COMUNITA’ CRISTIANA DI BASE DI PIOSSASCO

 

 

Per una riflessione sui “Ministeri”

 

Introduzione allo studio del libro di Edward Schillebeeckx   "Il ministero nella Chiesa"

(è disponibile anche la versione in Power point da richiedere al nostro sito)

La storia della chiesa dimostra che l’esercizio dei ministeri non ha mai assunto una “forma” fissa e

definitiva, ma di volta in volta essa è mutata in relazione al contesto storico presente.

E’  quindi necessaria un’attenta riflessione storico-critica se si vuole comprendere il “significato teologico” delle pratiche ministeriali di volta in volta adottate dalla chiesa.

Quello della “pratica ministeriale” è sempre stato un tema scottante nella storia della chiesa perché chiama in causa direttamente il problema dell’IDENTITA’ che caratterizza l’esperienza ecclesiale

Per maggiore comprensione è opportuno procedere distinguendo tra: 

Periodo Apostolico

Quello cioè che intercorre dalla morte di Gesù alla morte degli apostoli e/o dei “fondatori/animatori delle prime comunità”. E’ un periodo che va all’incirca dal 30 all’ 80 d.C.

Periodo Post-Apostolico

Quello cioè che va dalla morte degli apostoli e/o dei fondatori/animatori delle prime comunità” al 150 d.C.

Periodo Apostolico (30-80 d.C.) - La prima

generazione cristiana – I fondatori di chiese

Gesù non intendeva fondare alcuna chiesa. La sua missione era tesa a diffondere il messaggio dell’imminente “Regno di Dio”. Egli sentiva la sua opera inserita all’interno della tradizione e della vita religiosa ebraica.

L’apostolato, quindi, fu l’unico ordine ecclesiale che le comunità cristiane ricevettero da Gesù.

Le prime comunità sono state fondate dagli apostoli (dal greco apostolos che deriva dal verbo greco apostellein = mandare

Gesù non chiamò i “12” perché intendeva fondare una nuova chiesa, ma perché essi costituivano il simbolo (12 patriarchi, 12 tribù di Israele…), della comunità umana escatologica di Dio che si avvicinava. La loro scelta, quindi, non fu fatta in funzione di una comunità che doveva strutturarsi in vista dei tempi futuri.

Al tempo delle prime comunità cristiane, però, con il concetto di APOSTOLICITA’ non si intendeva indicare solo i “12”, ma includeva molti altri cristiani che avevano contribuito alla fondazione delle comunità o all’edificazione di quelle già fondate. Fin dal primo periodo, essi venivano chiamati “PROFETI”, più tardi (Lettera Ef.) si dirà che gli apostoli e i profeti  sono le “fondamenta della chiesa”

Accanto ai “12” ci sono quindi altri apostoli, i quali sono stati di fatto all’origine delle prime comunità

Comunità di Gerusalemme: meno di tre anni dopo la morte di Gesù sono presenti forti contrasti all’interno della comunità, fra gli ebrei di lingua aramaica (gli Ebrei) e quelli di lingua greca (gli Ellenisti).

Il contrasto era nelle diverse concezioni degli Ellenisti                                                             (meno attaccati alla tradizione degli Ebrei).

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Il problema fu risolto con la scelta da parte degli apostoli e della comunità di 7 rappresentanti di lingua greca (che furono chiamati DIACONI

Furono soprattutto questi ebrei di lingua greca ad essere perseguitati dal sinedrio (=tribunale) ebraico, diversamente dai cristiani di lingua aramaica. A causa di queste persecuzioni essi fuggirono in Samaria e in Siria. Durante il cammino fondarono molte comunità. (rapido sviluppo del cristianesimo nel Vicino Oriente antico ® PAOLO).

I “12” e gli altri apostoli e profeti consideravano se stessi “inviati” dal Signore a continuare la missione di Gesù (annuncio del Regno che viene)

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Le prime comunità hanno ricevuto da loro la fede fondata su quello che la maggior parte di essi aveva personalmente vissuto insieme a Gesù.

