LE SFIDE DEL PLURALISMO RELIGIOSO ALLA FEDE TRADIZIONALE


 di José Maria Vigil

ADISTA n° 14 - 18.2.2006

chi è Josè Maria Vigil

L'intervento del  teologo della Liberazione, José María Vigil, svolto nei giorni del Forum sul tema delle sfide poste alla fede tradizionale dalla teologia del pluralismo religioso


Religioni, molte religioni, esistono da molto tempo, anche se non "da sempre". Almeno da 4500 anni. Tuttavia, la situazione storica normale dell'umanità è stata quella del-l'isolamento. Malgrado, sul lungo periodo, grandi migrazioni e viaggiatori eccezionali non siano mancati, la maggior parte dell'umanità ha vissuto nel suo habitat determinato, entro poche decine di chilometri. (…). In tale situazione sociale era possibile vivere nell'esclusiva configurazione della propria cultura, di cui normalmente la religione era la colonna vertebrale. La religione dava alle persone la fonte principale di conoscenza esistenziale e di valori umani. Le persone percepivano il mondo e lo pensavano e lo sentivano a partire dalla propria religione considerata "unica".
La situazione è cambiata profondamente negli ultimi tempi. Il miglioramento e l'abbassamento dei costi dei trasporti e delle comunicazioni, l'incremento massiccio delle migrazioni, il turismo, l'interrelazione crescente, i mezzi di comunicazione sociale hanno prodotto la "mondializzazione" della società attuale, l'integrazione dell'umanità in collettività sempre più grandi e sempre più interrelazionate. (…) La pluralità culturale e religiosa è diventata una caratteristica delle società attuali (...).

Gli effetti della vicinanza religiosa plurale
(…) È noto che le religioni, tradizionalmente, soprattutto laddove animano società monoreligiose, tendono ad autoerigersi e ad autopresentarsi come "la religione unica ed assoluta", ignorando l'esistenza di altre, squalificandole o addirittura condannandole. In questo contesto è evidente che l'esperienza del pluralismo religioso è, per chi è stato sempre in un ambiente monoreligioso, un'esperienza realmente trasformatrice della propria percezione della religione, e, per ciò stesso, trasformatrice della propria vita, il che può comportare, logicamente, una crisi, a volte profonda. (...) L'attuale situazione sociale del pluralismo religioso è una situazione storicamente inedita, nuova per la maggior parte delle religioni. (…)

Da un pluralismo rifiutato e considerato negativamente a un pluralismo accettato e apprezzato come positivo
(…) Quando la religione ha contemplato l'esistenza delle "altre religioni", l'atteggiamento più comune è stato quello di considerarle negativamente: queste altre religioni sono false, sono un errore, non sono rivelate, sono creazioni "semplicemente umane", sono religioni "naturali" e per ciò stesso senza valore salvifico: non salvano. Tutti questi presupposti avallano direttamente la grandezza della propria religione, che è "la" religione, ossia: la vera, l'unica voluta da Dio, la rivelata, quella che realmente salva, quella che dovrà salvare l'Umanità intera.
Il carattere plurireligioso che le società moderne hanno acquistato tanto intensamente ha prodotto e continua a propiziare una trasformazione della mentalità sociale in questo punto, provocando una trasformazione teologica (...): la pluralità religiosa comincia ad essere un dato evidente della realtà e cessa di esser vista negativamente, per diventare qualcosa di naturale, di logico (forma parte dell'identità di ogni popolo e di ogni cultura) e da qui di tollerato, di consentito, di riconosciuto e che è persino considerato positivo (parte della ricchezza e varietà del patrimonio dell'umanità). Per effetto di queste trasformazioni nella percezione, questo pluralismo comincia ad esser visto anche come qualcosa di voluto da Dio (passando così da un "pluralismo di fatto" ad un "pluralismo di principio".
Per le religioni individualmente prese, questo cambiamento significa un rovesciamento totale: durante la quasi totalità della loro esistenza hanno affermato la propria esclusività e unicità (…). Per una religione, accettare la bontà del pluralismo religioso è come accettare un cambiamento di statuto ontologico: accettare di non essere più "la" religione, per diventare "una" religione tra le altre. È venuto meno davanti ai propri fedeli quello statuto privilegiato di unicità e assolutezza. A partire dalla nuova visione pluralista, tutte le religioni sono valide, volute da Dio e, pertanto, vere e salvifiche, malgrado si dovrà riconoscere che tutte sono, anche, limitate e bisognose di complementarità.
Questo cambiamento così profondo - non abbiamo dubbi che possa essere considerato una vera "conversione" - molte religioni non lo hanno ancora assunto, e, ad affrontarlo, entrano davvero in crisi. La Chiesa cattolica ufficiale, per esempio, è ancora del tutto ancorata al rifiuto di questa nuova visione: non può accettarla. (…) Nel mondo della teologia, solo alcuni circoli minoritari stanno iniziando ad accettare questa nuova visione, e solo questi sono in grado di aiutare il popolo cristiano ad adattarsi alla nuova situazione attuale, per assimilare il cambiamento e superare in maniera sana la crisi, senza vivere sulla difensiva o in maniera schizofrenica, né rifugiarsi mentalmente nel passato.

