LA PAURA FA AUTOCENSURA: CADE UN’ALTRA TESTA FRA I GESUITI

DOC-1627. WASHINGTON-ADISTA. Appare seriamente compromessa, anche in queste prime settimane di pontificato di Benedetto XVI, la libertà di espressione nella Chiesa. Dopo il caso che ha avuto come protagonista Thomas Reese, direttore del settimanale gesuita "America" (v. Adista n. 37/05 e notizia precedente), sembra infatti diffondersi un preoccupante clima di paura e di autocensura, ancora all'interno della Compagnia di Gesù. Ad Erik Meder, infatti, coordinatore dell'Ufficio per gli Affari sociali e internazionali della Conferenza dei gesuiti americani (che riunisce i 10 superiori provinciali Usa e il presidente), i superiori hanno chiesto di rassegnare le dimissioni dopo la pubblicazione, nel numero di aprile/maggio del National Jesuit News, di un articolo sul rapporto tra Chiesa e omosessuali. L'articolo, intitolato Strangers no Longer: Who is the Other among us? ("Non più stranieri: chi è l'altro in mezzo a noi?"), prendeva le mosse da un documento congiunto dei vescovi statunitensi e messicani sulla pastorale degli immigrati, dal titolo, appunto, Strangers no Longer, per chiedere perché la stessa solidarietà e condivisione la Chiesa non mostrasse nei confronti degli omosessuali.
"Mi è stato chiesto di dare le dimissioni o di licenziarmi per aver pubblicato l'articolo", ha raccontato Meder al National Catholic Reporter (20/5), "e poiché era già stato stampato, mi è stato spiegato che esso aveva causato un danno irreparabile alla Compagnia di Gesù negli Stati Uniti"; "La ragione ufficiale (delle dimissioni, ndr) era che nel decidere di pubblicare l'articolo avevo dimostrato una 'mancanza di prudenza', 'una mancanza di discrezione, e che quindi non avrei più potuto rappresentare l'Ufficio nazionale come coordinatore".
"Una volta compreso l'errore - ha spiegato da parte sua p. Tom Gaunt, segretario esecutivo della Conferenza dei gesuiti, superiore di Meder - abbiamo bloccato l'invio della Newsletter": su 3.200 copie, ne sono state fermate 200, quasi tutte oltreoceano. E l'articolo è stato eliminato dal sito Internet del periodico. "Non pensavamo che fosse opportuno", ha aggiunto. E, alla domanda se fosse il tema dell'omosessualità a renderlo inopportuno, ha risposto: "il nostro giudizio editoriale è stato che, in quella forma, non era adatto, non era opportuno"; si sarebbe trattato, insomma, di una questione di tono e tenore. Ma parte del problema, ha spiegato, è che dallo scorso ottobre il National Jesuit News lavora senza un direttore, e che la responsabilità è di un membro dello staff, che si è assunto volontariamente questo incarico. "Come capo del suo Ufficio avrei dovuto leggere e rivedere tutto prima". Nessuna pressione esterna, dunque: "Questa è la nostra pubblicazione. Siamo noi a decidere che cosa pubblicare".
Ecco, in una nostra traduzione dall'inglese, l'articolo censurato di Meder.


National Jesuit News aprile/maggio 2005
"NON PIÙ STRANIERI": CHI È L'ALTRO IN MEZZO A NOI
Erik Meder


