"UN'ALTRA CHIESA È POSSIBILE?": L'INCONTRO ORGANIZZATO A ROMA DA ADISTA, MICROMEGA E COMUNITÀ DI SAN PAOLO

33114. ROMA-ADISTA. Un'altra Chiesa è possibile? Questo l'interrogativo cui erano chiamati a rispondere i partecipanti all'incontro organizzato lo scorso 29 novembre a Roma dalla Comunità di San Paolo e dalle riviste Adista e MicroMega (in occasione della presentazione del numero 6/2005 di MicroMega). L'impressione suscitata da due ore di fitto dibattito - seguito oltre 200 persone a stento contenute dal salone della Comunità di San Paolo di via Ostiense – è che l'"altra Chiesa possibile" c'è già: è la Chiesa che si riunisce per discutere, per confrontarsi, per far sentire la propria voce e "le" proprie voci oltre l'unanimismo della Chiesa delle gerarchie e delle fitcion televisive "papolatriche".
Con il giornalista di MicroMega Adriano Ardovino nella veste di moderatore sono intervenuti mons. Giuseppe Casale, vescovo emerito di Foggia; Giovanni Franzoni ed Elena Lobino Cocco della Comunità di San Paolo di Roma; la teologa Lilia Sebastiani; don Enzo Mazzi della Comunità dell'Isolotto di Firenze; il direttore editoriale di Adista Giovanni Avena; don Aldo Antonelli, parroco di Antrosano in provincia dell'Aquila; don Fabio Corrazzina, coordinatore nazionale di Pax Christi; don Vitaliano della Sala, ex parroco di Sant'Angelo a Scala.
Apre il dibattito mons. Casale che evoca il rapporto fra la Chiesa e la storia come un rapporto di osmosi, come un faticoso cammino di scambi reciproci tramite il quale far fruttificare il Vangelo, declinando il suo messaggio nei molteplici linguaggi dei diversi tempi e dei diversi luoghi. Molti elementi della contingenza storica, afferma Casale, finiscono per "gravare sulla Chiesa come una sorta di sovrastruttura che ne condiziona il cammino". Il compito cui il credente è chiamato – anche nella ricerca di una "Chiesa altra" – è quello di "vivere con intensità anche drammatica, anche sofferta, il dialogo nella Chiesa". Si tratta di dare attuazione al percorso di dialogo descritto nell'Ecclesiam suam di Paolo VI, con la consapevolezza dei nostri limiti e dei limiti della Chiesa stessa: essa non può riprodurre pienamente il Cristo se non per successive – e sempre provvisorie nella loro fallibilità – approssimazioni. "Ma se la Chiesa è popolo di Dio in cammino", continua il vescovo, "essa ha bisogno di tutto il popolo. L'importante è che questo popolo non si trasformi in gregge". Casale cita l'"obbedisco in piedi" di don Primo Mazzolari ed esorta a continuare con tenacia e spirito di sacrificio nella ricerca di questo dialogo. Oggi, conclude Casale, gli spazi per far sentire la propria voce ci sono, ma spesso non si parla, si rimane silenti.
Giovanni Franzoni riprende il tema del dialogo a partire da un assunto fondamentale: quale punto di riferimento ultimo può costituire il linguaggio comune con cui sviluppare questo confronto? La risposta non può che risiedere nello spirito del Vangelo, attraverso cui Dio ha manifestato la sua potenza ed il suo messaggio d'amore ancor prima che esso assumesse la forma scritta. Ma se nemmeno le prime comunità cristiane hanno fondato il loro messaggio di salvezza su di una granitica precettistica sovrapposta alle "parole" del Cristo, è altresì ovvio che non può esserci, in questo faticoso cammino della fede, la presunzione di possedere il primato dell'interpretazione "giusta". Anche Paolo, afferma Franzoni, dice che non c'è altra pietra nella Chiesa se non il Cristo. Da qui la necessità di un perenne confronto, pena la costruzione di una artificiosa bandiera con cui testimoniare una fede posticcia nell'ozio e nel torpore.

Annuncio di liberazione e centralismo vaticano
Se è vero che possiamo assumere il Vangelo quale "norma normante", è però altrettanto vero - nella riflessione sviluppata immediatamente dopo da Lilia Sebastiani - che il Vangelo stesso non è "un libro di ricette", non è "un elenco di norme" o una formula tramite la quale dedurre matematicamente indicazioni di comportamento a partire da postulati più generali. Il Vangelo è innanzi tutto "annuncio di Dio, annuncio che libera e che risana". "Non mi scandalizza affatto", afferma la Sebastiani, "che i cristiani si pronuncino su questioni morali" di natura controversa e delicata. Il problema è che, se tale pronunciamento prende la forma di un "carico, di un fardello, evidentemente è poco fedele al messaggio del Vangelo, che è appunto un messaggio di liberazione".
Gli elementi della "sacralizzazione" e del "potere" sono estranei al messaggio di Cristo e, se essi possono anche aver avuto un ruolo storico nella costruzione della Chiesa, è oggi necessario riformare l'ambito della ‘mediazione' affinché l'istituto del sacerdozio e l'organizzazione gerarchica non rappresentino una "casta separata fondata sull'esclusione".
Don Mazzi rievoca la sua esperienza all'Isolotto di Firenze, il conflitto innescato da una scelta di frontiera come quella di stare con gli emarginati e con gli ultimi. Si rivolge però a mons. Casale, in quanto rappresentante di un livello dell'‘istituzione Chiesa' spesso sordo alle proposte di confronto: "forse è venuto il momento di ripensare il nostro rapporto", sostiene don Mazzi, "il centralismo vaticano, il suo rapporto ‘radiale' con la comunità dei credenti, ha come conseguenza la disgregazione di questa stessa comunità. E non mi riferisco solo alle esperienze come l'Isolotto, ma anche a realtà pienamente ‘inserite', ‘integrate'", che non trovano spazi di reciproca interazione, perché l'unico vettore di trasmissione è quello verticale, dall'alto verso il basso. "Superiamo le diffidenze reciproche", esorta nella sua conclusione don Mazzi, "e camminiamo insieme verso l'orizzonte della speranza". (emilio carnevali)

