LE ACLI SESSANT'ANNI DOPO: CONTINUITÀ O ALIENAZIONE?
di Luciano Nicastro*

Il 26 Agosto 2004 ricorre il 60° anniversario della fondazione delle Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani). È l'occasione favorevole per ripensare origini, storia e prospettive di un'idea di organizzazione dei lavoratori cristiani pensata "per un grande compito" (Achille Grandi).
Con la nascita delle Acli, voluta da mons. Giovanni Battista Montini e da Achille Grandi, la Chiesa apre in Italia una fase di dialogo, in tempi di scontro di civiltà, con il mondo del lavoro e scommette il proprio apostolato sulla ricostruzione morale, sociale e religiosa del Paese anche attraverso un movimento pensato in modo innovativo e originale, su un piano formativo e sociale "integrale", nell'ambito di una ipotesi di riconquista cristiana del mondo del lavoro, egemonizzato dai comunisti, e di ricostruzione di una nuova cristianità organica di tipo forte e di evidente appartenenza dottrinale e disciplinare.
Se all'origine l'idea delle Acli si accompagnava ad una ipotesi culturale e organizzativa di movimento associativo di popolo, successivamente, con l'affievolirsi dell'identità forte, la loro fisionomia e dimensione si è modificata e ridotta da corrente cristiana del sindacato unitario a scuola e movimento di quadri, a fucina di dirigenti sindacali e politici (prima per la Cisl e la Dc, poi anche per i partiti della sinistra e per tutti i partiti del bipolarismo), per svolgere ora una funzione di traghetto indifferenziato, sostanzialmente neutrale, nell'ambito di una preoccupazione preminente di sopravvivenza e di autoreferenzialità.
Se all'origine e nelle stagioni esaltanti dei presidenti Labor e Rosati, Bianchi e Passuello era prevalsa la caratteristica della originalità e specificità in termini di progettualità autonoma delle Acli nel mondo cattolico come cerniera dialettica con il mondo laico, ora invece, pur nella ribadita fine del collateralismo, con la politica della presidenza Bobba "dell'autonomamente schierati" si predica il rinnovamento a tutto campo e si pratica la subalternità culturale e politica nella dimensione di uno spazio moderato e funzionale ad una religiosità di complemento senza forza profetica né mordente "apostolico" né nel mondo del lavoro, né nella Chiesa, né nella società, né nella cultura politica del Paese.
Una volta le Acli erano riconoscibili a livello centrale e nei territori come una forza cristiana "scomoda ma necessaria" per le battaglie della giustizia sociale e della democrazia. Ora, ridotta al lumicino la democrazia interna e affievolite la creatività culturale e la testimonianza apostolica di molta parte dei territori del Paese, le Acli rischiano di parlare solo a se stesse, a ciò che resta dei sopravvissuti in termini generazionali ed in parte alle nuove leve che provengono da rapporti di lavoro precario nei servizi del movimento (Patronato, Enaip…).
Esiste ormai una questione Acli nel mondo cattolico, nel Paese e soprattutto nel Sud (dove rischiano di scomparire come tali!) sia in termini di identità che di presenza; ma di essa non c'è all'interno dell'organizzazione una diffusa consapevolezza, a motivo di un ritardo, culturale e di ricerca, di conoscenza e di azione, capace di aggregare i lavoratori cristiani sull'anima "delle tre fedeltà" e su una proposta associativa moderna, originale e mobilitante. Fino a farle diventare il nuovo blocco sociale dei lavoratori precari, un referente dinamico e significativo di militanza cristiana disponibile all'impegno formativo e sociale, il peculiare specifico delle Acli in quanto esperte di problemi spirituali, sociali e formativi dei lavoratori cristiani, espressione di una vocazione "ecclesiale" ed apostolica nel mondo del lavoro nazionale, europeo e globale.
È mancata in questi ultimi anni una lettura aclista dei nuovi segni dei tempi dell'Italia del lavoro e della crisi di deficit di democrazia. È mancata un'elaborazione del gruppo dirigente, un disegno strategico di prospettiva e di servizio culturale, sindacale e politico, in tempi di berlusconismo "arrogante" e prevaricatore.
In verità non sono mancate occasioni di incontri spirituali, culturali e politici (Assisi, Vallombrosa), ma sono state ridotte a platee ed eventi nel quadro di un dirigismo verticistico e burocratico dell'associazione. Sono state occasioni sprecate e appuntamenti mancati, che non essendo collegati tra loro ad una idea guida, non hanno prodotto una svolta per un compito formativo e sociale, religioso e politico "straordinario" di impegno cristiano nel tempo della offensiva antisindacale e della democrazia "blindata" sulla difesa del conflitto di interessi di Berlusconi, sorda alla concertazione sociale ed allo spazio civile. Il raccordo con le altre organizzazioni cattoliche, da Comunione e Liberazione alla Cisl a Retinopera, etc., è stato poco utile ed ha spento la dialettica del pluralismo "cattolico" in ordine ad ipotesi più avanzate di testimonianza e a contributi "originali" in ordine al progetto culturale della Chiesa in Italia.
Disancorando le Acli dalle questioni di casa italiana ed europea e respirando prevalentemente "l'ansia globale", ci si allontana dai territori e dal vissuto, si anestetizza il conflitto sociale, si scolorisce la novità aclista e nell'orizzonte globale si spegne la prospettiva progettuale della parabola del seminatore, del prendere parte ad un lavoro vicino, faticoso, quotidiano e coinvolgente.
È questa l'alienazione "spirituale" delle Acli rispetto alla triplice fedeltà di Penazzato, sessant'anni dopo la loro fondazione. Il momento presente appare, senza forzature intellettuali, il tempo dei disorientamenti dei laici cristiani delle Acli rispetto al destino dei lavoratori nella nuova società della conoscenza, che sta mutando il mondo del lavoro nel nostro Paese, in Europa e nel Villaggio globale.
Ci vuole una svolta, e questa può essere seminata solo dagli aclisti di forte convinzione e dai militanti di base, che fortunatamente ci sono e costituiscono lo zoccolo duro del movimento, la risorsa preziosa, il tesoro nascosto.
Gli aclisti possono sentire sulle loro spalle il peso morale e politico di tutti i lavoratori cristiani, delle loro ansie di giustizia sociale e di democrazia sostanziale, dei loro progetti di rinnovamento della qualità morale del lavoro, dell'economia e della politica ed il compito storico di lottare contro il terrorismo costruendo la Pace e protestando contro i Muri di divisione, contro la prevaricazione della forza sul diritto, contro la legalità internazionale sospesa. Per fare ciò, le Acli devono pertanto rinnovare non solo il vestito, ma soprattutto il cuore, l'anima e la prassi della loro testimonianza cristiana nel tempo del cinismo "pervasivo" di una società civile disorientata da un futuro "incerto".


* del Circolo Acli "Achille Grandi" di Ragusa, referente nazionale della minoranza "alternativa"

ADISTA n°59 - 4.9.2004