QUANDO LA CHIESA ERA UNA DEMOCRAZIA. LA LEZIONE DIMENTICATA DEL CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI

ADISTA  n° 127 del 12.12.2009

DOC-2223. JOÃO PESSOA‑ADISTA. Guai a parlare oggi di democrazia nella Chiesa. Eppure, alle origini era "esattamente l'opposto", come spiega il teologo brasiliano José Comblin, uno dei padri della teologia della Liberazione, in un articolo, pubblicato dal portale Reflexión y Liberación, dal titolo "La Chiesa e i carismi secondo S. Paolo". Talmente l'opposto che la parola stessa ekklesia, adottata da Paolo, indicava l'assemblea del popolo riunito per governare la città, "senza capi, senza persone che comandassero": nell'ekklesia ‑ che, secondo Comblin, dovrebbe tradursi proprio con "democrazia" ‑ tutti i cristiani "erano uguali, tutti potevano parlare, tutti potevano prendere parte alle decisioni prese dall'assemblea". E le comunità "non si riunivano per celebrare un culto, per praticare una religione, ma per convivere gli uni con gli altri nella fraternità di un popolo di uguali". Ma l'enormità della distanza che ci separa dalle origini è data anche da altri elementi: nelle comunità delle origini non c'erano ordinazioni ‑ "Ciascuno riceveva il suo carisma direttamente dallo Spirito" ‑ né esisteva alcun ministero o alcun carisma di tipo liturgico o cultuale ‑ "Nessuno era ordinato o designato per presiedere la celebrazione dell'eucaristia, legata ai pasti comunitari. Presiedeva l'eucaristia, ossia distribuiva il pane, la persona che presiedeva il pasto" ‑ e neppure c'era alcunché di liturgico perché la liturgia era la vita reale. Si trattava, poi, di una Chiesa povera, in un senso diverso, precisa Comblin, da quello contemporaneo dell'opzione preferenziale per i poveri. "Solo un ricco può fare un'opzione per i poveri. La Chiesa che fa questa opzione è una Chiesa ricca. È questa di fatto la condizione della Chiesa cattolica di oggi". Una Chiesa ricca, legata ai conquistatori e continuamente tentata dal potere. La stessa Chiesa che, in America Latina, oggi annuncia una grande missione continentale: "Ma questa Chiesa che siamo ora cosa può annunciare alle masse povere dell'America Latina? Che autorità ha questa Chiesa che persegue tanto il potere? La grande missione potrebbe essere solo una grande conversione della Chiesa. Questa conversione sarebbe opera dei poveri dell'America Latina. La Chiesa non ha nulla da insegnare e tutto da apprendere. La vera Chiesa è in mezzo ai poveri come Chiesa crocifissa".

Di seguito l'intervento di José Comblin, con alcuni tagli, in una nostra traduzione dallo spagnolo. (c. f.)

LA CHIESA E I CARISMI SECONDO SAN PAOLO


 di José Comblin

Le lettere di Paolo rivelano com’era la Chiesa nelle comunità fondate più o meno 20 anni dopo la morte di Gesù. La comunità cristiana stava muovendo i primi passi, godendo di tutti i privilegi dell'infanzia.

Dobbiamo considerare le epistole che sono realmente di s. Paolo: Romani, 1 e 2 Corinzi, Galati, 1 Tessalonicesi, Filippesi, Filemone. Le altre furono scritte dai suoi discepoli dopo la sua morte, varie di esse anche 30 o 40 anni dopo. Ma essi cambiarono la sua ecclesiologia, sicuramente perché le comunità stesse erano cambiate. Il principale cambiamento è la presenza di ministri permanenti incaricati di dirigere la comunità, presbiteri e diaconi che non erano stati stabiliti da Paolo. (...).

1. Il popolo di Dio

Il concetto base dell'ecclesiologia di Paolo è il concetto di popolo di Dio. Il concetto di popolo non è sociologico. (...). Il popolo è una categoria teologica perché è un ideale proiettato come promessa rivolta ad Abramo.