Da una Rivelazione considerata esterna e quasi magica, a una comprensione più integrale della stessa
Il concetto di "rivelazione" è un concetto centrale nella religione, perché questa presenta se stessa come rivelata (…). Le religioni hanno presentato la paternità divina della rivelazione in forma estrema: è Dio direttamente che parla e comunica, esclusivamente lui, senza intervento degli esseri umani, con un messaggio a volte letteralmente venuto dall'alto, caduto dal cielo, persino "dettato" da Dio. (…)
Ogni rinnovamento del pensiero religioso in generale, e quello teologico in particolare, resta bloccato da questa prospettiva "fondamentalista" che sequestra qualunque idea religiosa (che è nostra, prodotta dagli esseri umani), l'attribuisce a Dio, e con ciò l'introduce nel campo del divino. (…)
Oggi, tuttavia (…) vediamo la rivelazione come un processo umano e, pertanto, dentro la società e la storia umane. La rivelazione non cade dal cielo, già fatta, non è un oracolo. È un processo, un'evoluzione e una maturazione del-l'esperienza religiosa di un popolo, che si materializza infine in un'espressione prima orale e poi scritta (…). Le religioni sono esperienze e correnti umane nelle quali si condensa e si addensa questa esperienza religiosa umana generale.
A nostro giudizio, abbordando in questo nuovo modo il concetto di rivelazione, entra particolarmente in crisi il concetto classico di "religioni del libro" (…). Non si può più credere nella Bibbia - o nella Torah o nel Corano - allo stesso modo, dopo aver avuto facile e libero accesso alle Sacre Scritture di molte altre religioni (…). La rilettura o reinterpretazione del concetto di rivelazione funge da sbloccante per molte altre affermazioni o posizioni che, a loro volta, potranno trasformarsi ed evolvere.

Dal ritenersi "il popolo eletto" all'accettare che non vi sono eletti
(…). L'identità dei popoli è stata nei millenni un'identità religiosa: sono stati "il popolo creato e voluto da Dio", e, per questo, il popolo "eletto" tra tutti gli altri.
Pensiamo a cosa questo significhi (…) in popoli nuovi come quello statunitense, che si sentono un popolo formato da Dio stesso come "il nuovo Israele", la "Nuova Gerusalemme", la "città sulla collina" che illuminerà tutte le nazioni e le condurrà verso il progresso, la democrazia e la libertà. O per i Paesi di lunga tradizione cattolica, convinti di essere i depositari della verità salvifica, con la missione universale di predicarla a tutto il mondo e di ridurre la diversità religiosa all'unità di "un solo popolo e un solo pastore".
Nell'attuale situazione di pluralismo e di trasformazione della teologia delle religioni, la categoria stessa di "popolo eletto" perde plausibilità fino al punto di diventare non solo incredibile, ma - per alcune orecchie - quasi ridicola. Oggi non è più concepibile che esista un Dio vincolato a una razza o a una cultura prescelta, mentre sono lasciati nell'abbandono o nella penombra gli altri popoli sulla faccia della terra. (…)
Rinunciare alla categoria dell'elezione (...) significa colpire il nostro stesso statuto ontologico: smettiamo di essere "gli eletti". È un'autentica conversione, una metanoia, che obbligherà, una volta di più, a una rilettura di tutto il nostro patrimonio simbolico (…). È facile enunciare tutto questo così, laconicamente, ma è necessario essere coscienti di questa crisi di umiltà, di spodestamento, di de-assolutizzazione, di "sana accettazione della relatività" di molte cose che nel corso dei secoli sono state assolutizzate. A nessuno sfuggirà che stiamo parlando di una crisi seria, profonda, epocale.

