LA GUERRA LEGHISTA PER L' EGEMONIA CULTURALE

Repubblica 20 dicembre 2009  

RENZO GUOLO

Gli attacchi leghisti a quanti nella Chiesa sono lontani dalle posizioni del Carroccio su temi come immigrazione, islam, libertà religiosa, rivelano un conflitto dal nocciolo duro, difficilmente componibile anche in presenza di retromarce bossiane. Ad esempio, nella dura critica all' arcivescovo di Milano il ministro Calderoli ha affermato che Tettamanzi «con il suo territorio non c' entra proprio nulla. Sarebbe come mettere un prete mafioso in Sicilia». Al di là dell' inaudito paragone, sono parole che rivelano il vero oggetto del contendere. E che fanno capire perché ormai a Nord, la Lega viva la Chiesa, almeno quella che si oppone apertamente a derive xenofobe e tramonto del solidarismo, con crescente insofferenza. La posta è l' egemonia culturale sul territorio. La Lega è storicamente insediata laddove, in passato, il voto bianco otteneva percentuali altissime: Varesotto, Brianza, Valli bergamasche, Pedemontana veneta. Da qui la necessità, prima per radicarsi, poi per espandersi, di riplasmare in direzione dell' etnicizzazione della religione il senso comune locale. Nel momento in cui fa sentire la sua voce dissonante su temi come immigrazione, pluralismo religioso, discriminazione, la Chiesa, tanto più se autorevole per azione e guida, come quella ambrosiana, storicamente "chiesa di popolo" attenta alla dimensione sociale e caritativa, contrasta palesemente questo progetto. Le sue parole, e soprattutto le sue azioni, cozzano contro quelle di un partito che, abbandonato il folcloristico neopaganesimo delle origini, rilegge la tradizione cristiana in modo del tutto indifferente ai contenuti del Vangelo. Un cristianesimo senza Cristo, degradato a sorta di religione civile padana: ciò che Robert Bellah chiamerebbe il «basso continuo» o «sottofondo religioso» non della nazione ma di un gruppo particolare, in questo caso della comunità immaginaria della Padania. Una religione senza Chiesa, almeno quella postconciliare. Un cristianesimo iperpolitico, in cui la Croce è essenzialmente un' arma identitaria da impugnare conto gli "altri". Un cristianesimo ridotto a cultura locale, privo di dimensione universale. A Nord la Chiesa è percepita dalla Lega come l' unico, reale, concorrente alla sua egemonia. Essa contende al Carroccio un' immagine del territorio e delle relazioni sociali che lo caratterizzano. Contesa che induce la Lega a distinguere tra vescovi "buoni", quelli che "non fanno politica" e quelli "cattivi", che la fanno. Laddove "fare politica" significa esprimere posizioni diverse da quelle "padane". Uno scontro che si nutre di conflittualità quotidiana nei diversi territori in cui Lega e Chiesa sono radicate. Non solo, dunque, nella grande diocesi milanese ma anche nel trevigiano, feudo verde per eccellenza, dove da anni l' intransigentismo leghista mette sotto accusa i cosiddetti "preti rossi", sacerdoti "rei" di vivere pienamente, nella loro pratica, il messaggio evangelico. Una sfida, quella con la Chiesa, che il Carroccio innalza ulteriormente facendosi portatore di una versione, in salsa padana, del cesaropapismo: almeno nella germanica variante medievale in cui si designava persino il candidato all' elezione papale. L' obiettivo delle incessanti critiche leghiste è, infatti, la delegittimazione delle guide episcopali ritenute ostili o non omogenee; e, laddove, si prospettino avvicendamenti, come nel caso milanese - Tettamanzi è dimissionario per i limiti d' età ma in proroga - quello di determinare condizioni ambientali tali che, a essere nominati, siano capi delle diocesi più vicini al "comune sentire del territorio". In ragione di questa duplice dimensione, che ha a che fare con gli orientamenti pastorali ma anche con la supremazia nelle rispettive sfere d' azione, lo scontro tra Chiesa e Lega è, ciclicamente, destinato a riprodursi. Anche se, proprio perché interessato a tutte le dimensioni del potere locale, il Carroccio continuerà a offrire a Sacra Romana Chiesa uno scambio politico a livello nazionale su temi sensibili quali bioetica, famiglia, aborto, perseguendo una linea che alternerà blandizie a epiteti. Per ottenere, a Milano come altrove, la nomina di vescovi graditi, un po' più "padani" o, quantomeno, più silenti. Una prospettiva deleteria per la Chiesa che, in tal caso, vedrebbe svuotata la sacra potestà dei suoi pastori e il senso di parte rilevante del suo messaggio in nome del compromesso con la politica. -