LA NOTTE VIGILE DEI POVERI


 di Pedro Casaldáliga e José María Vigil

ADISTA n°89 del 12.9.2009

 

Sappiamo già che la solidarietà è in crisi. Parlare di crisi della solidarietà potrà sembrare un luogo comune, ma si tratta di una verità forte che, da un lato o dall’altro, colpisce tutti noi: quelli che dovrebbero esprimere solidarietà e quelli che hanno bisogno di riceverla. O, meglio, tutti noi che abbiamo bisogno di riceverla e di darla, perché la solidarietà è un mistero di reciprocità fraterna ineludibile.

Segni di questa crisi non mancano certo. Ci riferiamo soprattutto alla solidarietà con l’America Latina. Delle migliaia di comitati di solidarietà che si sono avuti, in tutto il mondo, con il Nicaragua, per esempio, la maggior parte è scomparsa. Ed è curioso osservare che, nel caso concreto della Spagna, sono scomparsi i cosiddetti comitati “politici”, mentre rimangono quelli “cristiani”. Per rispetto della verità è giusto riconoscere, riguardo ai primi, che alcuni si sono uniti ad altri organismi più universali di solidarietà.

Tuttavia, resta valida l’osservazione di Enrique Dussel: forse in certi momenti di disillusione storica, quando la speranza “scientifica” è stata sconfitta dai fatti, permane, nella notte della fede, più in là delle certezze scientifiche, la speranza contro ogni speranza che è propria dei cristiani. Il che non significa che tale crisi non colpisca profondamente anche i cristiani e le cristiane, soprattutto quando anch’essi attribuiscono il giusto valore alla storia e alla scienza.

Cominciare con questa constatazione della crisi della solidarietà non è negativismo. Si tratta, in ultima istanza, di una crisi di crescita. Sempre che si ricordi e si assuma responsabilmente ciò che di fatto è la solidarietà alla luce della fede.

La solidarietà è una forma piena della carità di sempre ma con un’esperienza critica, storica, politica, geopolitica, di spiritualità integrale. La solidarietà è la carità potenziata dall’opzione per i poveri. La stessa crisi che l’opzione per i poveri sta attraversando nel cuore di tanti e in tanti settori della Chiesa la sta passando logicamente la solidarietà.

 

L’opzione per i poveri è entrata nella sua notte oscura

Molti si stanno domandando “cosa resti dell’opzione per i poveri”. Intesa come opzione per le Cause dei poveri, e non solamente per le loro sofferenze o la loro emarginazione.

I motivi di questa maggiore crisi dell’opzione per i poveri e, di conseguenza, della solidarietà nei loro confronti, sono molti, clamorosi, totali.

- Il crac dell’Est europeo e la caduta del socialismo reale. Il fallimento di alcune rivoluzioni popolari. Il presunto trionfo del nuovo impero del liberismo e l’egemonia totale del mercato.

- Il fatto che non si “veda” un progetto storico dei poveri, alternativo, che sia praticabile in questo periodo globalizzato della politica e dell’economia. Oggi l’opzione per i poveri deve essere fatta più controcorrente, senza l’appoggio sensibile di un organigramma, senza la forza manovrabile di una speranza meccanicista che le dia una credibilità in termini di fattibilità storica prossima. L’opzione per i poveri e per le loro Cause, in questa ora notturna, deve essere fatta nell’aria della fede, al vento dell’utopia.

Parlando in termini cristiani, questa non è una novità, ma la verità di sempre. La nostra “speranza contro ogni speranza” è una speranza contro ogni apparenza, la fede contro ogni evidenza, l’amore contro ogni impossibilità. Ossia, l’opzione per i poveri e la solidarietà nei loro confronti deve essere oggi più teologale che mai.

- La postmodernità, che in certa misura è la stanchezza della modernità o la sua autodisillusione, proclama la rinuncia alle “grandi narrazioni” e il sonnambulismo delle “Grandi Cause”, perché le vede impraticabili o inutili, e perché opta sistematicamente per il pragmatismo palpabile e per il consumismo quotidiano.

- Il momento psicologico - la convergenza di tutti questi fattori - è di un certo esaurimento o depressione, di una stanchezza da fine giornata, di un’allergia a ciò che tanto ci ha fatto soffrire e per cui tanti compagni e compagne di strada hanno dato tutto, compresa la vita. Anche di disillusione, perché molti, ugualmente compagni, ci hanno deluso. Passato il vento forte delle bandiere da innalzare, sono tanti quelli che si sono assestati al ritmo dell’opportunismo o delle sicurezze.