Un re-incontro con il Gesù storico di ritorno dal Cristo della fede
La cristologia è, all'interno del cristianesimo, il punctum dolens delle sfide teologiche che comporta la nuova situazione di pluralismo (…). Questo è il punto più sensibile, perché è un elemento che è stato considerato, semplicemente, l'elemento "essenziale": si è fatta dipendere tradizionalmente l'identità cristiana dall'affermazione integra e letterale del dogma cristologico in tutti i suoi elementi. (…). Quali sono gli elementi principali del dogma cristologico che soffrono questa pressione esercitata dal pluralismo religioso e che si vedono spinti verso una riconsiderazione teologica?
In primo luogo, è sotto forte pressione l'inclusivismo cristocentrico (visione in cui Cristo è il centro unico e decisivo della salvezza dell'umanità, e, anche se si trovano elementi salvifici in altre religioni, questi non sono altro che presenze della stessa e unica salvezza portata da Cristo). Praticamente, la maggior parte delle Chiese cristiane ha conosciuto un'e-voluzione nell'ultimo mezzo secolo, dalla multisecolare tradizione esclusivista (quella che diceva "fuori della Chiesa non c'è salvezza") all'inclusivismo. Oggi la pluralità multireligiosa chiede di fare un nuovo passo avanti, verso una posizione teologica più conseguente, il "pluralismo", cioè l'ammissione che la Salvezza non solo si dà al di fuori e al di là del cristianesimo, ma può darsi separatamente da Cristo e dalla sua mediazione, procedendo direttamente da Dio. (…)
In secondo luogo, il grande racconto dell'incarnazione. (…). In terzo luogo, e in maniera convergente con i due elementi anteriori, l'espressione "Figlio di Dio", che già da tempo viene riconsiderata (…). Nella mente dell'ascoltatore attuale, l'espressione è già "occupata" da una determinata interpretazione (quella del "Figlio di Dio" come seconda persona della Santissima Trinità), che riveste tutti i testi evangelici di un'interpretazione anacronicamente forzata. Si rende necessario anche qui riesaminare il significato del-l'espressione. Ma rivedere questo significato, o ri-significare l'espressione, significa toccare il punto più sacro e centrale del cristianesimo (…). D'altra parte, è ovvio che si tratta di problemi che non trovano una risposta adeguata in questo momento (...). Le risposte definitive forse tarderanno varie generazioni prima di essere trovate. Il cristianesimo storico ha impiegato tre secoli per elaborare la propria risposta alla domanda di Gesù: "E voi chi dite che io sia?". Anche in questa nuova epoca storica, forse ci sarà bisogno di varie generazioni per poter elaborare la nostra risposta. (…)

Da una Chiesa "arca universale di salvezza" a una riconsiderazione dell'ecclesiologia
La Teologia della Liberazione ha già delineato la necessità e la realtà di una "nuova ecclesialità". A partire dalla sua lettura storica della realtà e dal suo regnocentrismo, l'eccle-sialità classica risultava chiaramente insufficiente, debitrice dell'ecclesiocentrismo (…). Se la nostra religione non è "la" religione ma "una" religione, se tutte le religioni sono vere, se in ciascuna di esse gli esseri umani possono sperimentare la salvezza, la nostra Chiesa concreta non può più essere considerata come "l'arca universale della salvezza", ma come uno strumento, non l'unico, ma uno tra molti, non imprescindibile, non centrale. (…) Il centro, l'obiettivo, l'asso-luto è il Regno, e questo presenta molti cammini: non solo il cammino della nostra Chiesa, ma quello di molte religioni, incluso quello dell'etica laica (Mt 25, 31 ss).
In una visione pluralista la nuova ecclesialità è più umile, più di servizio al Regno, più "una tra molte" (…).