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Per la loro origine e la loro fondazione, le comunità cristiane si caratterizzano dunque per l’Apostolicità, sono cioè comunità apostoliche(fondate cioè sul loro insegnamento).

Le comunità presero più chiaramente coscienza che il loro essere cristiane proveniva dai loro fondatori, in altri termini che la loro fondazione era apostolica

La maggior parte di questi fondatori di comunità non erano le guide delle comunità locali, ma annunciatori itineranti del vangelo. E’ evidente che dopo la loro partenza, le guide naturali e spontanee delle varie comunità (spesso i primi convertiti/collaboratori-trici dell’apostolo) hanno acquistato un ruolo di direzione.

“Vi preghiamo, poi, fratelli, di avere riguardo per quelli che faticano tra di voi, che vi sono preposti nel Signore e vi ammoniscono; trattateli con molto rispetto e carità a motivo del loro lavoro…” (1 Tess. 5,12) ®  siamo  nel 50-51 d.C.

Ciò dimostra che nelle comunità sono emerse delle guide naturali, sottoposte alla sorveglianza degli apostoli ed ai quali si rivolgono in caso di problemi, senza diversità di rango o posizione ed incontrando a volte l’opposizione da parte di alcuni/e. Paolo risolve i contrasti ricordando la molteplicità dei doni carismatici (entro il quale, secondo Paolo, si colloca quello della direzione della comunità stessa che può assumere diverse forme)

Nella comunità ciascuno ha un compito specifico.

Anche se è riconosciuto come carisma particolare, il dono della direzione della comunità, in questo periodo, non ha ancora un significato “ministeriale” ed ecclesiale (neanche un nome specifico), ma è solo uno dei molti servizi che i membri della comunità devono gli uni agli altri.

La profezia e l’insegnamento sono i principali servizi della comunità, citati da Paolo. Accanto agli apostoli, egli cita come loro collaboratori i “profeti e i dottori (termini correnti e tecnici per indicare i dirigenti/animatori locali e che troveremo anche più tardi, quando i ministeri verranno designati con termini tecnici.

“Alcuni perciò Dio li ha posti nella chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri”. - 1 Cor. 12,28 ®       divisione tripartita di ispirazione ebraica: “Legge-Profeti-Sapienza”).

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Questa indicazione si trova all’interno di una lista di altri servizi nella chiesa: il servizio di direzione della comunità non ha ancora il significato pieno che verrà in seguito espresso con il termine MINISTERO

Accanto alle comunità più grandi ci sono state comunità più piccole, domestiche, dove il capo famiglia e sua moglie dovettero svolgere un ruolo decisivo: ® la strutturazione della comunità e la sua direzione si conformano alla strutturazione naturale del raduno dei cristiani nella casa di uno di loro.

I nomi dati ai capi di comunità e ai collaboratori, non sono per nulla fissi: coloro che faticano per la chiesa – presidenti o dirigenti - episcopi e loro aiutanti (diaconi)

Alcuni occupano però un posto particolare: Timoteo e Tito (per le comunità paoline) ed hanno autorità sulla chiesa anche nei confronti dei dirigenti locali (N.B.: preoccupazione di Paolo per la “successione apostolica” – Fil. 2,19-24).

Per tutta la prima fase del N.T. Paolo non fa mai riferimento a dei “Presbiteri”, tuttavia l’ordinazione ecclesiale di presbiteri è molto antica in certe comunità (Dopo i “12” Giacomo, fratello del Signore, vero responsabile a Gerusalemme, è circondato da un collegio di presbiteri, secondo modello sinagogale ebraico. L’ordine presbiteriale si svilupperà ulteriormente a partire da Gerusalemme, poi da Roma)

Periodo Post-Apostolico (80 - 150 d.C.) -

Nuove forme di ministeri

Periodo del N.T. in cui si sono maggiormente sviluppati l’Ecclesiologia, l’insegnamento della chiesa  ed il suo ministero.

Gli animatori delle comunità sono morti come fare a continuare?