 GLI INTERVENTI AL CONVEGNO DI ROMA

33115. ROMA-ADISTA. Se don Mazzi, nel suo invito al dialogo pronunciato durante l'incontro "Un'altra Chiesa è possibile?" (v. notizia precedente), si era rivolto direttamente a mons. Casale, allo stesso Casale - ed alle sue considerazioni sui "molti spazi" di discussione disponibili per i credenti - prova a rispondere Giovanni Avena. Avena, nel ringraziare il vescovo per la disponibilità dimostrata, sottolinea nel contempo la natura in un certo modo paradossale di tale ringraziamento. Che un vescovo venga a confrontarsi apertamente, in pubblico, con le voci "altre" presenti nella comunità dei fedeli, non dovrebbe essere infatti una cosa così eccezionale, nel senso letterale di ‘eccezione', rispetto al comportamento adottato da tutto il resto della gerarchia. Da giornalista, da esperto di informazione religiosa, Avena si interroga polemicamente su dove siano questi spazi ove far sentire le voci plurali che dovrebbero animare il dialogo cui Casale fa riferimento. La Chiesa cattolica dispone dal punto di vista dell'informazione di una straordinaria ‘potenza di fuoco'(120 settimanali diocesani, 3 quotidiani, 15 mila bollettini, riviste missionarie e molto altro): tutta però sincronizzata su una stessa melodia, tutta univoca nella sua celebrazione costante dell'unica ‘verità' incarnata dalle parole del pontefice e dei vertici della Conferenza episcopale italiana. "La Chiesa - conclude Avena - avrebbe bisogno di spazi non solo per ‘dire', ma anche per ‘ridire'". Senza questo, non può esserci dibattito perché non può esserci dialettica.
Molto duro l'intervento di don Aldo Antonelli. Questi riprende l'immagine della "cortina di ferro", della Chiesa del silenzio perseguitata dai regimi del socialismo reale, per dire che oggi quello stesso muro che separava Berlino est da Berlino ovest si è simbolicamente spostato all'interno della Chiesa cattolica. La censura non viene più dal regime, dall'esterno, ma dall'interno, dalla stessa istituzione che dovrebbe reggere il popolo di Dio e si fa invece persecutrice.

Pluralismo e modernità
Anche don Vitaliano della Sala sottolinea il disagio verso un certo clima repressivo, portando la testimonianza della sua ultima esperienza "nei luoghi del conflitto, dove spero un giorno che anche le gerarchie abbiano il coraggio di andare". In occasione delle recenti manifestazioni contro l'‘Alta Velocità' in Piemonte, è stato doloroso, afferma don Vitaliano, confrontarsi con la paura di un vecchio sacerdote spaventato delle conseguenze a cui poteva dar luogo la sua presenza accanto alla sua comunità. "Io non contesto", ha aggiunto don Vitaliano a proposito dell'opportunità da parte degli uomini di Chiesa di intervenire nel dibattito politico, "la legittimità degli interventi di Ruini. Il problema è che non può esserci solo quella voce. Se parla Ruini, allora devono poter parlare anche gli altri vescovi, così come i sacerdoti ed i laici. Questi ultimi in particolare devono ‘pretendere' di dire la loro".
Don Fabio Corazzina pone invece l'accento sul rapporto fra fede ed esperienze di vita. La Chiesa non può chiudersi di fronte alla ricchezza della diversità in nome di uno sterile quanto astratto legalismo. "Nel mio corso prematrimoniale", spiega don Corazzina, "la maggior parte delle coppie convive o ha addirittura dei figli. Capite quanto sia difficile parlare loro dei rapporti pre-matrimoniali…". Eppure, proprio queste esperienze d'amore hanno rivelato loro una prospettiva di fede, verso la quale l'atteggiamento della Chiesa non può che essere di accoglienza. "Se la Chiesa non offre un sorriso, se la Chiesa non parla con il linguaggio dei giovani", risulta impossibile realizzare quella dimensione della "comunità come convivialità delle differenze" di cui parlava don Tonino Bello e a cui bisogna rifarsi per dare attualità allo spirito del Vangelo.
Per Elena Lobino Cocco, infine, "un'altra Chiesa è possibile" anche a partire dalla valorizzazione del punto di vista femminile. "La nostra identità di genere condiziona il nostro modo di pensare" in quanto il pensiero non è prodotto astrattamente da una qualche realtà immateriale, ma da un corpo concreto, da un corpo che - in quanto tale - è "corpo sessuato". Ecco perché non può essere accettato il principio di una rappresentanza che non tiene conto di questo. Ma la Chiesa è purtroppo una società fondata sul patriarcato, come dimostra, da ultimo, la totale assenza di donne in ruoli attivi sia ai funerali di Giovanni Paolo II sia al Sinodo dei Vescovi. Eppure la maggior parte dei fedeli che assistono alle celebrazioni eucaristiche è composta da donne. Senza una netta inversione di tendenza rispetto al maschilismo che domina nella struttura stessa dell'istituzione ecclesiastica una vera riforma non potrà mai nascere. (e.c.)

ADISTA n° 85 del 10.12.2005