Per Paolo i discepoli di Gesù sono la continuazione del popolo di Israele. I capi di Israele hanno tradito le promesse rivolte ad Abramo e hanno abbandonato il vero Israele. Il vero e definitivo Israele è nelle comunità dei discepoli di Gesù, ebrei e gentili. Le promesse di Abramo non riguardano una piccola porzione dell'umanità separata da tutto il resto. I discendenti di Abramo, essendo innumerevoli, devono interessare tutto il mondo (...).

Paolo non intende convertire individui, vuole estendere il popolo di Dio fino agli estremi confini del mondo perché questo è il piano di Dio rivelato ad Abramo. Gesù è venuto per realizzare questo piano di Abramo, per questo è stato ucciso.

(...). Gesù non è venuto per insegnare una religione o una sapienza, ma per trasformare la vita intera. Tutto fa parte del popolo: l’economia, la politica, la cultura, la vita materiale, dall’assunzione di cibo fino all'uso delle risorse naturali. È tutto questo a costituire il popolo. I discepoli hanno come missione quella di inaugurare quello che sarà il popolo di Dio, integrando tutti gli altri popoli nell'unità del progetto di Abramo. C'è posto per tutti perché non ci sono più barriere. (...). I capi di Israele rendevano pressoché impossibile l'ingresso dei pagani perché ponevano loro ostacoli quasi insormontabili. Ora il popolo è aperto a tutti e Paolo pensa che in poco tempo abbraccerà l'umanità intera.

Le comunità paoline e i discepoli convocati da altri apostoli rappresentano l'inizio di questo popolo ora libero e aperto. Numericamente sono insignificanti, ma la fede di Paolo consiste in ciò: nel vedere in essi il preludio di una nuova umanità, un'unica convivenza in cui tutta la diversità si incontri nell'amore e nella solidarietà.

2. L'"ekklesia"

All'inizio, i discepoli di Gesù non credevano fosse necessario dare un nome al loro riunirsi. Erano ebrei, membri del popolo eletto di Israele. All'interno di Israele essi erano i seguaci del cammino di Gesù. Attendevano il regno di Dio annunciato da Gesù. Ma il regno non era venuto, era apparso più distante del previsto. E così era stato rimandato al giorno in cui si sarebbe verificata realmente la fine di questo mondo e la nascita del nuovo, atteso come il grande miracolo di Dio. Ci si trovava allora in un tempo intermedio. I discepoli non potevano aspettare semplicemente questo giorno. Vivevano sulla terra, la vita terrena andava avanti. E quando fecero il loro ingresso pagani convertiti e i discepoli si allontanarono dall'ortodossia giudaica si rese necessario pensare ad un nome. Paolo diede alle sue comunità un nome che fosse comune a tutte ed esprimesse l'unità tra tutte. Adottò il nome di ekklesia. Era una parola molto significativa. Era geniale.

La parola ekklesia aveva un solo significato. Era l'assem-blea del popolo riunito, del demos, per governare la città. Scegliendo questa parola, Paolo sapeva bene quello che faceva. Non prese alcun nome religioso. C'erano gruppi religiosi di diverso tipo in quel tempo nelle città greche. Ma Paolo sapeva di non venire a stabilire una religione, un culto. La religione e il culto non lo interessavano. Per Paolo il culto dei discepoli di Gesù era la loro vita. Paolo chiamava tutti a formare un popolo. Le comunità di una città rappresentavano un popolo, il popolo di Dio in quella città. Erano il vero popolo, costituendo l'autentico demos, per quanto fossero ancora una minoranza insignificante. Ma Paolo guardava lontano sorretto da una fede invincibile. (...).

Le comunità erano un popolo che formava l'ekklesia, cioè si autogovernavano, senza capi, senza persone che comandassero. Era la vera realizzazione dell'ideale greco di cit-tà. I discepoli formavano tra loro un'autentica "democrazia", l'ideale che i greci non avevano mai raggiunto, ammettendo la schiavitù e la divisione di>

La vera traduzione di ekklesia dovrebbe essere "democrazia". (...). La parola "chiesa" non significa nulla, non dice nulla. Si è trasformata nel nome di un'istituzione.