Solo in questo periodo si pose per tutte le comunità il problema teologico del ministero (anni 80-100 d.C.). E’ in questo momento che i ministeri ricevettero contorni concreti anche se ancora soggetti a variazioni. Furono cioè soggetti a una riflessione teologica.

Quando i dirigenti locali perdettero i grandi difensori della tradizione e gli animatori delle loro comunità (Paolo-Pietro – Giacomo – Giovanni…), non poterono legittimare meglio la “direzione” esercitata che dando l’impressione di “continuare” il lavoro dei fondatori e animatori della comunità.

Il fenomeno della pseudonimia, sotto il quale si nasconde una             teologia

(Ef. – Pt. – epistole pastorali), va in questo® Continuare la tradizione apostolica!!!

Nella Lettera agli Efesini la teologia dei ministeri è centrale, anche se rimane sullo sfondo. Ef. 4,7-16 contiene un frammento di teologia ministeriale in cui appare chiaramente il passaggio dai tempi apostolici ad un periodo posteriore.

Dopo la morte degli apostoli e profeti (fondamento della chiesa), i dirigenti della comunità (evangelisti, dottori, pastori…) continueranno la costruzione della chiesa su questa base.

I dottori e i pastori sembra che fossero i dirigenti locali, mentre gli evangelisti erano dei missionari o degli inviati designati dalla comunità.

Due caratteristiche qualificano ormai i capi della comunità post-apostolica:

• Da una parte, come gli apostoli, essi sono al servizio del Cristo;

• Dall’altra, e ciò li distingue dalla prima generazione, è il fatto che coloro che esercitano un ministero ecclesiale, sanno di essere legati all’eredità apostolica.  

Periodo “cerniera”= il ministero ecclesiale non è in nessun senso separato dalla comunità o sovrapposto ad essa, ma è totalmente integrato nell’insieme dei servizi necessari alla comunità. Ciò che specifica questo ministero è che è responsabile insieme agli altri della conformità della vita della comunità alla propria apostolicità (=fedeltà al messaggio evangelico).

 Il primo secolo è un tempo di notevoli fermenti spirituali (spirito sincretistico dell’epoca) e siccome Gesù, come sappiamo, non aveva lasciato scritti né una dottrina particolare, per la chiesa, che si avvicina alla fine del primo secolo, si pone il problema del futuro e della fedeltà al messaggio del suo fondatore. Il problema di come strutturare la chiesa è solo visto, quindi, in questa prospettiva di fedeltà e di identità

L’Apostolicità come garanzia che la chiesa è di Gesù, e prosegue la sua strada sull’insegnamento e la sequela del Cristo. L’insistenza di questo periodo sull’eredità degli apostoli significa storicamente il riferimento alle esperienze “originanti” di persone reali che nell’incontro con Gesù avevano avuto accesso ad una “vita nuova”.

I dirigenti di allora dovevano dimostrarsi garanti di queste origini, garanti cioè dell’IDENTITA’ CRISTIANA. Il loro ministero, ormai ecclesiale, è sperimentato come carisma ministeriale particolare al servizio della comunità (ed all’inizio mai al di fuori o sovrapposto alla comunità).

Inoltre è compito dei ministri rendere idonei i “santi” (=cristiani) a compiere il loro servizio.Sembra, quindi, che questi ministri, hanno anche il compito di coordinare e stimolare tutti i servizi nella comunità.

Tra 1 Cor. 12,28ss. e Ef. 4,7-16, si nota la tendenza che va chiaramente nel senso di dare rilievo ai servizi ministeriali nei confronti di quelli che non lo sono.

Predicazione del vangelo e direzione e costruzione della comunità nella linea delle fondamenta apostoliche = è questa la teologia ministeriale della lettera agli Efesini. Nulla viene detto circa il modo in cui questi ministeri venivano istituiti. Poiché come si accedeva alla direzione della comunità non era ancora un problema. Solo il mantenimento dell’apostolicità, e non il processo di nomina, pare avere una “pertinenza teologica”.

Tutto ciò risale a Paolo?

