La "guerra giusta" dell’eterno imperialismo

Leonardo Boff (*)

Da Adista n.78 -  6.11.2004

Ogni giorno assistiamo, atterriti, alla violenza in Iraq e alle dichiarazioni dello spirito bellicoso del presidente G. Bush e anche, con sfumature diverse, del suo rivale J. Kerry. Questa violenza è inscritta nello spirito imperialista radicato nella cultura occidentale. Questa è stata sempre imperialista, imponendosi a tutti coloro che sono diversi. Nel XVI secolo si è registrato in America Latina il maggiore genocidio della storia, quello da parte dei colonizzatori europei. Sono bastati 70 anni di scontro militare, di malattie e di lavoro forzato per ridurre la popolazione del Messico da circa 22 milioni di persone ad appena 1,7 milioni.

Perché questa indescrivibile violenza da parte di persone della cristianità antica? Perché hanno interpretato l'indio come non-persona, essere inferiore e semirazionale che può essere schiavizzato. Secondo l'espressione di Aristotele, che ha formato l'intelligenza europea, è uno "schiavo naturale" a servizio degli uomini liberi. Paradigmatica è stata la famosa "Disputa di Valladolid", nel 1550, davanti all'imperatore spagnolo Carlo V, tra Juan Guinés de Sepúlveda, rinascimentale educatore di Corte, e Bartolomé de las Casas, missionario e tenace difensore degli indios.

La questione centrale era: si può fare una guerra giusta contro gli indios per il fatto che essi si oppongono alla fede cristiana e si rifiutano di sottomettersi al re, posto da Dio come signore del mondo?

Sepúlveda sostiene che gli indios sono esseri brutali e "schiavi naturali". Devono, per il loro bene, essere incorporati alla comunità cristiana con la forza. In caso di resistenza è lecito muovere loro guerra ed eventualmente eliminarli. Questo non significa omicidio o mancanza di amore, perché sono loro, con la loro resistenza, a rendersi colpevoli della propria distruzione.

Las Casas, che si distingueva per il rispetto, per la convivenza e per il dialogo, si opponeva ad ogni violenza, poiché, diceva, sono esseri razionali, con una loro cultura, e sono figli di Dio.

Il primo documento che un papa, Paolo III, ha scritto per l'America Latina, la bolla Sublimis Deus del 1537, ha riaffermato che gli indios sono "veri esseri umani, che non devono essere privati della loro libertà, né della proprietà delle loro cose, né devono essere ridotti in schiavitù".

Ma questa bolla non fu mai pubblicata nelle colonie perché delegittimava la spoliazione delle ricchezze in oro e argento, portate a tonnellate in Europa, dove servirono come base materiale per la nascita del capitalismo come prima espressione del progetto-mondo con i suoi effetti perversi.

Questa volontà di sterminio dell'altro era presente anche agli inizi della colonizzazione italiana e tedesca nel sud del Brasile. Le imprese colonizzatrici e i coloni "pulivano il terreno". Organizzavano, nei fine settimana, gruppi di sterminio dei cosiddetti "selvaggi" che erano i Kaigang e i Xokleng. Gli sparavano o li decapitavano senza il minimo scrupolo, come riferiscono nelle loro ricerche Piero Brunello (Pionieri. Gli italiani in Brasile e il mito della frontiera, Roma, Donzelli, 1994) e Sílvio Coelho dos Santos (Os indios Xokleng, memória visual, Florianópolis, Ufsc 1997). È lo stesso gesto assassino del nostro antenato homo sapiens che, 30mila anni fa, sterminò l'uomo di Neanderthal.

Si cercano sempre ragioni per la violenza: ieri gli indios e oggi i terroristi. Domani non potrebbero essere i brasiliani, incapaci di difendere l'Amazzonia, strategica per la Terra? È nella logica della violenza imperialista che, un triste giorno, venga "internazionalizzata". Sapremo resistere efficacemente?

 

(*) teologo della liberazione