Chi fa parte della Chiesa cattolica può cogliere fino a che punto ci siamo allontanati dalle origini cristiane. Oggi chi pensa che la Chiesa sia e debba essere una democrazia viene considerato eretico. Siamo esattamente all'estremo opposto delle comunità cristiane primitive.

Nella "democrazia" cristiana tutti erano uguali, tutti potevano parlare, tutti potevano prendere parte alle decisioni prese dall'assemblea. Era realmente l'avvento della libertà, il nucleo di un nuovo popolo, di una nuova umanità. Le comunità non si riunivano per celebrare un culto, per praticare una religione, ma per convivere gli uni con gli altri nella fraternità di un popolo di uguali. Vivere insieme era la ragione di queste riunioni. C'era naturalmente del cibo in comune perché vivere insieme è mangiare insieme.

Quello che più si avvicina all'ekklesia delle origini sono le cosiddette comunità ecclesiali di base, una realizzazione di cui non si aveva più notizia dal Medioevo, per quanto esistesse in certe Chiese riformate, soprattutto negli Stati Uniti.

3. I doni dello Spirito nelle comunità

La Chiesa, questa "democrazia", costituisce un'unità, un solo corpo, perché è il corpo di Cristo. Ciascuno è un organo di Cristo. Egli unisce tutti questi membri per mezzo dei doni dello Spirito, che sono diversi. Ciascuno riceve un dono dello Spirito. Il dono è una capacità per servire gli altri. Tutti servono tutti, tutti sono al servizio di tutti. Così è l'unità. L'unità è fatta dallo Spirito.

Paolo ha lasciato tre liste di doni o servizi che chiama carismi. Le liste non sono le stesse. Non c'era un catalogo ufficiale. Le comunità non dovevano essere la copia di un modello uniforme.

1 Cor 12, 8‑10: "A  uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue".

1 Cor 12, 28‑30: "Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue".

Rm 12, 6‑8: "Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi l'insegnamento, all'insegnamento;  chi l'esortazione, all'esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia".

Non c'è bisogno qui di indagare quale sia il contenuto concreto di ciascuno di questi doni. Quello che importa è che tutti i membri hanno un ruolo nella comunità. Se qualcuno presiede, non è per comandare, ma per riunire. Nelle comunità paoline nessuno comanda, nessuno impone. Si realizza quanto detto da dom Hélder una volta giunto a Recife: qui due parole sono proibite, comandare ed esigere.

Naturalmente queste comunità erano piccole e non avevano bisogno di molta organizzazione. Sorgevano problemi, conflitti, rivalità, ma questi problemi non si risolvevano per imposizione di un capo.

Paolo rivendicò sempre la sua qualità di "apostolo" per essere stato chiamato dallo stesso Cristo, come i Dodici, per quanto in circostanze diverse. Nella sua missione itinerante fu il fondatore di molte comunità. Egli rivendicava il ruolo di padre della comunità, che gli conferiva un'autorità unica.

Tuttavia, è importante notare come Paolo esercitasse questa autorità. Egli non comandava, non imponeva. Ne abbiamo una testimonianza molto significativa in 2 Cor. Come è noto, la seconda Lettera ai Corinzi non è una sola lettera, ma una raccolta. (...). 2 Cor contiene 5 lettere che si riferiscono tutte a un incidente avvenuto a Corinto.

Quando Paolo era a Efeso, scoppiò una crisi a Corinto. Qualcuno contestò l'autorità di Paolo ponendosi alla guida di un gruppo di oppositori (2 Cor 2, 5‑6). Paolo corse a Corinto. La visita fu breve e non produsse alcun risultato. Al contrario, il capo dell'opposizione insultò Paolo sfidandolo apertamente. Paolo preferì ritirarsi e aspettare migliori condizioni per iniziare una strategia diversa in vista di una riconciliazione. Da Efeso, Paolo scrisse una lettera esortando i discepoli di Corinto a riconciliarsi con lui. Questa lettera è in 2 Cor 2, 14 ‑ 7, 4. (...).

