I BAMBINI DEL LEGIONARIO: SOSPETTI SU P. MACIEL

31163. KANSAS CITY-ADISTA. "Una guida efficace per i giovani"; "un modello per la nuova evangelizzazione". Così si è espresso in passato Giovanni Paolo II parlando di Marcial Maciel Degollado, fondatore e capo della congregazione religiosa messicana dei Legionari di Cristo, sorta nel 1941, che oggi conta 480 preti e 2.500 seminaristi ed è attiva in 20 Paesi nel settore dell'istruzione. Ma l'espressione deve suonare come uno schiaffo in faccia ai nove ex Legionari che da tempo si battono per portare in tribunale il religioso, oggi 81enne, per gli abusi sessuali perpetrati contro di loro nel corso di lunghi anni, quando erano seminaristi. E che da anni, da quando hanno deciso di rendere nota la loro storia, vedono regolarmente frustrata la loro ansia di giustizia.
A raccontare le varie fasi di sviluppo della vicenda e a fare il punto (non incoraggiante) della situazione è un articolo pubblicato il 7 dicembre dal settimanale cattolico statunitense "National Catholic Reporter" (firmato da Jason Berry, giornalista free-lance, e da Gerald Renner, già giornalista di "The Hartford Courant"), che sottolinea come l'investigazione canonica avviata qualche anno fa contro il religioso si sia arenata nel silenzio e nell'omertà.
Le accuse vengono da nove religiosi o ex religiosi: p. Felix Alarcón, oggi prete in pensione; Juan Vaca, professore di psicologia a New York; Arturo Jurado, docente in California; José Barba, studioso di letteratura latinoamericana; Jose Antonio Perez, avvocato; Alejandro Espinosa, proprietario terriero; Fernando Perez, ingegnere; Saul Barrales, insegnante, e Juan Manuel Fernandez Amenabar, rettore universitario (deceduto nel 1995 dopo aver lasciato una deposizione scritta). Tutti e nove accusano Maciel di aver abusato di loro quando avevano tra i 10 e i 16 anni.

Un inizio "sospetto"

Accuse contro Maciel, tuttavia risalgono già al 1941, quando, ventenne, pur essendo stato espulso da due seminari per ciò che formalmente fu definito come "fraintendimento" sul suo desiderio di dar vita ad una congregazione, aveva riunito attorno a sé 13 ragazzi per insegnare loro teologia. Maciel venne poi ordinato prete nel 1944 da uno zio, mons. Francisco Gonzales Aries, vescovo di Cuernavaca. Dal 1957 al 1959 (proprio gli anni a cui si riferirebbero gli abusi di cui parlano i nove), ebbe poi luogo un'ampia investigazione canonica sul religioso, in particolare sul modo in cui esercitava la sua leadership. Nessun riferimento ad abusi sessuali emerse allora, ma Maciel fu comunque sospeso come capo della congregazione per consentire ai membri di testimoniare, se necessario, contro di lui. A quel tempo, hanno spiegato gli accusatori, le questioni sessuali erano un tabù, e inoltre il giuramento di fedeltà a Maciel li obbligava, di fatto, a non fare alcuna rivelazione che lo mettesse in cattiva luce. Sarebbero stati espulsi dal seminario. "Mentimmo tutti durante la visita apostolica - scrisse p. Alarcón in una lettera del 1997 - allo scopo di salvarlo, perché il nostro mondo era diventato piccolo e le nostre scelte erano state limitate". Il 6 febbraio 1959 Maciel venne riconfermato nel suo ruolo.

Abusi sessuali e potere psicologico: le accuse

Secondo quanto hanno rivelato i nove, talvolta Maciel diceva loro di avere il permesso di papa Pio XII per avere rapporti sessuali con loro, allo scopo di trarre sollievo da un dolore legato ad una non meglio specificata patologia allo stomaco. Secondo quanto ha raccontato Vaca, gli abusi cominciarono nel 1949, quando aveva 12 anni, due anni dopo l'ingresso in seminario, e si protrassero per 13 anni. "Stavo male, volevo confessarmi", racconta ricordando i primi tempi. "Lui mi disse: non c'è niente di sbagliato. Non hai bisogno di confessarti". Di fronte alle sue insistenze, Maciel disse: "Va bene. Ti do l'assoluzione". E, come lui, ad altri: l'assoluzione concessa dopo aver abusato di loro.
È del 1976, anno in cui Vaca lasciò i Legionari lacerato dal senso di colpa, una sua lettera a Maciel di 12 pagine in cui spiegava le ragioni della sua scelta: "Ogni cosa che facevi contraddice il credo della Chiesa e l'ordine", vi scrisse. "Quante volte, innumerevoli, mi hai svegliato nel cuore della notte, e mi hai preso con te, abusando della mia innocenza. Notti di terrore assoluto; tante, tante notti passate in bianco, che in più di un'occasione hanno messo a repentaglio la mia salute psichica". "La mia sofferenza più grande - spiega p. Alarcón - radicata nella disciplina ferrea, era la tortura spirituale e psicologica causata dal fatto di non poter parlare di tutto questo con nessuno. E la spaventosa distorsione spirituale che ci veniva presentata come se noi fossimo il progetto di Dio, essendone invece il contrario, il lavaggio del cervello, nonché la grave ritorsione su chi osasse pensare con la sua testa".
Dovevano chiamarlo "Nuestro Padre", e riverirlo come un santo vivente: "Ci trovavamo in un terribile conflitto. Avevamo paura", afferma Barba.

