Legionari di Cristo. Sempre più vicino il processo a padre Maciel
La congregazione per la dottrina della fede ha dato il via all’indagine preliminare e ha interrogato decine di nuovi testimoni. Che hanno riempito nuove pagine di accuse

di Sandro Magister

ROMA, 20 maggio 2005 – Lo scorso 2 aprile, nello stesso istante in cui a Roma moriva Giovanni Paolo II, a New York il promotore di giustizia della congregazione vaticana per la dottrina della fede, Charles J. Scicluna, maltese, stava interrogando l’ex preside di una “Scuola di Fede” dei Legionari di Cristo, Paul Lennon, irlandese, oggi psicoterapeuta ad Alexandria, in Virginia, testimone d’accusa contro uno degli uomini più riveriti e potenti della Chiesa cattolica mondiale: padre Marcial Maciel Degollado, 85 anni, messicano, fondatore dei Legionari e pupilla di papa Karol Wojtyla.

Con 650 preti, 2500 studenti di teologia, 1000 laici consacrati, 30.000 membri attivi in venti nazioni, decine di scuole e università di alto livello – due delle quali a Roma, una di diritto pontificio inaugurata nel 2002, la Regina Apostolorum, e un’altra fresca di riconoscimento del governo italiano, l’Università Europea di Roma – i Legionari di Cristo sono una strabiliante storia di successo.

Lo scorso 30 novembre (vedi foto) Giovanni Paolo II abbracciò in pubblico il loro fondatore Maciel, si felicitò con lui per i sessant’anni di ordinazione sacerdotale, nel tripudio dell’aula vaticana delle udienze gremita da migliaia di Legionari e di militanti del Regnum Christi, la loro associazione laicale parallela.

Quattro giorni prima, il 26, papa Wojtyla aveva dato in “cura e gestione” ai Legionari nientemeno che il Pontificio Istituto Notre Dame di Gerusalemme, un imponente centro d’ospitalità e d’incontri, di proprietà della Santa Sede, a pochi passi dal Santo Sepolcro.

Intanto però in un altro palazzo vaticano, quello dell’antico Sant’Uffizio, l’allora cardinale prefetto Joseph Ratzinger aveva appena ordinato al suo promotore di giustizia Scicluna di ripescare negli scaffali della congregazione tutti i processi in lista d’attesa e in pericolo di non esser mai celebrati. L’ordine era: “Ogni causa deve avere il suo corso regolare”.

Tra i fascicoli ce n’era uno vecchio di sei anni con scritto sopra in latino: “Absolutionis complicis. Arturo Jurado et alii – Rev. Marcial Maciel Degollado”. Ossia: l’indicazione del delitto, il nome del primo dei denuncianti e quello dell’accusato. Il delitto, l’assoluzione in confessione del complice, è uno dei più terribili per la Chiesa, al punto da non cadere mai in prescrizione.

Pochi giorni dopo, il 2 dicembre, Martha Wegan, austriaca residente a Roma, avvocato della Santa Sede per il foro canonico, chiese per lettera ad Arturo Jurado, José Barba Martin e Juan Vaca, tre degli otto accusatori di padre Maciel, se intendevano confermare la loro richiesta di processo canonico, da essi consegnata in Vaticano il 17 ottobre 1998 nelle mani dell’allora sottosegretario della congregazione per la dottrina della fede, Gianfranco Girotti.

I tre risposero di sì. L’avvocato Wegan trasmise la loro risposta al promotore di giustizia Scicluna. E questi aprì l’indagine preliminare sulle denunce in suo possesso: anni e anni di abusi sessuali compiuti da padre Maciel sui suoi accusatori, tutti ex Legionari, quando essi erano in giovane età ed erano in seminario con lui come guida, a Roma, con l’aggravante che egli poi in confessione li assolveva.

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Quando le denunce degli otto apparvero per la prima volta, il 23 febbbraio 1997, su un giornale del Connecticut, “The Hartford Courant”, in un servizio a firma di Jason Berry e Gerald Renner, negli Stati Uniti non era ancora scoppiato l’uragano degli abusi sessuali compiuti da preti su bambini e giovani. Ma questo ne fu il tuono premonitore.

A far colpo, oltre alla gravità delle accuse, erano le personalità dei denuncianti, ingegneri, avvocati, professori universitari affermati. Alcuni avevano ricoperto cariche di rilievo nell’organizzazione di padre Maciel. Uno di essi, Félix Alarcón, aveva aperto nel 1965 il primo avamposto della Legione negli Stati Uniti. Un altro, Vaca, era stato presidente dei Legionari negli Usa tra il 1971 e il 1976. E una prima volta nel 1978, una seconda nel 1989, aveva inviato due esposti riservati a Giovanni Paolo II, accusando Maciel d’aver abusato di lui quand’era ragazzo. In entrambi i casi non aveva avuto risposta. Anche per questo lui e gli altri sette decisero alla fine di mettere tutto in pubblico, e depositare la loro denuncia in Vaticano, nel 1998.

Fatto bersaglio di queste accuse infamanti, padre Maciel si è sempre difeso negandole in blocco. Ma anche contrattaccando.

A discredito di chi lo accusa porta il fatto che assieme agli otto denuncianti ce n’era all’inizio un nono, Miguel Diaz Rivera, ex Legionario oggi professore a Oaxaca, che però poi ritrattò e asserì d’essere stato indotto dagli altri a dire il falso.