Allora, Paolo inviò Tito a Corinto per vedere se egli riuscisse a risolvere il problema, cioè a fare in modo che i Corinzi riconoscessero l'autorità apostolica di Paolo. La missione di Tito fu un successo completo. (...). Paolo ne fu così felice che scrisse e inviò ai Corinzi la lettera di riconciliazione, 2 Cor 1,1‑2,13; 7,5‑16.

Una volta compiuta la riconciliazione, Paolo volle riprendere la questione della colletta per i poveri di Gerusalemme, che era stata un'iniziativa dei Corinzi, ma era stata abbandonata quando era esploso il conflitto. Paolo mandò due lettere per insistere su questa colletta, volendo esortare e stimolare i Corinzi. Sono i capitoli 8 e 9 di 2 Cor.

Questo episodio è molto interessante. Paolo avrebbe potuto invocare il proprio carattere di apostolo per imporsi. Avrebbe potuto emanare una sentenza di condanna contro i ribelli, o persino espellerli dalla comunità. Preferì seguire il cammino del dialogo al fine di ottenere una riconciliazione.

Oggi colpisce profondamente il fatto che non vi fosse alcuna ordinazione. Ciascuno riceveva il suo carisma direttamente dallo Spirito. Il carisma era accettato perché il discepolo dimostrava la sua capacità. Nessuno era designato per un compito particolare. La spontaneità bastava a risolvere i problemi della vita comunitaria. I doni dello Spirito non mancavano. Le comunità erano piccole. Non c'era alcuna organizzazione formale.

Richiama l'attenzione anche il fatto che non vi fosse alcun ministero o alcun carisma di tipo liturgico o cultuale. Oggi le ordinazioni e i ministeri liturgici o cultuali occupano il primo posto nella Chiesa cattolica fino al punto di soffocare i doni della comunità. A Corinto nessuno veniva ordinato per battezzare. Nessuno era ordinato o designato per presiedere la celebrazione dell'eucaristia, legata ai pasti comunitari. Presiedeva l'eucaristia, ossia distribuiva il pane, la persona che presiedeva il pasto. Era la persona che ai pasti diceva la preghiera di ringraziamento.

Questa situazione risponde all'assenza di culto liturgico nelle comunità cristiane. Il culto dell'Antico Testamento è totalmente scomparso, sostituito da un culto fatto di realtà e non di simboli. Il tempio è lo stesso corpo dei discepoli. In essi abita Dio (1 Cor 3,16‑17).

Non ci sono più sacrifici cultuali. I sacrifici sono la vita stessa dei discepoli, le loro attività mosse dallo Spirito (Rm 12,1; Fil 3,3). I sacerdoti sono tutti i discepoli che offrono la loro vita quotidiana vissuta nel corpo.

Non c'è nulla di liturgico. La liturgia è la vita reale... Più tardi, l'influenza dell'Antico Testamento e delle religioni pa-gane indusse i cristiani a darsi un culto liturgico fatto di simboli. È allora che appaiono ministri ordinati per questo culto. Dopo Costantino, ci fu uno sviluppo radicale di culto liturgico e dei suoi ministri. La Chiesa si clericalizzò e i carismi scomparvero, perlomeno dalla coscienza e dalle strutture ufficiali della Chiesa. Al tempo di Paolo nessuno immaginava sacerdoti ordinati per un culto. I ministeri erano servizi reali per la comunità o per i poveri.

4. La Chiesa povera

Il tema della povertà è fondamentale nell'ecclesiologia di Paolo. Diciamo subito che il tema della Chiesa povera di Paolo non ha nulla a che vedere con quello contemporaneo dell'opzione preferenziale per i poveri. Solo un ricco può fare un'opzione per i poveri. La Chiesa che fa questa opzione è una Chiesa ricca. È questa di fatto la condizione della Chiesa cattolica di oggi. Quando i vescovi di Medellín fecero l'opzione per i poveri sapevano di essere ricchi e di rappresentare una Chiesa ricca. Volevano rispondere alla sfida che rappresenta la condizione di vescovo ricco che si dice successore di apostoli che erano poveri.