Dal silenzio alle lettere

Nel 1978 la lettera di Vaca a Maciel, insieme ad uno scritto di Alarcón che rivelava di essere stato anch'egli oggetto degli abusi del religioso, venne inviata al papa tramite l'ambasciata vaticana a Washington. Qualche tempo dopo da parte del Vaticano arrivò conferma del loro avvenuto recapito, ma null'altro. I due non furono mai contattati da Roma.
Nel 1989 Vaca ci riprovò. In una lettera di 7 pagine, chiedeva la dispensa dall'ob-bligo dei voti per potersi sposare e raccontava ciò che aveva subito da Maciel. Il Vaticano gli rispose con la concessione della dispensa, ma senza alcun riferimento alle accuse da lui mosse a Maciel.
All'inizio degli anni '90, alcuni casi di abuso sessuale da parte del clero suscitarono l'interesse dei media americani e fecero il giro del pianeta. Barba ed alcuni suoi ex compagni cominciarono a comunicare tra loro. Quando, nel dicembre 1994, videro sulle pagine dei quotidiani di Città del Messico celebrazioni a tutta pagina per i 50 anni di sacerdozio di Maciel, immortalato col papa che lo elogiava come "guida efficace per i giovani", l'indignazione raggiunse il massimo. Dopo tentativi falliti di comunicare con ufficiali della gerarchia ecclesiastica, nel 1997 la decisione di "uscire allo scoperto", in pubblico. Con interviste rilasciate al quotidiano The Hartford Courant, il caso rimbalzò sulla stampa messicana ed italiana. Maciel rifiutò di essere intervistato ma smentì le accuse con una lettera al Courant. E i Legionari, per difenderlo, hanno tirato fuori una lettera del francescano che condusse l'investigazione per conto del Vaticano negli anni '50, il belga Polidoro Vlieberghe, poi divenuto vescovo di Santiago. A quella lettera, che esprimeva tutta l'incredulità per le accuse formulate contro Maciel, e sosteneva che in occasione di quella visita apostolica "non era mai emersa alcuna accusa di scorrettezza sessuale", se ne agggiunse un'altra firmata dallo stesso Vlieberghe, in difesa del religioso. L'autenticità di entrambe, tuttavia, è stata messa in discussione. Lo stesso vescovo, incontrato da Barba e Jurado a gennaio scorso, ha affermato che la firma è falsa e che alla data riportata in calce (12 dicembre 1996) egli era ricoverato in ospedale gravemente malato. Ciononostante, hanno rivelato Barba e Jurado, Vlieberghe voleva tenersi fuori dalla vicenda e quindi astenersi da affermazioni di carattere pubblico in proposito, a meno che non si trattasse di un'inchiesta formale della Chiesa. In ogni caso, i due hanno intentato una causa civile a Santiago in relazione all'autenticità o meno dei documenti.
I difensori di Maciel si facevano forti, nel frattempo, della ritrattazione di un accusatore, Miguel Diaz Rivera, che si disse indotto da ex Legionari a fare accuse false. Ma si trattò di un caso unico. E il vescovo di Città del Messico, il card. Norberto Rivera Carrera, parlò di un "complotto" contro il fondatore della Legione.
Il Vaticano non fece commenti sugli articoli comparsi sul Courant. Nessuna dichiarazione né in sua difesa né contro Maciel. Più avanti, nel 1998, il papa nominò il fondatore dei Legionari per il Sinodo dei vescovi.

