IL DECALOGO

Di Franco Barbero

 

da "cdb informa" n° 43 marzo 2009

 

 

(Note e sbobinatura non rivista dall’autore di Donatella Nigra)

 

Su questo tema c’è un’immensità di libri, ma in conclusione il migliore e il più semplice è quello di un grande ebraista italiano, prete, sospeso dall’insegnamento Carmine di Sante “Decalogo – le dieci parole comandamento e libertà" Cittadella editrice. Ve lo raccomando perché nella brevità di queste 140 pagine c'è un piccolo condensato sintetico.

Se vi accingete a leggere il Decalogo vi accorgerete che va situato nel contesto. Questa operazione di contestualizzazione letteraria è sempre essenziale: prendere un testo e svellerlo dal contesto significa normalmente compiere due operazioni: la prima (la meno nociva) è quella di impoverirlo, la seconda è quella di pervertirlo: invece il testo è dentro una concezione storico-letteraria-teologica.

Un quadro, una cornice, un disegno nel contesto della nostra casa ha un significato, ci rimanda a degli affetti e degli eventi, ma tolto e staccato da quella casa non significa più nulla.

Questo è sempre fondamentale nella Bibbia. Guardando l’Esodo là dove compare il Decalogo ci accorgiamo che compare al capitolo 20: ma cosa significa il capitolo 20? C’è già stato l’evento della liberazione (Es 1-15), è avvenuta l’uscita dalla schiavitù per iniziativa divina; poi è avvenuto il cammino nel deserto: non è il primo atto, come a ribadire che il dono della legge (concezione ebraica) è comprensibile soltanto dopo un certo tratto di cammino; prima non sarebbe un dono. Dio non è partito dalla consegna di una legge, è partito da un’iniziativa, ha deciso di liberare il suo popolo, lo ha avviato nella strada stretta del deserto e nel deserto gli ha fatto il dono della Legge.

Ma c’è un’altra concezione letteraria: il decalogo fa parte di un corpo letterario molto vasto che parte dal capitolo 19 dove Dio propone l’alleanza e va fino al capitolo 24, con pagine che solitamente non vengono mai lette, ma è una grande cornice (la chiamata di Mosè sul Sinai/la consegna delle tavole/la discesa/Dio che conclude l’alleanza) e poi gli altri capitoli dal 32 al 34 quando l’alleanza viene rotta e Dio la rinnova. Mai dimenticare questa contestualizzazione e collocazione. Al capitolo 19: entrata nel deserto al terzo giorno del terzo mese e Dio compie un fatto (chiamata di Mosè e richiesta di adesione al popolo). 

C’è un midrash estremamente bello: il popolo accetta, Mosè riferisce la risposta, Dio ordina di attenersi alle regole (lavarsi, purificarsi). Quando Israele ricevette la Legge tutto si fermò: ruscelli fermi, sole luna tutti fermi, animali con la bocca aperta, …. Linguaggio dell’amore: tutto diventa immobile in quanto adorante; quando c’è qualcosa di importante bisogna interrompere qualsiasi altra attività.

Questa cornice è importantissima: sta per avvenire qualcosa che cambierà la vita del popolo; lo stesso sarà al capitolo 24 (rinnovare l’alleanza). L’evento ora diventa completo. Il popolo e la libertà per Israele sono fratello e sorella: non è semplicemente la gente senza consapevolezza (da “oclos”), quando si parla del popolo consapevole si usa la parola “laos” (da cui deriva laico).

La redazione di tutto questo avviene dopo una lunga storia perché si è capito che dove non c’è obbedienza alla volontà di Dio, non esiste la libertà. Questa è la teologia di Israele: dopo una lunga storia, in cui il popolo ha fatto esperienza dell’essersi perso, scopre che popolo e libertà devono stare insieme.

Questa ultima redazione non avviene al tempo di Mosè (ci sono già i sacerdoti, non poteva esser al tempo di Mosè), ma dopo l’esilio a Babilonia e nel primissimo dopo esilio: si è vista la storia, si sono conosciute speranze, delusioni, tradimenti, riprese; nonostante tutto, Dio ci ripropone la sua legge, la sua volontà. E’ bello questo: Israele scrive ma nella scrittura di Israele c’è già la sapienza dei secoli; fa entrare nel libro quello che ha imparato nei secoli.

 

 

 

Esistono due versioni del decalogo: Esodo 20 e Deuteronomio 5.

L’evento è complesso: capitoli 32, 33, 34 tutto viene abbandonato dal popolo; è bastato che Mosè tardasse, che si fa il vitello d’oro. E chi lo fa? Il sommo sacerdote, per accogliere i desideri del popolo; è un Iahvè vicino, un Dio addomesticato, il Dio creatore adesso viene creato dalle mani del popolo, in realtà sotto questo non c’è la fedeltà a Dio. Dio darà un’altra volta le due tavole della legge: Es 38, 24 (le dieci parole dell’alleanza).