Oggi, parlare di analisi sociale, di congiuntura sociopolitica, di critica razionale, di valutazione etica, di giudizio teologico, al di là della prepotenza e dell’evidenza del sistema, appare come uno di quei “linguaggi duri” che attribuivano a Gesù di Nazareth quanti non erano molto decisi a seguirlo radicalmente (cfr Gv 6, 60).

 

Non bisogna pretendere l’impossibile

Ci lasciamo spesso abbattere perché esageriamo il negativo e pretendiamo l’impossibile in questo periodo della caduta “del socialismo” e dell’euforia neoliberista. Anche noi possiamo finire per riconoscere, più o meno avventatamente, che “la storia non va più oltre”.

La fede è quella luce che brilla in un luogo di tenebre, come diceva l’apostolo Pietro (cfr 2 Pt 1,19). E bisogna u-sarla per illuminare criticamente le tenebre della storia, la menzogna del potere e la fascinazione degli idoli.

- Si impone una migliore analisi di “quanto è avvenuto”, sia nel socialismo reale (o “nominale”) dell’Est che nelle nostre rivoluzioni latinoamericane e nel “trionfo” del neoliberismo. Molte persone, anche tra quelle che poco tempo fa erano critiche nei confronti del progetto capitalista e della dominazione imperialista, ora – introiettando la visione dell’oppressore – accettano la versione che il capitale e l’impero danno di “quanto è avvenuto”: quanto è avvenuto, pensano, è che il progetto dei poveri – quale che sia il suo nome o la sua modalità – è collassato da sé, internamente; perché era ed è e sarà sempre un progetto impraticabile; nella storia emerge solo il progetto dei ricchi.

La guerra fredda e, nel nostro caso, la guerra di bassa (alta) intensità, condotta dalla potenza più aggressiva della terra; le condanne internazionali, anche da parte della Corte dell’Aia; la violazione dei diritti dei Popoli che hanno rappresentato le invasioni della Repubblica Dominicana, di Grenada, di Panamá; il crescente debito estero che ci rende impossibile la normalità, tutto questo o non è esistito, a quanto pare, o non esiste più. È stato tutto semplicemente il collasso interno dell’“impossibile” progetto dei poveri.

- Si impone anche un rifiuto critico del presunto “trionfo” del capitalismo neoliberista. Perché noi, perlomeno, non vediamo da nessuna parte questo trionfo, se ci riferiamo all’immensa maggioranza dell’umanità. Senza contare che lo stesso capitalismo neoliberista trionfante non si sente tanto sicuro di sé, di fronte alle sue contraddizioni interne. Ma il fatto è che, anche se ci fosse stato questo trionfo dell’egoismo strutturale, sarebbe stato un fallimento etico della famiglia umana, poiché si sarebbe evidenziata, ancora una volta, l’impossibilità di una politica e di un’economia onestamente fraterne; si sarebbe imposta nuovamente, come l’unica possibile, l’“etica dei lupi”.

- Bisogna saper rifiutare le false certezze che introiettiamo quasi inconsciamente con l’egemonia del potere dominante. Per esso, infatti, il nostro “decennio perduto”, per esempio, è stato il decennio di migliori guadagni. Wall Street dispone di dati convincenti: questo è stato il decennio di più alti profitti costanti per la Banca Mondiale.

- Non possiamo credere nel dio della guerra, quel dio che vince sempre, che schiaccia l’altro, che è sempre dalla parte dei vincitori. Nella stessa Bibbia Dio è venuto “correggendo Dio”. Il Signore degli eserciti, colui che benedice le grandi greggi e i ricchi raccolti, è diventato sempre più il “go’el” dei senza giustizia e madre di misericordia, fino a diventare il Dio povero, bambino, emarginato, perseguitato, crocifisso e sconfitto in Gesù di Nazareth.

- Non possiamo perdere mai neppure la memoria storica, fondamento dell’identità di un popolo e autocoscienza della sua praticabilità futura. I trionfi e le cadute degli imperi che si succedono costituiscono la ruota della storia dell’u-manità. Oggi stiamo vivendo semplicemente un nuovo momento di un nuovo impero, nient’altro. Qui, in casa, la storia dei 500 anni dei popoli indigeni e del popolo nero, in particolare, ci può illuminare in maniera opportuna. Oggi questi popoli stanno cominciando a forgiare 500 anni “altri”, molto diversi.

- Non è vero che “qualunque passato è stato migliore”. Né il passato remoto, né il passato immediato. In primo luogo, perché il tempo migliore per ciascuno di noi è il tempo che Dio ci concede per forgiare la nostra vita. Noi cristiani, soprattutto, dobbiamo vivere sempre il presente di Dio nel nostro presente umano. C’è chi ha persino l’intera Bibbia come “un tempo chiamato presente”.

