LAICI E CATTOLICI CONTRO IL BIPOLARISMO ETICO

Nel centrosinistra non è unica la posizione rispetto ai referendum sulla procreazione assistita che si dovrebbero svolgere la primavera entrante. Una ovvietà, dato che vi sono presenti sia laici che cattolici e dato che di materia etica si tratta e dunque è doveroso rimettersi alla libertà di coscienza piuttosto che chiamare all'obbedienza di "ordini di scuderia". Ciò non toglie che sulla materia oggetto del confronto referendario e sul metodo per giungere alla decisione di coscienza è bene ragionare, separando i vari piani implicati, operando dovuti distinguo. È questo lo scopo del seguente documento che, dopo attento discernimento, invita a votare "sì" a tre referendum su quattro. Per il quesito sulla fecondazione eterologa, il "quarto", non c'è indicazione di alcun tipo: "su questo punto - si legge - ci sono tra noi valutazioni diverse". Chi siano i "noi" è presto detto: sono, infatti, una sessantina le firme in calce, e due terzi sono opinion leader cattolici, che hanno avuto esperienze associative e incarichi diocesani e talora anche nazionali, soprattutto nelle Acli, nell'Agesci, nell'Azione Cattolica e nella Fuci negli ultimi vent'anni, sulla scia degli insegnamenti del Concilio Vaticano II. In particolare Emilio Gabaglio è stato Presidente nazionali delle Acli e segretario confederale della Cisl; Giovanni Colombo è stato responsabile dei giovani di Azione Cattolica della diocesi di Milano ed è attualmente presidente dell'associazione cattolico democratica "La Rosa Bianca"; Paola Moreschini è stata segretaria nazionale dei giovani dell'Azione Cattolica Italiana; Vittorio Sammarco ha diretto la rivista dell'Azione Cattolica "Segnosette"; Stefano Ceccanti, Anna Maria Debolini, Marco Ivaldo, Maria Rita Rendeù, Gianluca Salvatori, Giorgio Tonini e Giulio Zanella sono stati Presidenti nazionali della Fuci; Giuseppe Lumia, già Presidente della Commissione parlamentare Antimafia, è stato vice-presidente nazionale della Fuci; Marco Ivaldo è stato altresì Presidente nazionale del Meic (ex Laureati Cattolici). C'è da aggiungere che l'età media è sui quarant'anni e che un terzo dei firmatari è donna. Il documento, realizzato a partire da una bozza redatta da Stefano Ceccanti e Claudia Mancina, costituisce il punto d'incontro tra alcuni uomini e donne di cultura laica e di sinistra (tra cui Sergio Fabbrini, Claudia Mancina, Miriam Mafai, Oreste Massari, Andrea Romano e Michele Salvati) e credenti impegnati nel centrosinistra (non solo cattolici, il costituzionalista Stefano Sicardi fa parte della confessione valdese-metodista). [da Adista n° 12 del 12/2/05]

 

1. La ricerca di un parametro di giudizio e il rifiuto del bipolarismo etico

 

Le questioni che riguardano la vita e la morte, nonché la sessualità e la generazione, presentano grandi difficoltà di giudizio. Non esistono infatti soluzioni equidistanti o neutrali. È molto difficile segnare una linea di confine tra l'ambito della libertà personale e delle scelte private e l'ambito di definizione pubblica di che cosa è giusto, sia pure in via pragmatica e contingente. Qual è allora il percorso per individuare un plausibile parametro di giudizio?

Ve ne è uno molto semplicistico di tipo ideologico: si prende la propria impostazione etica come bene massimo, si tollera come male minore necessario un certo grado di inevitabile scostamento rispetto a quel parametro e, quando si ritiene di aver raggiunto un equilibrio, si rifiuta rigidamente qualsiasi mutamento. Questo modo di ragionare di tipo dottrinario, astorico, sconnesso da una lettura della concreta realtà sociale, non è accettabile per varie ragioni.