Paolo fa una lunga esposizione di questo tema della povertà in 1 Cor 1,17‑2,16 e 3,18‑23. Il tema della povertà è legato al tema della croce. Paolo annuncia Gesù crocifisso e la sua ecclesiologia deriva da questo tema basilare. La povertà suprema è la croce. La croce è la situazione della peggiore degradazione umana, è la totale impotenza. Per questo è oggetto di vergogna. Essere crocifisso è la maggiore vergogna. È il disprezzo, il rifiuto, è oggetto di scherno: la croce riduce l'essere umano a spazzatura.

Ebbene, Dio ha scelto la croce, la spazzatura, lo scandalo, la vergogna per creare la nuova umanità. Questa croce è presente nei poveri. Dio ha scelto quanto c’è di più disprezzato nell'umanità. Per questo ha scelto i poveri. I poveri sono gli eletti per iniziare il cammino della liberazione dell'umanità. I poveri sono scelti perché sono rifiutati, maltrattati, ridotti all'impotenza. Dio li sceglie per mostrare come la sua forza operi per mezzo di quello che è "più debole". La comunità di Corinto è un esempio di questa manifestazione del suo potere creatore. A Corinto vi sono pochi ricchi e la comunità è fatta essenzialmente di poveri (1 Cor 1,26).

La Chiesa secondo s. Paolo è la Chiesa dei poveri che era il sogno di Giovanni XXIII

C'è un'insistenza speciale sulla povertà culturale. Dio ha rifiutato la sapienza dei saggi e ha scelto la follia della croce. Follia vuol dire debolezza intellettuale, povertà di cultura. Non abbiamo bisogno dell'aiuto della filosofia greca. La vera saggezza è la saggezza della croce. È la saggezza dei poveri.

Ma la povertà è naturalmente anche materiale. Abbiamo una descrizione di questa povertà materiale nella descrizione che Paolo fa della sua vita. Poiché egli stesso nella sua missione è stato una dimostrazione della saggezza della croce. "Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio" (1 Cor 2,3‑5). Ora, ecco qui la povertà materiale: "Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi" (1 Cor 4‑10‑13; cfr. 2 Cor 11,16‑12, 10).

Se consideriamo i 2000 anni della storia della Chiesa, come non rimanere colpiti dell'enorme distanza che ci separa dalle origini! Malgrado tutto, c'è sempre stato un piccolo resto, una piccola minoranza fedele alle origini, ci sono sempre state comunità povere che hanno ascoltato il messaggio di follia della croce. Ma, accanto a loro, quanta ricchezza e quanto potere occultavano il vangelo!

Nella conquista dell'America vi sono stati alcuni missionari che hanno riprodotto il modello di Paolo: i domenicani dell'isola Española, i francescani del Messico centrale, i gesuiti delle missioni guaraní. Accanto a questo, tutto il potere e la ricchezza di una Chiesa legata ai conquistatori. Fino ad oggi, quante tentazioni di potere!

Si parla di una grande missione in America Latina. Ma questa Chiesa che siamo ora cosa può annunciare alle masse povere dell'America Latina? Che autorità ha questa Chiesa che persegue tanto il potere? La grande missione potrebbe essere solo una grande conversione della Chiesa. Questa conversione sarebbe opera dei poveri dell'America Latina. La Chiesa non ha nulla da insegnare e tutto da apprendere. La vera Chiesa è in mezzo ai poveri come Chiesa crocifissa, senza sapienza umana, senza prestigio, senza edifici, senza teologia, senza diplomi universitari, realmente lo sterco del mondo, ignorata e disprezzata. Lì è la croce di Cristo che noi non sappiamo annunciare.

Questa è la grande lezione che ci viene da s. Paolo. È una follia, ma possiamo cercare di essere folli!