Il nodo omosessuale negato dalla Chiesa

di Luigi Manconi

“l'Unità” del 27 settembre 2009

Se in Italia la confessione cristiana di maggioranza non fosse quella cattolica, bensì quella di una

chiesa riformata – che so? la metodista – quanto accaduto nelle ultime settimane semplicemente non

sarebbe accaduto. Quella chiesa metodista, infatti, avrebbe serenamente accettato che il direttore del

suo quotidiano fosse un omosessuale, magari convivente con una persona dello stesso sesso, senza

che ciò producesse scandalo e lo rendesse ricattabile. Dico questo perché, a distanza di alcune

settimane dalla deflagrazione dell’“affaire Boffo”, è forse possibile considerare con pacatezza

alcune implicazioni di quella vicenda che, paradossalmente, sono state ignorate. E che, pure,

costituiscono la radice più profonda dell’intera questione: ovvero il rapporto tra chiesa cattolica e

omosessualità.

Sia chiaro: non c’è prova alcuna delle opzioni sessuali dell’ex direttore di Avvenire e, soprattutto,

non c’è ragione al mondo perché quelle stesse opzioni, o quelle di chi scrive o quelle del direttore di

questo giornale, costituiscano motivo di interesse pubblico. E tuttavia non c’è dubbio che la

questione controversa e tragica del rapporto tra chiesa e omosessualità – o meglio: la rimozione di

essa – rappresenti il vero nodo, aggrovigliato e dolente. Da sempre, quella chiesa ha dovuto

misurarsi con le conseguenze di due scelte, dottrinariamente motivate e ispirate dalla sua stessa

natura di comunità autosufficiente: quella del celibato dei sacerdoti e quella della vocazione

pedagogica quale principale missione civile. Da ciò è derivata anche la disgraziatissima

sovrapposizione tra l’omosessualità – alimentata da un ambiente fortemente integrato, connotato in

senso maschile e maschilista – e la pedofilia: tentazione, quest’ultima, sempre ricorrente all’interno

del rapporto educativo tra adulti e adolescenti. Tale sovrapposizione ha reso ancora più rigido il

tabù ecclesiale dell’omosessualità, impedendo che venisse affrontata con libertà (oltre che con la

misericordia pure accordata) quella preferenza sessuale, che le moderne discipline della psiche

ritengono costituire una tra le opzioni possibili – e naturali - della personalità. Per la chiesa, invece,

si tratta di una “inclinazione oggettivamente disordinata” (Catechismo della Chiesa cattolica, 2003).

Inoltre, le opinioni pubbliche contemporanee hanno separato, via via più nettamente, la pedofilia

come perversione e come reato, dalla omosessualità tra adulti consenzienti. La chiesa cattolica, non

ne è stata in alcun modo capace. Per un verso, non ha saputo affrontare tempestivamente il

fenomeno della pedofilia al suo interno e di indagarne le radici profonde; per l’altro, ha continuato

ad assimilare l’omosessualità all’abuso dei minori. In termini schematici, ha “tollerato” troppo la

pedofilia e non ha “tollerato” affatto l’omosessualità. L’esito è a dir poco disastroso: la pedofilia

resiste, anche se l’atteggiamento del Vaticano si è fatto più rigoroso. E sull’omosessualità la

pastorale si conferma tanto chiara quanto drammaticamente inadeguata: si riconosce l’esistenza di

una “inclinazione” omosessuale (la cui “genesi psichica” sarebbe “in gran parte inspiegabile”) che

prevede “compassione” e terapia, e la si considera non peccaminosa in sé purché non praticata. La

qual cosa confligge acutamente con quella che è un’acquisizione fondamentale della mentalità

contemporanea. Ovvero l’idea che la “libertà dei moderni” consiste nel vivere la propria condizione

(anche se considerata di svantaggio o di minorità, di privazione o di debolezza) con dignità: e

viverla significa non reprimerla, bensì dichiararla e “realizzarla”. Il che è l’esatto contrario di

quanto raccomanda la chiesa, che indica invece la sublimazione: in termini religiosi, la castità

raggiunta attraverso “le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, con la

preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, avvicinarsi alla perfezione cristiana” (ancora

dal Catechismo, 2003). Nel linguaggio della chiesa, il riferimento alla “grazia sacramentale”

richiama, tra l’altro, la confessione quale procedura di contrizione-pentimento-espiazione.

L’omosessuale, può, così, confessare la propria caduta (la pratica sessuale) e rientrare nella

comunione dei fedeli: salvo poi prevedere una possibile nuova caduta e una nuova confessione.

Benedetto XVI l’ha ribadito appena qualche settimana fa: «Dio persegue le colpe e protegge i

peccatori». Ma è proprio questo il nodo cruciale: una comunità che vive al proprio interno quella

contraddizione si trova costretta dalla propria stessa cultura a considerare una parte di sé come da

occultare, da medicalizzare, da trattare – nel migliore dei casi – “compassionevolmente”. Mentre la

mentalità contemporanea elabora categorie come “valorizzazione delle differenze” e “pari dignità”:

e i cristiani (e i parroci e i vescovi) ne avvertono il fascino. È un vero peccato (persino in senso

proprio) che Dino Boffo si sia dimesso: ciò consentirà che quel meccanismo di rimozione si

perpetui ancora. E, con essa, la sofferenza di tanti omosessuali cristiani