La prima è che esso considera il pluralismo - nel quale va visto "il risultato normale dell'esercizio della ragione umana entro le libere istituzioni di un regime democratico costituzionale " (John Rawls) - esclusivamente come un vincolo e non come una ricchezza. Il modello di società che ne traspare è di tipo rigidamente omogeneo e la conseguente idea di bene comune appare totalmente separata dalla valorizzazione del pluralismo che ne è invece componente essenziale e irrinunciabile. Come scrive altresì Jacques Maritain, occorre evitare una norma pur moralmente fondata quando essa metta in pericolo il bene comune perché lacererebbe la società. In secondo luogo il pluralismo, provvisoriamente negato o ridotto comunque a "male minore", finirebbe inevitabilmente per vendicarsi sotto forma di "bipolarismo etico" per cui le leggi nelle materie eticamente sensibili verrebbero modificate al ritmo delle alternanze politiche o del succedersi da una legislatura all'altra di diverse maggioranze trasversali. Ciascuna maggioranza riterrebbe così di dover applicare una dottrina oggettiva (sia pur temperata da qualche adattamento pragmatico), ma ai cittadini arriverebbe il messaggio esattamente opposto, cioè che non esista nessun vincolo dotato di una sua plausibilità, che tutto dipenda dai mutevoli rapporti di forza.

Noi proponiamo quindi di delineare diversamente il parametro di giudizio col seguente percorso: identificare i valori da tutelare, anche se sono conflittuali tra loro, e cercare un equilibrio, un bilanciamento necessariamente instabile e contingente, ma accettabile, se non per tutti i cittadini, per quelli che sono disponibili al pluralismo ragionevole, e dunque alla mediazione. Facendo questo bilanciamento non per appartenenze separate che solo in seguito si incontrano, ma elaborandolo insieme sin dall'origine sotto la propria responsabilità.

Il metodo da noi individuato, con tutta evidenza, non è neutro rispetto ai contenuti perché rifiuta nell'ambito civile e politico-statuale gli unilateralismi ideologici e con-fessionali e tratta le materie eticamente sensibili così come andrebbe affrontata la materia costituzionale, in cui, se è lecito ed opportuno che ogni schieramento e ogni rappresentante chiarisca ai cittadini il suo punto di vista di merito per dialogare con trasparenza e chiarezza, si accetta però al tempo stesso di ricercare un equilibrio più con-diviso.

Se il centrosinistra, in cui ci riconosciamo, abdica a questo ruolo sceglie di fatto una visione riduttiva della politica e rinuncia a trovare forme più alte di coesione senza le quali la stessa alternativa di governo risulta indebolita.

 

2. Ambiguità dell'espressione "libertà di coscienza": significati condivisibili e non

 

In questo ambito l'espressione "libertà di coscienza" viene utilizzata con molte accezioni, alcune condivisibili ed altre no.

In primo luogo va ribadito che la prima libertà di coscienza che rileva è quella del cittadino, non del suo rappresentante. In secondo luogo, per quanto riguarda tutti i soggetti collettivi l'espressione ha in sé una valenza indubbiamente positiva quando intende valorizzare il pluralismo interno, per cui, pur avendo tale entità di norma posizioni "ufficiali" sui vari temi più significativi non irroga sanzioni sui temi eticamente sensibili ai suoi membri in dissenso. Tuttavia esso può avere anche un significato ambiguamente negativo quando si richiede la libertà di coscienza ad un partito per privilegiare quella ad un'altra appartenenza collettiva. La libertà della coscienza significa che è in definitiva la persona a scegliere, ascoltate tutte le posizioni emergenti nello spazio della discussione, secondo scienza e coscienza.

 

3. La procreazione assistita: la brutta legge, i due approcci interni al movimento referendario, il rifiuto dell'invito all'astensione

 