Dalla stampa al processo

A questo punto entra in scena un personaggio determinante, il canonista p. Antonio Roqueñi, per otto anni cappellano universitario dell'Opus Dei, poi, negli ultimi 20 anni, canonista al tribunale ecclesiastico di Città del Messico. Roqueñi, prima ancora di leggere la stampa su Maciel, era entrato in contatto con uno dei nove abusati, Fernandez, prima che questi morisse, nel 1995. Quest'ultimo, molto malato, aveva come consigliere spirituale Alberto Athié, segretario della Commissione giustizia e pace in Chiapas, che lo sollecitò a scrivere una memoria su quanto aveva vissuto con Maciel. Ne emerse, tra l'altro, la dipendenza di Maciel da morfina e l'abitudine di mandare i giovani Legionari a comprarla per lui (cosa che è stata strenuamente rigettata dai Legionari, che addussero a prova una serie di analisi chimiche effettuate da Maciel, che lo avrebbero scagionato). I Legionari provarono anche a destituire di credibilità la memoria resa da Fernandez prima della morte. Athié venne presto emarginato nella Chiesa messicana.
Qui si inserisce Roqueñi, che dopo aver incontrato Barba e Perez Olivera (che nel frattempo avevano pubblicato sulla rivista Milenio una lettera aperta al papa), decise di offrire la sua opera di canonista: "Per me - disse poi - era una questione di legge, di legge della Chiesa". Per questo venne allontanato dal tribunale di Città del Messico e ora lavora come cappellano in un ospedale.
Nel 1998 Barba si recò in visita presso il nunzio pontificio in Messico Justo Mullor, e gli diede copia della lettera aperta al papa. Mullor garantì che l'avrebbe consegnata di persona al pontefice. Ma non ci fu risposta dal Vaticano. Mullor gli consigliò allora di rivolgersi al tribunale ecclesiastico. E qui ha inizio la peregrinazione nei labirinti vaticani.

Dall'avvio della causa al nuovo silenzio

Alla fine dell 1998 Roqueñi, Barba e Jurado si recano a Roma. Cercano un canonista che rappresenti l'accusa. La scelta cade su Martha Wegan, che gode di ottima fama e conosce personalmente il card. Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Subito avviene un incontro con uno dei tre segretari di Ratzinger, il francescano p. Gianfranco Girotti, durante il quale la Wegan presenta i capi d'accusa contro Maciel, citando il canone 977 (assoluzione di un complice nel peccato contro il sesto comandamento), il canone 1378 (assoluzione di un complice) e il canone 1362 (crimini riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede). La causa è avviata. Nel gennaio 1999, la Wegan esprime segni di ottimismo: Girotti, disse, è recettivo. A febbraio, comunica che la Congregazione ha accettato di procedere. La causa è avviata ufficialmente, sotto il titolo Absolutionis complicis (A. Jurado et alii - Rev. Marcial Maciel Degollado). Quando, nello stesso periodo, il papa si reca in visita per la quarta volta in Messico, spicca l'assenza di Maciel da qualsiasi appuntamento pubblico.
Athié nel frattempo va avanti per conto suo, facendo avere a Ratzinger il resoconto del suo colloquio con Fernandez morente. E qui la doccia fredda: secondo quanto racconta lo stesso Athié, Ratzinger alla persona che gli consegna materialmente il documento, mons. Carlos Talavera, vescovo di Coatzacoalcos, in Messico, replica difendendo Maciel, sottolineando la delicatezza del caso ed elogiando l'operato del fondatore della Legione per la Chiesa, in particolare riguardo alle numerose vocazioni al sacerdozio che aveva generato, nonché esprimendo dubbi sull'opportunità di sollevare la questione in quel momento. Anche Roqueñi parla con Talavera e ottiene la stessa versione. Il direttore della Sala stampa vaticana, Joaquín Navarro Valls, sentito in proposito, ha tuttavia smentito che Ratzinger avesse profferito tali parole.
A fine 1999 Martha Wegan scrive ai suoi clienti. Le notizie non sono buone: ha parlato due volte con Girotti, racconta, e "per il momento la faccenda è chiusa". L'1 marzo 2000 Roqueñi scrive a Girotti, dicendogli che la Congregazione non sta facendo il suo lavoro: "Il fatto è che sono passati 17 mesi e l'unica notizia che i denuncianti hanno, comunicata dall'avvocato (Wegan), è che la questione è estremamente delicata e che ci sono altre denunce correlate". "I denuncianti temono che - prosegue Roqueñi - nonostante l'accumulo di prove addotte finora rispetto agli atti illeciti denunciati, la pratica continui ad essere rinviata e che non ci sia conclusione al caso". Roqueñi si dice sorpreso, infine, che "le procedure non siano seguite come è prassi di ogni procedimento formale"; i membri della Congregazione "sono vincolati alle norme della Chiesa e non possono arbitrariamente metterle da parte con qualsivoglia pretesto".
Barba, in occasione di un viaggio a Roma nel luglio 2000, si incontra con Girotti. E qui, la beffa finale: il segretario di Ratzinger gli consiglia di intentare una causa civile contro Maciel. Per Athié, il modo in cui il Vaticano ha gestito la vicenda "è immorale". Nel gennaio 2001, la Legione di Cristo ha celebrato il suo 60.mo anniversario. A piazza San Pietro, davanti a 20.000 Legionari, il papa ha ricevuto Maciel e lo ha elogiato ringraziandolo "con speciale affetto".

 ADISTA 20.5.2002