Quali sono gli elementi: Dio non perde di vista il suo popolo.

E’ dentro la storia che Israele riflette: i comandamenti sono aperti, non sono dogmi, sono indicazioni, vanno completati e rivisitati nella storia.

Nell’esilio la grande domanda è: sarà la nostra fine? Dal 587 al 539 sono a Babilonia, non proprio schiavi, ma hanno perso l’unitarietà monarchica, hanno solo grandi ricordi, l’autonomia è svanita, si domandano chi siamo? È finita la nostra storia? Dio liberatore ci libererà ancora? Grande condensazione delle memorie: alcuni diranno “integriamoci qui a Babilonia", altri sosterranno la diaspora (fuori dal territorio manteniamo la nostra fede), altri vorranno tornare. Primo ritorno 587, altri torneranno dieci anni dopo. Nella bassura della storia, si ripensa.

Solo l’alleanza apre l’uomo e la donna agli altri e a Dio: l’alleanza è l’iniziativa divina che apre tutte le porte del creato, bisogna vivere con tutte le porte aperte.

Comandamento è una parola che evoca comando, ordine, ma non è così per l’ebraismo: verso la libertà non ci si muove spontaneamente; la libertà è un cammino difficile, non si fa con il mito della spontaneità; pagine bellissime su questo tema sono state scritte da Armido Rizzi.

Allora il frontespizio del primo comandamento “Io sono il Signore Dio …” è un enunciato, ma manca nella nostra Bibbia.

Due diverse dizioni: noi cristiani abbiamo fatto qualche modifica alla Bibbia ebraica (cancellato “Non ti farai immagini”, sdoppiato l’ultimo comandamento).

Dio crea ma non abbandona, ti ho fatto uscire dalla schiavitù; Dio si auto presenta.

Il vero problema di Israele sarà che Dio libera, ma noi non siamo grandi collaboratori.

Tutti i comandamenti vanno letti in chiave di liberazione, salvo due sono tutti in forma negativa, tutti molto brevi salvo quello del sabato.

Primo: autopresentazione di Dio.

Secondo: non ti farai immagine alcuna, non ti farai altri dei di fronte a me (e all’infuori di me). Tutta la realtà è laica, nulla è divino, di nessuna realtà bisogna fare un Dio (cosa, persona, cibi, libro, tempio, …, nemmeno dell’amore, Dio è la fonte dell’amore, non è l’amore): è tutto umano.

La Bibbia  è istintivamente sdivinizzante, c’è allergia alla divinizzazione nella Bibbia. Noi viviamo invece in una società che ci invita ad adorare. Nasce dentro la storia di Israele: solo chi mantiene questa unicità di Dio, è un figlio della libertà.

Terzo: non pronunciare invano il nome di Dio. E’ anche la storia dei profeti di corte che usano il nome di Dio per far prevalere il volere della corte, per gli interessi nazionalistici.

Aspetto del sabato: santificare il sabato, in onore del Signore tuo Dio. Sabato è dichiarato santo. Confronto con Dt 5 (rispetta il giorno di sabato). Nel decalogo di Es. abbiamo l’indicazione di fermarci,  per capire chi siamo e riattivare la relazione con Dio, fermarci per santificare il giorno, perché noi non siamo l’onnipotenza; in Dt invece si dice se non ti fermi, tu non ti ricordi che un giorno eri schiavo e che Dio ti ha liberato: il sabato ha la funzione di ricordarti che la schiavitù è sempre alla porta di casa nostra; se io non faccio memoria,  ritorno nella schiavitù, c’è un altro Egitto. Questa è una pagina originale dell’ebraismo nel mondo antico, nessun popolo antico conosceva il riposo dal lavoro, il lavoro va limitato. Il problema è che noi rimaniamo incentrati su noi stessi: per l’Es. bisogna attivare i 4 occhi del sabato. Il primo guarda a Dio e mi ricorda che lui è il creatore e io sono la creatura; il secondo è rivolto al mio cuore per sapere se amo con tutto il cuore; il terzo è rivolto agli uomini e alle donne con cui vivo; il quarto è rivolto al creato. Hanno diritto al riposo tutti, è una legge universale, il Dio è il Dio di tutti. Liberarsi e rimanere liberi è il problema numero uno.

Nella chiesa di base ci siamo liberati di una concezione legalistica, ma è troppo facile liberarsi di qualche precetto e lo si fa con estrema facilità; mandi in aria tutto (ad esempio la messa di precetto), ma in realtà la domanda è: noi cancellando la precettistica, abbiamo attivato la memoria? E’ questo il grande problema.