- La prepotenza del male appare più facilmente di quanto faccia la forza nascosta dei semi del bene. C’è molta più vitalità alternativa di quella che appare, a livello di società e di Chiesa, nel nostro Terzo Mondo e anche nel Primo. Sono molte le voci e le forze che si stanno unendo, in contestazione, in profezia, in solidarietà. Il fatto che ci sentiamo immersi nella notte non significa che non ci siano molte stelle e un nuovo sole alla porta dell’alba. Oggi, certamente, la coscienza, l’autocritica, la volontà di cambiamento sono più generalizzate nel mondo perché sono più realiste e più interconnesse. Oltre alla Cnn, a Televisa, alla Globo, vi sono, grazie a Dio, molti altri canali.

 

Il nostro Dio è solidarietà

Dobbiamo sempre, ma oggi più che mai, dare alla nostra solidarietà un fondamento teologico e teologale. Solo su questa base potrà esserci pienamente una solidarietà cristiana e si potranno vincere serenamente le insidie della storia e del proprio cuore.

Il mistero dell’Incarnazione è l’espressione massima, storica, sottomessa alle nostre vicissitudini, della solidarietà di Dio con l’umanità. Gesù è la solidarietà di Dio fatta carne e sangue, vita e morte, passione e resurrezione. In Lui e attraverso di Lui sappiamo che Dio è amore solidale.

Non abbiamo molti comandamenti. Ne abbiamo solo uno: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”. Il comandamento nuovo dell’amore nuovo si traduce nella pratica quotidiana e nella vita sociale e nell’organizzazione politica ed economica della società, attraverso la solidarietà effettiva: disinteressata ed efficace. Con tutti, ma più specificamente, e prima di tutto e sempre, con questi fratelli e sorelle “più piccoli”, come ci ha chiesto lo stesso Gesù. Nell’Antico Testamento Dio domandava: “dov’è tuo fratello?”. Nel Nuovo Testamento Dio domanda, più incisivamente: dove sta tuo fratello piccolo? Di più, Dio si fa fratello dei fratelli più piccoli.

La nostra fede passa sempre, necessariamente, per la croce. La nostra solidarietà anche. Di fronte alle disillusioni a cui prima alludevamo, dinanzi a ogni tipo di fallimento, la solidarietà cristiana fa fiduciosamente appello alla speranza della resurrezione. Nessuna vita vera muore per sempre. La solidarietà che si dà totalmente è sempre un gesto, una celebrazione, un “sacramento pasquale”.

Il Regno è la società della solidarietà. Seme nascosto, rete a strascico, tesoro sconosciuto a molti, ma progetto di Dio: la sua Causa. La Causa della Solidarietà totale. Nel tempo e oltre. La solidarietà che è già, in speranza escatologica e in carità politica, l’“oltre della storia”.

 

Camminante, c’è sì cammino

Dobbiamo essere realisti. Conoscere la realtà, farcene carico, riempircene: è questo che ci chiede il teologo martire Ellacuría. Chiamare sempre la realtà in cambiamento con il suo proprio nome, abbandonare la nostalgia del passato che non tornerà. Noi andiamo “in cerca del tempo perduto”. Altre sono la nostra memoria e la coscienza responsabile della lotta o del sangue che abbiamo ereditato.

Calpestiamo il suolo reale del neoliberismo, e cerchiamone le brecce. Dobbiamo trovare creativamente le leve della lotta che possono esserci, che ci sono, nella nuova realtà neoliberista (con certi spazi di libertà); solo formalmente democratica (ma alla fine con qualche elemento di democrazia); di mercato che si presume libero (dove di fatto, così come transitano le merci, si trasmettono anche le idee e le cause); di mondializzazione livellatrice (ma anche di mondializzazione di scambi fraterni e di umana comunione).

Senza disprezzare temi che pochi anni fa avrebbero potuto sembrarci piccolo borghesi, dobbiamo entrare in questa battaglia. Un modo anch’esso efficace di combattere il neoliberismo è combatterlo – senza contaminarsi – nel suo stesso terreno.

Questo realismo ci richiede una nuova fedeltà alla solidarietà, che potrebbe caratterizzarsi come pratica della solidarietà:

- della notte oscura, apparentemente senza uscita, nell’esercizio teso della fede;

- gratuita, senza efficientismi, senza compensazioni; la fedeltà di coloro che puntano sulla marcia dei vinti e non sul carro dei vincitori;

- sempre profetica, perché continua a credere nel Dio che ascolta il clamore del suo Popolo e scende per liberarlo, e consola i suoi poveri e proclama come vittoria la beatitudine degli emarginati;

- che fa dell’opzione per i poveri “la” opzione evangelica, “ferma e irrevocabile”, secondo le parole di Giovanni Paolo II a Santo Domingo;

- che non perde di vista la possibilità di sorprese, dell’inatteso delle congiunture;

- che risponde come un’eco alla fedeltà estrema dei nostri tanti martiri, uomini e donne. Una Chiesa è fedele solo quando accompagna radicalmente il Testimone Fedele, Gesù, e i suoi molti altri testimoni fedeli che lo hanno seguito;

- che sa apprendere dalla fermezza di quanti e quante si sono mantenuti fedeli nel corso dei secoli alle cause storicamente sconfitte: la Causa Indigena, la Causa Nera, la Causa della Donna, la Causa Operaia, la Causa dei Popoli minori...