La legge sulla procreazione assistita non si è attenuta ai criteri prima richiamati: è stata votata con una ristretta maggioranza, ha messo insieme accanto ad alcuni limiti largamente condivisi altri irragionevoli, se valutati col parametro di una legislazione che valorizza il pluralismo. È vero che di per sé la legge non rispecchia fedelmente l'etica cattolica, ma ciò non è sufficiente a farla ritenere un punto equilibrato di compromesso. Così argomentando, chi sostenga un'impostazione radicalmente proibizionista potrà sempre sostenere di aver acceduto a un compromesso ragionevole: ma è il suo punto di partenza, non condivisibile razionalmente, a non poter funzionare da riferimento sensato perché estremo e unilaterale. Contro l'approvazione della legge a risicata maggioranza si è sviluppata l'iniziativa referendaria. È certo spiacevole che lo strumento referendario, che può produrre anch'esso maggioranze risicate, sia utilizzato in questo ambito dove auspichiamo intese ampie. Tuttavia tale critica non può sensatamente essere proposta da chi ha avallato quella decisione parlamentare, che ha costituito il precedente rispetto a cui l'iniziativa referendaria si è mossa come una forma di legittima difesa.

L'insieme originario dei quesiti referendari portava con sé due impostazioni divaricanti: l'una, quella del quesito radicale globale (e di alcune maniere di interpretare i quesiti parziali) finiva per spezzare di fatto l'equilibrio in modo opposto alla legge 40, con la mera rimozione di norme regolatrici. Una visione che, sulla base del nostro parametro di giudizio, non condividiamo. L'altra, quella prevalente nella proposta dei quesiti parziali, mirava invece a correttivi significativi, pur accettando la necessità di una legge e di un bilanciamento tra i valori confliggenti giungendo a una riscrittura piena e più equilibrata della legge, prima o dopo il referendum .

La Corte Costituzionale ha di fatto evidenziato questa diversa impostazione espungendo il quesito radicale totale, anche se evidentemente la diversità rimane all'interno del movimento referendario, come si evince dalle diverse valutazioni sull'opportunità di interventi legislativi.

Ma anche tra chi difende la legge è aperta una contraddizione non irrilevante. A prima vista l'approccio più dialogico sembra essere quello di chi propone l'astensionismo e che sostiene di voler difendere la legge nel modo meno conflittuale, per evitare lo scontro. Al di là della ovvia legittimità della libertà di coscienza individuale che può sfociare anche nell'astensionismo quando si ritenga che i temi non siano rilevanti o che tutte le soluzioni siano negative in modo uguale, l'appello all'astensionismo in questa occasione non appare accettabile ed anzi è contraddittorio. Si invita a tale scelta perché sarebbero così alti i fini che si vogliono difendere che il mezzo di una vittoria ottenuta annettendosi l'astensionismo fisiologico appare del tutto legittimo. Gli effetti negativi di questa posizione sono duplici. I mezzi, in ambito politico e almeno in questo caso, sono strettamente connessi al fine. Sul piano teorico, non si può sostenere che le proprie posizioni sono ampiamente condivisibili a prescindere da appartenenze religiose o ideologiche e poi rinunciare a verificare nelle urne l'effettivo grado di condivisione nel corpo elettorale. Ma non si può soprattutto affermare che si tratti di questioni rilevantissime e fondare poi la propria strategia sull'ignoranza o il disinteresse altrui. Sul piano pratico, se anche questa strategia risultasse vincente nel referendum, nel caso in cui, pur senza raggiungere il quorum di partecipazione, i Sì risultassero in quantità realmente ingente, superiore a quello necessario per vincere le elezioni politiche o a quello registrato in re-ferendum in cui nessuno ha proposto l'astensione e in cui quindi l'abrogazione è effettivamente avvenuta, quali sarebbero le conseguenze politiche e sociali? La legge sarebbe giuridicamente ancora in vigore, ma socialmente delegittimata. Che cosa accadrebbe, in questo contesto, di fronte all'applicazione di sanzioni in presenza di violazioni della legge? Non vi sarebbe il rischio di un'ondata emotiva in senso opposto a quello delle norme vigenti, travolgendo anche proibizioni sensate?

Per questo, indipendentemente dalle posizioni di merito e in modo ben più rilevante di esse, crediamo che tutti coloro che avvertono questi temi come importanti dovrebbero consequenzialmente rifiutare l'invito all'asten-sionismo.

 

4. I valori in conflitto nei quesiti e le proposte sul voto

 

Abbiamo cominciato a ragionare insieme sui quesiti e siamo giunti ad alcune prime riflessioni che qui esponiamo, partendo da quelli che nel nostro confronto sono stati più problematici e giungendo a quelli meno conflittuali.