La crisi della missione classica
(…) Ma un nuovo grande fattore di crisi si aggiunge a questa situazione: la crisi della missione, dei suoi stessi fondamenti teologici (…). Se il fatto che ci sia un'unica religione mondiale non sembra più possibile e neppure desiderabile, la "conversione dei popoli alla nostra Santa Fede cattolica" non è più un obiettivo proponibile all'azione missionaria, che deve passare a porsi un obiettivo di dialogo, di scambio e di mutuo arricchimento.
La crisi che i missionari sperimentarono quando il Concilio Vaticano II ammise che fuori dalla Chiesa c'era salvezza, si ripresenta ora con le questioni della cristologia e della ecclesiologia. La Chiesa cattolica ufficiale reagisce ripetendo che la missione si mantiene intatta, senza nulla apportare alla digestione delle difficoltà e alla necessaria reinterpretazione e riformulazione. Se non affrontiamo i problemi, questi si risolveranno senza di noi, forse in una direzione non prevista.

La crisi della morale
(…) La religione è stata di fatto il software di programmazione delle società per ciò che riguarda i loro valori più intimi, che sono stati presentati come valori venuti direttamente da Dio (…). La convivenza attuale con altre religioni, e l'inevitabile confronto di valori e imperativi morali di ciascuna di esse, fa comprendere alla società che la morale non proviene solo da Dio, ma che è anche una costruzione umana, culturale, contestuale, in buona parte aleatoria e, anche, incoscientemente autonoma: siamo noi stessi, gli esseri umani, che abbiamo creato le nostre norme (...). attribuendo alla fine a Dio la nostra stessa creazione (…).
Il pluralismo religioso non è solo quello delle diverse religioni, ma quello della diversità di posizioni che la stessa religione è andata accumulando attraverso la sua storia. Opinioni e imperativi morali che in una data epoca vengono imposti con forza e persino con violenza in altre epoche sono dimenticati e pure contraddetti (…). Se alcuni precetti morali affermati in un'epoca in tutta la loro forza sono cambiati significativamente o addirittura radicalmente, gli adepti di questa religione prendono coscienza che anche i precetti oggi affermati possono cambiare (…).
La società resta alle intemperie quanto a valori assiologici predeterminati e comprende che deve rifare e ricostruire la sua morale autonomamente. Siamo soli. Non c'è lassù un Dio esterno che ci abbia dato una morale "rivelata". I difensori delle posizioni della religione tradizionale interpretano tale situazione come un caos etico o come un tentativo di distruggere moralmente tanto la religione come la società. Questa crisi è generalizzata in molte società attuali.

Concludendo
Per quanto siano contemporanee, questa crisi provocata dall'assunzione cosciente del pluralismo religioso è indipendente dalla crisi della religione dovuta al cambiamento culturale prodotto dalla fine dell'età agraria e dall'avvento della "società della conoscenza". (…). Per quanto gli effetti si sommino e si uniscano, le cause originarie sono distinte, anche se in un intreccio che spesso è difficile sciogliere.
La nuova situazione di "mondializzazione", provocando in maniera inedita l'incontro tra le religioni, crea un orizzonte epistemologico nuovo, che rende loro possibile riconcettualizzare se stesse, ciascuna di esse, e rende possibile a livello umano-scientifico una riconcettualizzazione della religione in generale, in se stessa.
È possibile che questa nuova situazione favorisca l'apparizione di una teologia e chissà anche di una religiosità "più in là delle religioni" (postreligionale, più che postreligiosa). Alcuni la intuiscono come una world theology, una teologia che non sarà né cristiana né musulmana, né buddista né induista, ma tutto questo allo stesso tempo e con nessuna di queste caratterizzazioni in esclusiva. Sarà ubicata nella prospettiva dell'homo gnoscens, che si sente oltre l'apparte-nenza a una "religione" di epoche passate, ma che assume e si avvale con libertà delle ricchezze e della saggezza spirituale contenute in tutte loro (…).