Siamo tutti capaci a cancellare la precettistica, ma cosa costruiamo creativamente per attivare la memoria? Il vero problema della fede ebraica non è il ricordo (è un processo mnemonico),  ma la memoria (si fa, si fa insieme). Il ricordo storico non è la memoria ebraica. Senza memoria non vive la fede. Il nostro problema è di inventare maniere di fare memoria, di radunarci, perché altrimenti la nostra fede si riduce ad un lavoro teoretico.

Memoria è qualcosa di sostanzioso, la memoria biblica era il momento in cui il popolo si radunava e celebrava le lodi del Dio liberatore e leggeva le testimonianze della passata liberazione e discuteva delle attuali schiavitù: questa è la dimensione della memoria, era il raduno della comunità che si chiedeva “crediamo ancora che Dio è il liberatore?, vogliamo domandarci insieme se siamo liberi, vogliamo pregare Dio che diventi il Dio che ancora accetta di entrare in relazione, vogliamo noi rispondere alla sua relazione?”;  la memoria implica una relazione, mentre il ricordo è una rivisitazione mnemonica. Io sto in relazione con questo Dio (Dio soggettivo e Dio comunitario)  perché sento che la mia vita nella fede ha bisogno di liberazione; il ricordo può avvenire anche singolarmente; la memoria è da fare, è da costruire insieme, esige un fare e delle persone che insieme organizzino la memoria, la celebrino; la memoria è costruttiva di momenti comunitari per tenere viva questa esperienza. Ecco perché Israele dice che c’è il comandamento del sabato: noi vorremmo facilmente ricordare,  ma non vogliamo impegnarci per la memoria.

Ecco perché io non mi sono mai preoccupato troppo di spiegare cos’è la preghiera, ma sono più preoccupato di vivere la preghiera. Certamente è utile parlare della fede, ma ancora più importante è vivere e far vedere ai ragazzi ciò che noi viviamo.

Passare a momenti in cui coltivare la memoria attiva della propria fede, altrimenti rischi di abbandonare tutto, ti perdi nell’antiistituzione, bisogna avere dei luoghi in cui la memoria viene tenuta viva. Il passaggio dal ricordo alla memoria esige molto coraggio: il ricordare è un’azione mentale, utile, ma la memoria esige tempo e gratuità, fuori dalle logiche abitudinarie.

Esiste parallelo tra la difficoltà di fare memoria e la non spontaneità di essere sulla strada della libertà?

Il parallelo esiste in una parola non piacevole che bisogna mettere in campo: la disciplina della nostra vita, la memoria esige un atto creativo, esige una presa di volontà; la libertà non è spontanea, noi viviamo nel mondo dominato dai desideri, dalle attrattive.  Il libro di Rizzi “Oltre l’erba voglio” afferma che  “la cultura del solo desiderio è una cultura che crede nel bene spontaneo”: è proprio il comandamento finale “Non desiderare”, non è contro il desiderio, ma è per la disciplina del desiderio; la libertà non è spontanea, non è spontaneo nemmeno cercare gli strumenti per costruire la libertà. Chi cammina verso la libertà scopre che la libertà è un cammino che sale verso Gerusalemme; i salmi delle ascensioni nascono nel tempo in cui si struttura la teologia dell’esodo, la libertà si fa con le salite, la libertà è una grande salita. E Israele non si vergogna a dire una cosa importante: se non ci fosse stato il precetto non saremmo partiti; Dio ci deve dare un ordine, perché noi non abbiamo voglia di liberarci.

Israele si accorge di avere persino avuto nostalgia della schiavitù, se Dio non avesse trascinato fuori Israele, Israele avrebbe preferito l’Egitto.

La struttura della libertà ha alcuni paletti: i doni buoni,

non uccidere, evitare la violenza, non fare del desiderio (come possesso) un dio, …

La psicanalisi è partita da questi testi biblici (onnipotenza del desiderio). Devi esaminare i tuoi desideri, non devi farne una divinità, il desiderio deve essere sottoposto alla disciplina della libertà, il desiderio appartiene al codice della libertà quando non adoro ciò che desidero.

Comandamenti come strumenti aperti, non sono da fissare altrimenti diventano dogmi, vanno letti come un’indicazione verso la libertà, sono strumenti vivi da adeguare al cammino.

Non sono la soluzione a tutti i problemi, ma sono le grandi indicazioni della vita.

La relazione con Dio è la prospettiva fondativa della mia vita. Ci vogliono i grandi orizzonti, ma poi servono delle regole.