Il quesito sulla fecondazione eterologa è indubbiamente quello che pone i maggiori problemi etici perché coinvolge tematiche complesse relative al nascituro, alla paternità e alla maternità, al rapporto di coppia in cui viene ad inserirsi un donatore terzo. Di fronte a questi dilemmi la legge risolve drasticamente il nodo con una proibizione assoluta, che sacrifica quindi sempre e comunque il desiderio dei genitori. Il quesito, di per sé, data la sua natura abrogativa, può solo liberalizzare completamente questi aspetti, anche qui tagliando il nodo in modo molto semplicistico, in una logica molto simile a quella del referendum totale bocciato dalla Corte. Su questo punto ci sono tra di noi valutazioni diverse, e ciascuno deciderà in modo personale come votare. Ma vorremmo che la discussione ripartisse da soluzioni terze, a cominciare da quella individuata dal disegno di legge Amato (accesso consentito in caso di sterilità o infertilità incurabile o di malattia trasmissibile per via genetica, da verificare da parte di una commissione medica pubblica) e alcune condizioni molto puntuali (come la gratuità della donazione).

Il quesito che elimina l'espressione relativa ai diritti del concepito, e che si sovrappone peraltro a quello sulla salute della donna, entra su un delicatissimo problema che la legge ha risolto in modo unilaterale e ideologico. Vi è certo un'esigenza di protezione dell'embrione, che avvertiamo in tutta la sua importanza, e più in generale di ogni forma di vita umana, che non può essere negata dentro quello che è un processo di umanizzazione in cui è difficile ricostruire oggettivamente dei salti qualitativi. Ma una scelta di mera equiparazione tra l'embrione e il nato, come quella prospettata dalla legge, rispecchia, ad oggi, solo una parte limitata dell'elaborazione religiosa, scientifica e filosofica. Per questo ci sembra convincente l'introduzione del concetto di "dignità umana", presente nella proposta di legge Amato. La nozione di dignità umana si riferisce alla possibilità e volontà di attribuire all'embrione, in quanto primo inizio della vita umana, cioè progetto di vita, un preciso valore etico, che è relativo alla sua specifica natura, e quindi non si oppone in modo assoluto ad ogni uso e manipolazione degli embrioni, ma richiede che ogni uso e manipolazione siano fatti solo per buoni motivi ed entro limiti certi e definiti. Per questo ci appare preferibile la sostituzione del concetto di "diritti del concepito" con quello della "dignità umana di tutti i soggetti", emendamento che può essere introdotto solo per via parlamentare, prima o dopo la celebrazione del referendum. L'importante è che la campagna del Sì, se il referendum avrà luogo prima, chiarisca con maggiore evidenza questo obiettivo e non la privazione di qualsiasi protezione giuridica all'embrione. A queste condizioni, la gran parte di noi riterrà di poter votare Sì.

Il quesito sulla salute della donna comporta invece dilemmi anch'essi seri, ma che ci appaiono decisamente minori: la legge 40, prevedendo l'obbligo di creare in vitro un numero massimo di tre embrioni per volta, da trasferire in un'unica soluzione in utero, non bilancia in modo adeguato la tutela dell'embrione con quella della donna, che è esposta in modo irragionevole e sproporzionato a rischi legati all'iperstimolazione ovarica o, al contrario, a gravidanze plurigemellari con gravi pericoli di malformazioni, nonché a un notevole stress fisico e psichico per l'allungamento dei tempi. Anche la proibizione di diagnosi preimpianto, pur nell'astrattamente condivisibile obiettivo di evitare selezioni eugenetiche, spinge poi all'aborto terapeutico, consentito dall'ordinamento, procurando quindi un male maggiore di quello che intende evitare. La scelta del Sì ci appare pertanto chiaramente preferibile.