Ad Antiochia (capitale Siria) la cui comunità inviò Paolo e Barnaba in missione l’ordine presbiteriale era sconosciuto (si parla solo di profeti e dottori…) Barnaba, invece, veniva da Gerusalemme, dove un ordine presbiteriale esisteva.

In 6 luoghi i presbiteri vengono citati con gli apostoli primitivi. Soltanto due volte, negli Atti, si parla di presbiteri fuori di Gerusalemme (Asia Minore: Licaonia-Pisidia ed Efeso). In Atti 14,23, si dice che Barnaba e Paolo, durante il primo viaggio missionario (da Derbe in Licaonia, fino alle coste dell’Asia Minore), hanno designato dei presbiteri. A favore della storicità di ciò depone il fatto che secondo gli Atti, è proprio qui che il presbiterato è conosciuto e praticato in cinque chiese locali. Tale forma di ministero era dunque molto sviluppata, al tempo di Luca, fuori di Gerusalemme, soprattutto in Asia Minore e Creta.

In Atti 20,28 Luca identifica il termine sconosciuto di “episcopo (=vigilante) con il termine noto di “presbitero” (egli unisce le due tradizioni). Dal momento che Barnaba (che dirigeva la missione di Antiochia in Asia minore) veniva da Gerusalemme, si può supporre che abbia portato il modello presbiteriale da Gerusalemme in Asia Minore

Alla fine del I secolo, quindi, esiste una organizzazione ecclesiale storicamente certa, secondo la quale un gruppo di “presbiteri” (chiamati anche “episcopi” per la funzione di sorveglianza) è responsabile della direzione e del compito pastorale delle chiese locali.

E’ il contenuto della “profezia e dell’insegnamento” che venne ripreso nel concetto di “presbitero” quando varie comunità si diedero una qualche forma istituzionalizzata.

Con le “epistole pastorali, la prima epistola di Pietro e quella di Giacomo”, vengono abbozzati più chiaramente i contorni

dell’istituzionalizzazione del ministero ecclesiale.

Epistole pastorali: in un caso il ministero viene anche presentato come istituzione esplicita di Paolo (2 Tim. 1,6 – Paolo impone le mani).

Da ora in poi l’imposizione delle mani da parte di un collegio di presbiteri in unione con la parola di un profeta, è la forma con cui nelle chiese paoline tardive, vengono istituiti ministri nei quali la comunità vede un carisma del Signore.

Si afferma l’idea che la sopravvivenza della direzione ministeriale della comunità apostolica e della chiesa deve essere protetta istituzionalmente (cioè si ritiene che sia in gioco l’autenticità evangelica).

Viene quindi messa in rilievo la “funzione specifica” dei capi di comunità.

Per l’importanza di questo compito viene fissata tutta una serie di criteri di accettazione (l’ordinatio…) che costituiscono una specie di etica e di spiritualità ministeriali. Anche se sottoposti a questi criteri, tutti i cristiani hanno diritto di “aspirare a questo ufficio”. (1 Tim. 3,1) .

La legittimazione dei capi delle comunità post-apostoliche si basa sulla loro fede fondata sull’eredità apostolica

Formalmente non è quindi il ministero che costituisce una norma, bensì la “parathéke (= deposito affidato           cioè il vangelo, così come interpretato dagli apostoli e che le “epistole pastorali”, che hanno al centro proprio il tema della continuità apostolica, chiamano “didaskalìa” (= l’insegnamento/dottrina)

(1Tim. 1,10 – 2 Tim. 4,3 – Tito 1,9… per queste epistole Paolo è il grande “didàskalos” = dottore)

La riflessione e la nascente teologia ministeriale si basano sulla convinzione:

DIO ®  APOSTOLI ®   CAPI DELLA COMUNITA  ®  CREDENTI

Al centro non c’è quindi il ministero di per se, quanto la trasmissione del vangelo apostolico (=il deposito affidato). Il ministero è subordinato, come un servizio, a questa continuità o successione apostolica che riguarda il contenuto.

