al 22 ottobre del 2001, abbiamo deciso di esprimere la nostra angoscia e preoccupazione di fronte all'attuale situazione internazionale.
Condanniamo ogni e qualsiasi atto terroristico, come quelli dell'11 settembre scorso che hanno suscitato rifiuto e costernazione universali per la loro follia e per le migliaia di vittime che hanno provocato, anche tra i gruppi di soccorso. Si è udito, da ogni parte, un grande clamore per la giustizia seguito da gesti di compassione e solidarietà con le vittime e i loro familiari.
Per altro lato, l'indebita trasformazione di questa richiesta di giustizia in atti di vendetta e di rappresaglia, con bombardamenti aerei contro l'Afghanistan, è ugualmente terrorismo, praticato, ora, da governi che si presentano come democratici, civili e cristiani.
I bombardamenti stanno provocando innumerevoli vittime innocenti, compresi donne, bambini e anziani, la distruzione dell'infrastruttura, l'aumento della fame e della disperazione, l'aggravamento della situazione sanitaria, gettando sulla strada milioni di rifugiati. Si è incentivata, deliberatamente, una recrudescenza della guerra civile tra fazioni politiche rivali, con rinnovate sofferenze per la popolazione. Oggi il clamore per la giustizia è accompagnato da un crescente grido per la pace che si esprime in ripetute proteste e marce contro la guerra, in manifesti e celebrazioni ecumeniche e interreligiose a favore della pace.
Ci uniamo a tutte queste persone e istituzioni religiose e civili e alle nostre comunità, per proporre, alla luce della Parola di Dio e di questo anelito profondo dei nostri popoli, un rinnovato impegno per la giustizia e il dialogo, la solidarietà e la pace.


"Il frutto della giustizia è la pace" (Is 32.7)
La prolungata indifferenza internazionale di fronte a situazioni di disumana miseria che colpiscono una parte maggioritaria e crescente della popolazione mondiale sta lasciando una scia di sofferenza e di morte in tutto il mondo e sta generando risentimenti e rivolte contro i pochi Paesi che impongono questo nuovo ordine internazionale e ne godono i frutti, con l'appoggio di organismi internazionali e delle loro politiche di aggiustamento economico. Queste politiche neoliberiste stanno provocando disastri economici e finanziari in molti Paesi piegati sotto il peso di un debito estero impagabile o colpiti da bruschi movimenti e attacchi alle monete locali da parte del capitale speculativo.
Si assiste al ritorno, nei Paesi poveri, di malattie ed epidemie come il colera, la tubercolosi, la febbre gialla, la malaria, che sembravano sotto controllo, e la nascita di pandemie, come quella dell'Aids, che devastano continenti interi.
Dietro quasi tutte le guerre attuali, si muovono gli interessi delle industrie belliche e la disputa per il dominio dei mercati e per il controllo delle risorse naturali strategiche, come il petrolio e il gas.
Senza il superamento delle tensioni provocate dall'esclusione e dall'emarginazione delle grandi maggioranze; senza l'impegno concertato e sincero per diminuire le disuguaglianze internazionali, per eliminare la fame, il razzismo, la discriminazione contro le donne e le minoranze etniche e religiose, per cancellare o ridurre il debito dei Paesi poveri e per limitare la distruzione e i danni ambientali, difficilmente saranno generate condizioni per una pace duratura.
"Mai più guerra! Mai più guerra! È la pace che deve guidare il destino di tutta l'umanità. Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani!", è stato il grido di Paolo VI, il 4 ottobre del 1965, di fronte all'Assemblea dell'Onu, a New York, oggi ferita dagli attentati.
Persone e Paesi che hanno sofferto gli orrori e la follia della guerra senza limiti di qualunque tipo e che si è consumata nell'olocausto nucleare di Hiroshima e Nagasaki, possono unirsi alla voce e alla testimonianza di saggi e pastori, come il Mahatma Ghandi, Martin Luther King e Oscar Romero, martiri della giustizia e della pace, che hanno vissuto la nonviolenza attiva come atteggiamento spirituale e politico.
Di fronte alle moderne armi di distruzione di massa e alla guerra nucleare, chimica o biologica, che mettono a rischio la sopravvivenza del pianeta terra e della stessa umanità, non si può non ricordare la condanna etica pronunciata senza esitazione da Giovanni XXIII nella Pacem in Terris: "... Non è più possibile pensare che in questa nostra era atomica la guerra sia un mezzo adatto a risarcire i diritti violati" (n. 127).
A coloro che oggi intendono giustificare la guerra, ricordiamo la ferma parola del Concilio: "Qualunque azione bellica che miri alla distruzione indiscriminata di città intere o di vaste regioni con i loro abitanti è un crimine contro Dio e contro lo stesso uomo, da condannare con fermezza e senza esitazioni" (GS n. 479).
Quello che si sta spendendo nell'attuale operazione militare contro l'Afghanistan sarebbe sufficiente a eliminare in questa nazione e in molte altre la fame, la miseria e la distruzione a cui sono sottoposte, inaugurando relazioni di rispetto e di cooperazione, di aiuto e solidarietà e non aggravando sofferenze e piantando nuovi semi di odio e di incomprensione.
L'unico cammino di pace è quello del superamento delle ingiustizie e delle divergenze, nel quadro di un dialogo supervisionato da legittime istanze politiche e giuridiche internazionali, che dovrebbero essere maggiormente rispettate e rafforzate, come l'Onu e il Tribunale Internazionale dell'Aia, dove i sospettati di crimini di guerra o di terrorismo devono essere condotti, giudicati e puniti, se vengono trovati colpevoli.
Guerra e vendetta intraprese contro un'altra nazione sovrana, praticamente indifesa, in maniera unilaterale e imperialista, da uno o più Paesi, che sono allo stesso tempo parte in causa e giudici, distruggono le basi della convivenza internazionale e instaurano la legge della foresta e del più forte, eliminando le garanzie del diritto.
Una delle prime vittime della guerra è la verità. Le guerre moderne sono ingaggiate nei campi di battaglia, ma anche e soprattutto nei mezzi i comunicazione sociale. La menzogna e la manipolazione della verità, la demonizzazione dell'avversario e l'intossicazione della popolazione con desideri di vendetta e di odio rendono difficili il negoziato, il dialogo e la restaurazione della concordia e della pace.
Denunciamo e condanniamo, con ogni veemenza, la caricatura che si sta diffondendo della fede islamica e del mondo arabo e che circonda di sospetto persone, popoli e religioni. Ad essi chiediamo perdono per l'ingiusta offesa che viene loro dall'Occidente cristiano. Questo aggrava soltanto i fraintendimenti, alimenta i pregiudizi e aumenta le tensioni internazionali.
Uno sguardo a noi stessi e alla situazione che viviamo ci invita ad un atteggiamento di ascolto, di preghiera ma anche di deciso impegno per la ricostruzione della giustizia e della pace che ha inizio nel nostro quotidiano, attraverso gesti contro le ingiustizie e le disuguaglianze, i pregiudizi e le discriminazioni, attraverso atteggiamenti di compassione con i poveri e i piccoli, di lotta per politiche sociali inclusive e per un nuovo ordine internazionale.
La giustificazione della guerra non è né umana né evangelica e Gesù pone tra le beatitudini quella che siamo chiamati a realizzare in questo momento, quella dei costruttori di pace:
"Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5,

da ADISTA n° 78 - 5.11.01