Il quesito sulla ricerca scientifica pone il problema dell'utilizzo degli embrioni soprannumerari per affrontare alcuni gravi malattie che al momento non trovano cure adatte. Non è l'unica linea di ricerca perseguibile, ma il suo rifiuto aprioristico appare il frutto di una rigida scelta ideologica che concepisce in modo statico la tutela della vita. Quando gli embrioni risultino irreversibilmente condannati a un naturale deperimento, cosa che deve essere evitata il più possibile, la rinuncia aprioristica ad utilizzarli non salva la loro vita e nel contempo non aiuta la vita dei malati che ne riceverebbero beneficio. In modo analogo alle posizioni proibizioniste in materia di trapianti che vennero teorizzate e poi per fortuna abbandonate qualche decennio fa per la medesima visione statica della tutela della vita. Per questo la scelta del Sì ci appare qui doverosa.


 

1. Giorgio Armillei, funzionario del comune di Terni

2. Francesca Artista, sindacalista bancaria, Palermo

3. Angelo Barba, giurista, Università di Siena

4. Giovanni Bianco, giurista, Università di Sassari

5. Salvatore Bonfiglio, giurista, Università di Roma 3

6. Roberto Borrello, giurista, Università di Siena

 

7. Stefano Brogi, filosofo, Università di Siena

8. Luisa Broli, insegnante, Vigevano

9. Sandra Burchi, psico-sociologa, Università di Pisa

10 Stefano Ceccanti, giurista, Univ. di Roma "La Sapienza"

11. Francesco Clementi, giurista, Univ. "La Sapienza"

12. Nicola Colaianni, giurista, Università di Bari

13. Giovanni Colombo, avvocato, Milano

14. Michele Contel, ricercatore sociale, Roma

15. Giuseppe Croce, economista, Univ. "La Sapienza"

16. Salvatore Curreri, giurista, Università di Firenze

17. Luciano D'Angelo, presidente cons. cooperative, Palermo

18. Anna Maria Debolini, libera professionista, Arezzo

19. Sergio Fabbrini, politologo, Università di Trento

20. Nicola Favati, avvocato, Pisa

21. Emilio Gabaglio, sindacalista, Roma

22. Luigi Gerbino, cooperatore, Palermo

23. Giulio Gerbino, sociologo, Università di Palermo

24. Andrea Giorgis, giurista, Univ. del Piemonte Orientale

25. Chiara Giorio, ricercatrice sociale, Roma

26. Tommaso Greco, giurista, Università di Pisa

27. Luciano Guerzoni, giurista, Modena

28. Rosario Iaccarino, sindacalista, Roma

29. Marco Ivaldo, filosofo, Università di Napoli

30. Carlo Lombardi, avvocato, Pisa

31. Giuseppe Lumia, deputato, Palermo-Roma

32. Miriam Mafai, giornalista, Roma

33. Claudia Mancina, filosofa, Univ. di Roma "La Sapienza"

34. Susanna Mancini, giurista, Università di Bologna

35. Domenico Marino, economista, Univ. di Reggio Calabria


36. Chiara Martini, giurista, Univ. di Roma "La Sapienza"

37. Marco Martorelli, animatore culturale, Roma

38. Oreste Massari, politologo, Univ. di Roma "La Sapienza” 39. Pierluigi Mele, giornalista, Roma

40. Donatella Montini, linguista, Univ. "La Sapienza"

41. Paola Moreschini, avvocato, Roma

42. Andrea Morrone, giurista, Università di Bologna

43. Tommaso Nannicini, economista, Università di Firenze

44. Salvatore Prisco, giurista, Università di Napoli

45. Margherita Raveraira, giurista, Università di Perugia

46. Maria Rita Rendeù, giornalista, Roma

47. Eugenio Ripepe, giurista, Università di Pisa

48. Andrea Romano, direttore scientifico "Italianieuropei"

49. Lucio Russo, informatico, Pisa

50. Michele Salvati, economista, Università di Milano Statale

51. Gianluca Salvatori, assessore alla Provincia di Trento

52. Vittorio Sammarco, giornalista, Roma

53. Maria Grazia Senatore, avvocato, Pisa

54. Stefano Sicardi, giurista, Università di Torino

55. Diego Toma, informatico, Roma

56. Giorgio Tonini, giornalista, senatore, Pistoia-Roma

57. Grazia Villa, avvocato, Milano

58. Giulio Zanella, economista, Università di Siena

59. Giancarlo Zizola, giornalista, Roma