E’ per garantire questa continuità di contenuto che si impone un ministero permanente nella chiesa (inizialmente nel rito di imposizione delle mani non si ritrova nessuna traccia di trasmissione di poteri ministeriali, ma trasmissione del carisma dello Spirito Santo. Il ministro è necessario a mantenere la comunità nella linea apostolica, che la rende la “chiesa di Gesù))

Le epistole pastorali non sembrano interessate alla questione di “quali devono essere i ministeri”, ma nelle comunità a cui sono indirizzate, ci sono già delle “differenziazioni” ministeriali concrete (ma non sappiamo quasi nulla circa le loro competenze precise).

Si fa questa distinzione:

DIACONI = non viene mai detto in cosa consiste la loro funzione (di loro viene detto lo stesso che si dice degli “episcopi”)

 

COLLEGIO di PRESBYTEROI = presiedono o dirigono la comunità (sono attivi soprattutto nella “parola e nell’insegnamento”), sembra anche che questa funzione dia diritto ad una retribuzione

SORVEGLIANTE o EPISKOPOS = insegna e governa. Nelle lettere non c’è risposta alla domanda di quale fosse la loro funzione specifica e precisa. (L’episkopos è un presbyteros che dirige un consiglio presbiteriale?)

Alle lettere pastorali la strutturazione concreta del ministero interessa poco. E’ qui la differenza importante tra il centro di interesse di queste epistole e ciò che si svilupperà più tardi attorno al II secolo d.C. (Lettere di IgnazioPrima lettera di Clemente, la quale chiama già il ministero di presbyteros-episkopos una istituzione divina….).¬

Sulla base del N.T. possiamo dire che il “presbiterato”, diffondendosi prima da Gerusalemme e poi da Roma, ha soppiantato il ministero indifferenziato dei primi tempi in tutto il cristianesimo primitivo, anche e soprattutto nelle comunità paline.

La “prima lettera di Pietro (in cui lo scrittore, nella situazione di una possibile persecuzione, vede la salvezza e il mantenimento della comunità minacciata, solo nell’instaurazione di un presbiterato stretto), indirizzata dalla chiesa di Gerusalemme alle comunità dell’Asia Minore, alla vigilia della persecuzione di Domiziano, è tipica di questa sparizione di un tipo di chiesa indifferenziata e carismatica, in cui intervengono soprattutto “profeti e dottori”, a vantaggio

dell’istituzione di una DIREZIONE PRESBITERIALE

Si deve quindi constatare che tra Atti 20,29 e 1 Clemente 44,1ss, c’è una tendenza uniforme e chiara verso il presbiterato, ed inoltre, a motivo dell’importanza del ministero per il mantenimento dell’identità cristiana, soprattutto di fronte alle tendenze “gnostiche”, l’interesse per gli altri carismi della comunità sparisce quasi del tutto nelle epistole pastorali e in numerosi scritti del N.T. post-apostolici. Le epistole pastorali vedono nel magistero, l’UNICO mezzo per mantenere l’identità cristiana. In questi scritti la fiducia di Paolo nello spirito santo che abita, dirige, e spinge avanti la comunità, è praticamente assente.

Non bisogna pensare però che l’istituzione del presbiterato fosse generalizzata e presente in tutte le comunità (le comunità corinzie, come quelle matteane, ad esempio, non conoscono presbiteri)

In tutto il N.T. la direzione della comunità è pensata sempre come SERVIZIO (soprattutto di riconciliazione), una diaconia e ciò vale anche dopo l’accentuazione del ministero presbiteriale di direzione (1 Pt 5,1-14).

Matteo vuole una comunità di piccoli e critica la prassi effettiva di direzione della comunità (egli si mostra particolarmente critico nei confronti del ministero, così come della chiesa…, in quanto oggetto di riserva escatologica).

Il vangelo di Mt manifesta la permanenza del sistema antico e libero dei profeti e dottori e pare ignorare il presbiterato come ordine ecclesiastico.

Sembra così che un sistema più flessibile si sia mantenuto in certe regioni delle chiese della Siria più a lungo che in altre comunità cristiane.