Lo straniero che vive con voi deve essere trattato come uno di voi. Amatelo come voi stessi, perché anche voi siete stati stranieri in Egitto. Io sono il Signore vostro Dio (Lv 19,34).
È un motivo ricorrente nelle Scritture: il comando di Dio che Israele ami l'altro come se stesso va di pari passo con l'ordine che Israele comprenda se stesso. Comprendendosi come liberato dall'esilio dell'alienazione, Israele non deve ricreare per Altri un nuovo Egitto, terra di schiavitù.
Vi è una relazione circolare tra comprensione di sé e comportamento. Ci comportiamo con l'altro a seconda della nostra comprensione di noi stessi, che è sempre un'aspirazione, una proiezione di ciò che vorremmo diventare o essere.
Come la nostra comprensione di noi stessi modella il nostro comportamento, così il nostro comportamento informa di sé la nostra comprensione di noi stessi. Nelle relazioni, impariamo chi siamo da come ci comportiamo verso l'altro: il nostro coniuge, l'amico. Nelle relazioni a volte impariamo che siamo un po' più egoisti di quanto vorremmo credere; nell'aspetto migliore di una relazione, possiamo anche scoprire di essere capaci di un amore profondo e di sacrificio.
La relazione circolare tra comprensione di sé e comportamento non è un circolo vizioso; è dinamico, a causa delle continue imposizioni della storia, personale e collettiva. Questa ermeneutica può essere immaginata come una spirale tridimensionale che si sviluppa nello spazio. Il nostro essere nel mondo progredisce: cresciamo, diminuiamo, sbagliamo, otteniamo successi. Cerchiamo l'autenticità.
Nella popolazione americana, la percentuale di omosessuali è la stessa degli immigrati: 10-15%. La maggior parte degli americani non è né l'uno né l'altro. In che modo questa maggioranza incontra l'Altro quando questo Altro è un immigrato o un omosessuale?
Quando l'Altro è un immigrato, i cattolici vengono sollecitati dalla Chiesa ad applicare un'ermeneutica di comprensione di se stessi nell'incontro con l'Altro. Quando l'Altro è un omosessuale, la nozione di incontro ermeneutico esce di scena. Al contrario, la Chiesa si è coerentemente affidata alla separazione del ragionamento dal diritto naturale. Così ciò che interessa non è affatto l'omosessuale, ma l'omosessualità. Forse, nel documento di prossima pubblicazione sul clero omosessuale, la Congregazione per l'Educazione Cattolica (CeC) capovolgerà questo approccio infelice, ancorché coerente, e incoraggerà l'incontro ermeneutico.
In "Stranger no Longer", i vescovi statunitensi e messicani incoraggiano l'incontro ermeneutico con l'Altro basato sulle Scritture: "Parte del processo di conversione di mente e di cuore riguarda gli atteggiamenti aggressivi di superiorità culturale, indifferenza, razzismo, accettando gli immigrati… come persone con dignità e diritti che rivelano la presenza di Cristo e riconoscendoli come portatori di profondi valori culturali e di ricche tradizioni di fede".
Impugnare i propri atteggiamenti di superiorità culturale e cercare il riconoscimento della presenza di Cristo nell'altro costituisce un processo di conversione in cui la comprensione di sé viene provocata dalla realtà dell'altro ed è messa in discussione da quell'alterità. Questo confronto non è scontato; non c'era il bisogno di riconoscere la ricchezza culturale di altre tradizioni. Ma i vescovi sembrano incoraggiare un'apertura che è caratteristica del vero dialogo: incontrando l'Altro come Tu, persona reale con una storia e con una dignità, la nostra comprensione di noi stessi sarà messa alla prova e magari trasformata. Forse non saremo più in una posizione di superiorità, ma di solidarietà.
Entrare in dialogo è un'esperienza destabilizzante che comporta un'apertura che non è mai compiuta o portata a termine, ma è un processo di conversione, di umiltà, di ammissione che possiamo non avere in mano tutte le risposte, anche riguardo a noi stessi. Essere aperti significa mettere a rischio la propria comprensione di sé; infatti significa rischiare di perdere la propria identità.
Nel giugno 2003, la Congregazione per la Dottrina della Fede si è occupata di omosessualità nel contesto del matrimonio: "Il riconoscimento legale delle unioni omosessuali o il collocarle allo stesso livello del matrimonio vorrebbe dire non solo approvare un comportamento deviante con la conseguenza di farne un modello per la società attuale, ma anche oscurare valori fondamentali che appartengono all'eredità comune dell'umanità". Lo stesso documento ricorda ai cattolici che l'orientamento omosessuale è "oggettivamente disordinato" e che gli atti omosessuali sono "peccati gravemente contrari alla castità".
Invece di sollecitare i cattolici ad impegnarsi nel dialogo - l'incontro ermeneutico con l'Altro in cui il dinamismo della comprensione di sé e l'aper-tura che si è scelta è la precondizione della possibilità di conversione - la CdF usa un ragionamento di diritto naturale separato che afferma semplicemente la "verità" positiva. I cattolici sono chiamati a partecipare a questo processo tramite l'assenso e l'obbedien-za. Che sarebbe accaduto se la CdF avesse incoraggiato la comprensione ermeneutica? Forse ci sarebbe un altro modo per accedere al diritto naturale?
Un approccio ermeneutico, sensibile alla dinamica circolare di comprensione di sé e comportamento, potrebbe includere un dialogo aperto con persone sposate, ad esempio chiedendo: le coppie omosessuali oscurano il valore fondamentale del vostro matrimonio? Se le unioni omosessuali venissero riconosciute legalmente, avreste percorso quella strada? Come coppia, qual è la vostra idea di sessualità all'interno del matrimonio? Di apertura alla procreazione? Conoscete coppie omosessuali? Condividete le vostre battaglie di coppia - spirituali, relazionali, economiche - con questa coppia omosessuale? Potete dire con i vescovi statunitensi e messicani che "parte del processo di conversione di mente e di cuore riguarda atteggiamenti aggressivi di superiorità culturale, indifferenza e razzismo, accettando (gli omosessuali) come persone con dignità e diritti che rivelano la presenza di Cristo e riconoscendo (gli omosessuali) come portatori di profondi valori culturali e di ricche tradizioni di fede"?
Prima che il documento della CeC sull'omosessualità e il clero venga pubblicato, i cattolici - laici, preti, omosessuali, eterosessuali, sposati, celibi - farebbero bene a esaminare come la comprensione sessuale di sé determini il modo in cui uno tratta e definisce l'Altro. Possiamo raggiungere un certo grado di quell'apertura a cui i vescovi fanno appello nell'incontro con gli immigrati e che è una precondizione per la possibilità di conversione?
Forse il documento della CeC incoraggerà i cattolici americani ad essere aperti, ad entrare in un dialogo autentico in cui la comprensione di sé venga messa in discussione. Forse noi cattolici, perdendo una parte della nostra comprensione di noi stessi, guadagneremo qualcosa di nuovo e di inaspettato. Forse esiste un modo di vivere il Vangelo che non abbiamo mai voluto ascoltare. Forse vi è un modo di vivere il cristianesimo molto diffuso tra noi, ma in segreto. Forse è tempo che venga proclamato il Vangelo del clero omosessuale. Forse non tutti siamo pronti ad una proclamazione così forte, ma anche Cristo era pietra d'inciampo e follia per molti del suo tempo.

ADISTA n° 40 del28.5.2005