Anche altri tre ex Legionari, Armando Arias Sanchez, Valente Velázquez e Jorge Luis González Limón, sarebbero pronti a testimoniare d’aver ricevuto pressioni a sostenere accuse non vere.

Ma l’argomento principe su cui padre Maciel e i suoi fanno leva è l’esito di una precedente indagine del Vaticano contro di lui, dalla quale uscì assolto.

Correva l’anno 1956 e contro Maciel s’erano addensati diciotto capi d’accusa, compreso l’uso di stupefacenti. Il Sant’Uffizio lo esautorò da ogni carica, lo allontanò da Roma e interrogò a uno a uno tutti i suoi seguaci.

Tra questi c’erano anche coloro che quarantadue anni dopo avrebbero denunciato Maciel per abusi sessuali compiuti su di loro in quegli stessi anni Cinquanta. Ma di ciò non dissero nulla.

L’indagine durò fino al febbraio del 1959 e si concluse con l’assoluzione e la reintegrazione dell’accusato. Di uno degli ispettori di allora, il vescovo cileno Cirilo Polidoro van Vlierberghe, oggi quasi centenario, i Legionari di Cristo esibiscono due lettere di pieno sostegno a padre Maciel.

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Veramente, circa il nuovo processo che incombe su Maciel dal 1998, non tutti i dirigenti della Legione sono sempre stati d’accordo su come fronteggiarlo. Secondo alcuni, il non averne sollecitata la celebrazione immediata è stato per la Legione non un vantaggio ma un danno. A fronte di accuse verbali su fatti molto lontani nel tempo, prive di riscontri oggettivi, scagliate da un gruppo di fuorusciti a loro volta accusati di “colpire padre Maciel per colpire la Chiesa e il papa”, la sentenza sarebbe stata di assoluzione certa.

Oggi però questa certezza non è più così salda. Lo scorso 23 gennaio, dal capitolo che ogni dodici anni nomina il direttore generale dei Legionari di Cristo è uscito eletto non padre Maciel, come sempre in precedenza, ma un altro di lui molto più giovane, Álvaro Corcuera Martínez del Rio, messicano, 47 anni. Lo stato maggiore dei Legionari nega che l’avvicendamento abbia un legame con il processo. Sta di fatto che dopo che questo s’è messo in moto per iniziativa di Ratzinger, Maciel non ricopre più alcuna carica nella Legione da lui fondata.

E la sequenza degli ultimi fatti sembra volgere a suo sfavore. Il 25 marzo, Venerdì Santo, nelle meditazioni per la Via Crucis al Colosseo Ratzinger lamenta “quanta sporcizia c’è nella Chiesa proprio tra coloro che nel sacerdozio dovrebbero appartenere completamente a Cristo” e fa presagire una ripulitura energica. Negli stessi giorni il suo promotore di giustizia Scicluna è in partenza per l’America, a verificare le accuse contro Maciel. Il 2 aprile è a New York, dove interroga non solo Vaca, uno degli otto della denuncia canonica, ma anche un altro ex Legionario importante, Lennon, che convalida le accuse del primo con una sua testimonianza aggiuntiva relativa ad anni più recenti. Il 4 è a Città del Messico, dove prosegue gli interrogatori fino al 10 aprile. Ascolta più volte, da soli e assieme, per un totale di dodici ore, i due titolari formali della denuncia canonica, Jurado e Barba Martin. Interroga i rimanenti degli otto, tranne uno, Fernando Pérez Olvera, che però gli inoltra una memoria scritta. Ma soprattutto interroga numerosi altri nuovi testimoni, del Messico, degli Stati Uniti, dell’Irlanda, della Spagna, qualcuno rimasto tra i Legionari fino a pochissimi anni fa. E tutti arricchiscono l’indagine di nuove accuse, non solo contro Maciel, ma anche contro altri dirigenti della Legione più giovani, sempre per la stessa “sporcizia”.

Affianca Scicluna un prelato che gli fa da notario. Questi mette per iscritto ogni testimonianza e alla fine la fa controllare e approvare dall’interrogato. Quando a metà aprile i due rientrano in Vaticano, hanno sull’agenda i nomi di una ventina di altri ex Legionari che hanno chiesto di essere interrogati, in Spagna e in Irlanda. Scicluna potrebbe presto recarsi anche in questi due altri paesi. In ogni caso, come promotore di giustizia, alla fine della sua indagine preliminare redigerà un rapporto con delle proposte conclusive. In base ad esso, le autorità vaticane decideranno se aprire o no il processo canonico vero e proprio.

Fosse per il cardinale segretario di stato Angelo Sodano, grande protettore di Maciel e dei Legionari di Cristo, questo processo non si dovrebbe mai fare. Intanto, però, Ratzinger è stato eletto papa e sarà lui a dire l’ultima parola.

Come nuovo prefetto della congregazione per la dottrina della fede, Benedetto XVI ha nominato l’arcivescovo di San Francisco, William J. Levada, uno dei responsabili negli Stati Uniti del nuovo corso contro gli abusi sessuali commessi da preti.

Due giorni prima del conclave, il 16 aprile, Ratzinger incontrò il cardinale di Chicago, Francis George, suo grande elettore e sostenitore ancor più deciso di una linea rigorosa nel ripulire la Chiesa da questo flagello. Gli assicurò il suo appoggio.

Appena eletto papa, a George che gli baciava la mano Benedetto XVI disse subito che avrebbe mantenuto la promessa.

L'Espresso on line -www.chiesa - 27 maggio 2005