Pietro, invece, è il prototipo del capo di comunità, il primo, il portavoce di tutta la comunità, con certamente una tendenza “monarchica” di questa organizzazione della comunità

DIDACHE’ (dottrina dei 12 apostoli. Documento scritto (100-150 d.C.) manuale teorico pratico per le comunità primitive- Istruz. morali-disciplinari-liturgiche…) = Parla di apostoli, profeti, dottori. L’autore pensa soprattutto a distinguere i ministri carismatici  autentici dai falsi profeti, dai falsi apostoli e dai falsi dottori. La loro missione comporta Kèrygma (proclamazione) e Didachè (spiegazione del vangelo).

I profeti sembrano esercitare, accanto al loro insegnamento ordinario e straordinario, una funzione propria nella frazione del pane e nella celebrazione eucaristica che la seguiva (11,9) La comunità è giudicata degna di distinguere essa stessa tra veri e falsi profeti e dottori (il che fa pensare ancora ad un esercizio carismatico dei ministeri).

I dottori condividono con i profeti il servizio della “parola”.

Successivamente, dal 15,1-2, bruscamente viene detto: 

sciegliete dunque degli episcopi e dei diaconi, degni del Signore.

Ciò manifesta chiaramente l’ulteriore trasformazione della situazione delle comunità della Didachè.

Si è verificato un cambiamento nella liturgia. Adesso è un incontro settimanale, domenicale, seguito dall’eucaristia e preceduto da una celebrazione liturgica e comunitaria della penitenza.

Per questo motivo ciascuna comunità deve scegliere dei sorveglianti (=episcopi) e degli aiutanti (=diaconi),

 senza che venga precisato come, in modo che le celebrazioni eucaristiche più frequenti e più sviluppate vengano preparate e possano svolgersi nell’ordine. Gli episcopi e i loro aiutanti partecipano all’animazione liturgica e sono al servizio dei profeti e dottori, che continuano  presiedere le liturgie.

Almeno in queste comunità il ministero degli episcopi e dei diaconi è introdotto per alleviare i profeti e i dottori di una parte del compito di presidenza della comunità.

Si instaura qui un processo che porta ad un contesto totalmente diverso per nuovi ministeri (per esempio l’instaurazione del presbiterato ecclesiastico nella prima lettera di Clemente ai cristiani di Corinto).

L’organizzazione della chiesa, quindi, rimane molto varia nelle diverse comunità.

L’insistenza con cui si richiede alla comunità di tenere in “onore” i “sorveglianti”, così come i profeti e i dottori, manifesta una certa riserva nei confronti di questi nuovi ministeri.

Nelle comunità di tipo matteano, l’ordine antico rimarrà chiaramente più a lungo che altrove.

E’ però evidente che queste comunità più carismatiche sono completamente sparite durante il II secolo o sono degenerate in sette cristiane gnostiche.

Storicamente si può concludere, quindi, che una comunità senza una buona e sobria istituzionalizzazione dei suoi ministeri (e il loro ampliamento in funzione dell’evoluzione della situazione) rischia di mettere in pericolo la sua apostolicità e quindi, in ultima analisi, il carattere cristiano della sua origine, della sua ispirazione e del suo orientamento, in un’altra parola della sua IDENTITA’.

E’ questa la lezione da trarre dalle comunità matteane che hanno chiaramente preferito unilateralmente il carisma a qualsiasi istituzionalizzazione del medesimo.

Questa scelta è ancora più marcata nelle comunità giovannee, dove non ci troviamo di fronte alcuna struttura ministeriale, ancor meno a dei carismi particolari riservati ad alcuni credenti (nel giovannismo, i presbiteri non hanno autorità alcuna) 

Invece le lettere giovannee, uscite dallo stesso ambiente, conoscono un ministero presbiteriale.

Studi recenti dimostrano che le comunità giovannee conoscevano si delle strutture ministeriali,

ma senza la minima pretesa di autorità.

(per queste comunità, il legame immediato e personale con Gesù era determinante per la loro dottrina sulla chiesa (ecclesiologia) e di conseguenza per la loro concezione del ministero).