Questo realismo ci richiede anche di cercare e trovare nuove forme di solidarietà, più attuali, più efficaci oggi, generatrici di futuro:

a) Mondializziamoci, attraverso la comunione sempre più universale, in primo luogo, e attraverso la comunicazione, sempre più universale e più rapida. Così come c’è una guerra di morte del Nord contro il Sud, deve esserci un’alleanza di vita tra il Sud e il Nord. A parte il fatto che non tutto quello che c’è nel Nord è questo Nord di Morte.

b) Facciamo della società civile e delle sue diverse strutture e mobilitazioni il grande spazio della solidarietà. La cittadinanza è oggi una rivendicazione universale. La maggior parte dei nostri rispettivi concittadini vuole, a suo modo, partecipare. Facilitiamo loro la partecipazione solidale.

c) Dobbiamo continuare ad essere la “quinta colonna” nell’ambito capitalista neoliberista e forzare dall’interno l’e-videnza della sua perversione, delle sue contraddizioni, del suo non futuro per l’umanità.

d) Dobbiamo ancora, oggi e sempre, coltivare la forma di solidarietà permanente, necessaria, del piccolo, che si riproduce, che può finire per generare il grande. Con molte piccole “pentole comuni” si può arrivare a preparare una grande tavola socializzata.

Che ne è della speranza?

Prepareremo il futuro, la staffetta che porta la torcia. L’insoddisfatta ribellione e l’inesauribile generosità dei giovani ci aspettano. Oggi il mondo è più solidale di ieri. Domani lo sarà più di oggi. Il domani si chiama solidarietà.

A volte dovremo saper arricchire il nostro linguaggio, per parlare senza manicheismi di oppressione-liberazione; o il tono, quando l’analisi può apparire eccessivamente razionalista o pessimista; o il modo, coltivando la fiducia in noi stessi e negli altri e gettando pepe di buon umore sul cattivo umore della morte imposta; o la prospettiva, sempre, perché l’Umanità non è suicida e il Regno è più grande della Chiesa, e il nostro Dio è il Dio della vita, e il nostro – come il Suo – è, decisamente, il Regno.

Stiamo imparando. La presa del potere avverrà, sempre più, con le armi della coscienza comunitaria, partecipativa, alternativa. E, allo stesso modo, le maggiori sconfitte saranno le sconfitte etiche, della coscienza, della solidarietà, dell’amore. La più recente ribellione del Continente, quella degli zapatisti del Chiapas, ancora balbuziente come un grido, ci sta già insegnando un altro modo di ribellarci, con prospettive maggiori e penetrando nei diversi settori della società; senza canonizzare le armi; canonizzando solo le Cause.

Nel dettaglio: ecco qui le giornate di solidarietà; le date memorabili; le pubblicazioni; le visite di chi va e viene; gli altri organismi – cristiani o meno, ma impegnati in qualcuna delle grandi Cause -; gli aiuti concreti, anche – campagne, autotassazione, invio di medicine o di alimenti o di abiti -; le veglie; le azioni artistiche; la militanza quotidiana del faccia a faccia, che coscientizza e impegna nella famiglia, nel lavoro, nella comunità.

Terminiamo, per non terminare e continuare a camminare insieme, con un sonetto neobiblico che, nella notte dei poveri, può aiutarci a ricordare da dove viene il giorno e Chi ha l’ultima parola. Uno dei versi di questo sonetto dice che “la notte dei poveri è vigile”. Tutti i poveri “con spirito” e tutti quelli che vogliono essere solidali con i poveri, devono entrare pienamente in questa ardente veglia pasquale.

“Solo un nastro di fiori sorveglia i pressi /del posto di guardia, libere le terre comunitarie. / Tarda la pioggia, ma nell’afa / già esplode la nostra sete di redenti. / Perché Dio si veda Dio ora, /c’è da costruire il Regno, contromano / rispetto a qualunque altro regno; ed è il momento / che questo mondo lupo sia umano. / Che ne è del latifondo, sentinella? / Che ne è della speranza, compagni? / La notte dei poveri è vigile / e il Padrone della terra ha decretato / di aprire tutti i campi e i granai / perché l’eone del lucro è ormai passato”.