Quando fu scritto il vangelo di Giovanni, era sufficiente la testimonianza del discepolo prediletto, quando però furono scritte le lettere giovannee, la situazione delle comunità giovannee si era modificata.

Due partiti in conflitto pretendevano di costituire gli interpreti autentici dell’unica tradizione del discepolo prediletto. Membro anche lui della scuola giovannea, il presbitero (colui che scrive le lettere) tenta di persuadere i suoi oppositori del loro allontanamento dalla grande tradizione. Egli non può fare di più può soltanto testimoniare e non parlare con autorità.

  Ciò relativizza il ministero dei presbiteri

Es. del cap. 21 del Vangelo di Gv.:

Principio del collegamento immediato e personale di ogni cristiano a Gesù, non escluso il ministro.

Sarà questa d’ora in poi la base di ogni autorità pastorale nella chiesa che il giovannismo finirà per accettare sotto la pressione degli eventi.

Vengono descritte simbolicamente due forme tipiche di chiesa. Solo con Gv 21 le comunità giovannee ammettono la piena “ autorità ministeriale”, con la riserva che essa sia fondata su un collegamento personale di amore all’unica norma: Gesù Cristo.

C’è quindi nel giovannismo una struttura ministeriale, ma essa non costituisce affatto, all’inizio, un’autorità dottrinale. Gv 21 testimonia soprattutto che il giovannismo ha finito con l’accettare anch’esso l’autorità ministeriale dottrinale e disciplinare, non senza però relativizzare queste strutture ecclesiali.

Il giovannismo, come scritto canonico, è quindi una contestazione biblica di qualsiasi sovrastruttura giuridica dell’autorità ecclesiale.

Dopo le lettere giovannee non troviamo più traccia, nel secondo secolo, delle comunità giovannee. Esse sono state assorbite dalla Grande chiesa o si sono trasformate in sette gnostiche.

Nella “Grande Chiesa” l’autorità umana in seno alla chiesa diventa SEGNO dell’autorità di Dio.

Il ministero, quindi, non si è sviluppato attorno all’Eucaristia o alla liturgia, bensì attorno alla costruzione apostolica della comunità mediante la predicazione, l’esortazione, e la direzione e ciò a  tutti gli stadi del N.T.

Ministero e guida della comunità vanno di pari passo. I ministri sono delle guide, degli animatori e delle figure di identificazione evangelica per la comunità.

Per il N.T. (il quale non da risposte in merito) il presidente dell’Eucaristia non costituisce un problema.

In nessuna parte del N.T. troviamo stabilito un legame esplicito tra il ministero ecclesiale e la presidenza della liturgia, ciò però non significa che qualsiasi credente potesse presiedere l’Eucaristia.

Nelle comunità domestiche di Corinto, i padroni di casa presiedevano il pasto eucaristico, ma essi erano contemporaneamente presidenti di quelle comunità. Ciò quindi non implica affatto che l’Eucaristia fosse “senza ministro”.

D‘altra parte non troviamo alcun fondamento biblico ad un concezione sacrale e mistica del ministero dell’eucaristia.

L’eucaristia primitiva era strutturata sul modello della preghiera giudaica recitata a tavola (Birkat ha-mazon’) la cui presidenza non era lasciata all’arbitrio di ciascuno. Diventa evidente che i presidenti delle comunità, proprio perché tali, presiedevano anche l’eucaristia (negli scritti più antichi si parla di profeti e dottori, in quelli più recenti di presbiteri che presiedono anche l’eucaristia e in quanto ministri – I lettera di Clemente si parla di episcopi-presbiteri).

La concezione comune, quindi, è questa:

Colui che ha l’incarico di guidare la comunità in un modo o in un altro è per questo stesso fatto il presidente dell’eucaristia (che quindi non presuppone una competenza particolare). Il N. T. non ha null’altro da dirci a questo proposito.

Per il N.T. il ministero (necessario alla costruzione della chiesa nella linea apostolica: sequela di Dio) è un elemento costitutivo della chiesa

 DICEMBRE 2005