L’ULTIMA CENA E IL CORPUS DOMINI

Mauro Pedrazzoli

da "il foglio"  mensile di alcuni cristiani torinesi - n°362 maggio 2009

L’eucarestia: un pasto normale

 

Secondo una celebre frase, i vangeli sono dei racconti della Passione con una lunga introduzione. Ciò significa che sono nati come Passio, a cui poi è stato aggiunto e premesso tutto il resto. Diversamente da quanto li precede, hanno una sequenza "cronologica" abbastanza precisa, anche se non sono una biografia ed un resoconto storico in senso moderno. Ciò non toglie che ci muoviamo nell’ambito di una narrazione di fatti, anche se gli autori si concedono delle pause, degli intermezzi, degli sprazzi simbolici e teologici. Il più vistoso è quello narrato da Matteo 27,52-53: «sùbito dopo la morte di Gesù si aprirono i sepolcri e molti corpi di santi morti resuscitarono, e dopo (!!) la sua resurrezione entrarono nella città santa e apparvero a molti».

 

Pilato filosofo e Giuda suicida?

 

Una scena meno vistosa (ideata dal quarto evangelista) è che il sanguinario Pilato cerchi di introdurre una discussione filosofica su che cosa sia la verità (Gv 18,37-38). Inoltre il buio su tutta la terra può essere causato solamente da un’eclisse di sole (come solo Luca dice esplicitamente): ma essendo la Pasqua per definizione connessa con la luna piena (la prima della primavera), in tale fase lunare (con l’allineamento Sole-Terra-Luna) si può avere semmai solo un’eclisse di luna, mai di sole.

Abbiamo altresì delle caratteristiche tipiche di un solo evangelista: ad es. è un dato tradizionale presente in modo massiccio nell’iconografia popolare e artistica che Pilato si sia lavato le mani (unitamente alla preoccupazione ed al sogno della moglie) e che Giuda si sia suicidato impiccandosi. Ma questi eventi si trovano solo nel vangelo di Matteo. Allo stesso modo, in seguito alla scaramuccia durante la cattura ed al taglio dell’orecchio (destro, precisazione solo lucana e giovannea) del servo del sommo sacerdote da parte di uno dei seguaci del Nazareno, Gesù solamente nel vangelo di Luca tradizionalmente (ri)attacca l’orecchio reciso; più precisamente «toccandogli il lobo dell’orecchio, lo guarì», o, secondo alcune varianti, «stesa la mano lo toccò e il suo orecchio fu restituito (all’integrità)». Solo nel quarto vangelo (in cui non c’è il bacio di Giuda ed è Pietro colui che recide l’orecchio al servo “Malco”, chiamato per nome solo qui), al “Sono io” di Gesù i soldati e le guardie stramazzano a terra.    

Ma queste sono aggiunte del singolo evangelista, anche se sconosciute agli altri. Quello su cui invece non concordano, i sinottici da una parte ed il quarto vangelo dall’altra, è il giorno esatto in cui cadeva la Pasqua (il 14 di Nisan), che poteva essere qualsiasi giorno della settimana, e non un giorno fisso (come per noi di domenica). Tutti i vangeli sono d’accordo sul fatto che l’ultima cena sia avvenuta il giovedì sera (per noi; secondo l’uso ebraico dopo il tramonto del sole è già venerdì), la riunione del Sinedrio durante la notte, il processo davanti a Pilato grosso modo il mattino del venerdì, la crocifissione verso mezzogiorno e la morte alle tre.

I sinottici però lascerebbero intendere che la Pasqua cadesse quel venerdì, mentre per Giovanni cadeva il sabato. La divergenza di per sé non sarebbe poi così importante, se non per la diversa collocazione e connotazione che acquisisce in tal modo l’ultima cena. Per i sinottici, a tramonto avvenuto, sarebbe già cominciata la Pasqua, per cui l’ultima cena viene ad essere una cena pasquale ebraica, un rito con tutti gli annessi e connessi (soprattutto i possibili travasi dal Giudaismo al Giudeo-Cristianesimo). Per il quarto vangelo invece (con la Pasqua di sabato) l’ultima cena viene ad essere un comune pasto conviviale, importante ma deritualizzato e desacralizzato: infatti in Giovanni abbiamo solo la lavanda dei piedi, senza il minimo accenno ad alcun discorso eucaristico, da lui già “anticipato” e sviluppato nel cap. 6 in connessione col discorso sul pane di vita. Il quarto vangelo su questo punto sembra più attendibile: è molto improbabile la riunione del Sinedrio, il processo, l’esecuzione nel giorno solennissimo di Pasqua! Mentre è molto più logica la Pasqua situata al sabato: infatti proprio per questo cercano di liberare il campo deponendo i condannati prima del tramonto del venerdì sera, in modo che i crocefissi non rimangano esposti durante quel grande Sabato (giorno di Pasqua).

 

Il culto sostituito dalla cena

 

Negli stessi sinottici comunque la cena pasquale risulta monca, poiché manca qualsiasi accenno all’agnello pasquale. L’ultima cena viene così ad essere un comune pasto “normale”, molto meno rituale di quanto si pensi. D’altronde è difficile pensare che, dopo la posizione presa davanti al popolo nell’atrio del Tempio, Gesù avesse interesse a sintonizzarsi e a sincronizzarsi (tramite una ritualissima cena pasquale ebraica) con gli atti di culto e i sacrifici offerti dai sacerdoti e dai leviti nei giorni che precedevano la Pasqua, dato l’atteggiamento critico che aveva assunto nei confronti della struttura sacerdotale e levitica. Diventa senz’altro difficile immaginare che Gesù, un paio di giorni dopo una critica così aspra e pubblica alla struttura sacrale, possa aver preso un agnello pasquale per consumarlo solennemente con i suoi discepoli in comunione cultuale con i sacrifici del tempio. Gesù vede invece in questa sua cena il preannuncio del banchetto escatologico, in cui saranno riuniti tutti i popoli nel Regno di Dio: ivi si sarebbe mangiato e bevuto in un modo e in una condizione totalmente diversa.

Gesù intendeva soltanto, in quel momento solenne prima della sua morte, sostituire il culto pasquale del Tempio che tendeva verso la sua fine. Ai suoi discepoli Gesù offre qualcosa in sostituzione del culto ufficiale, nel momento in cui non aveva più senso che il Maestro e i discepoli vi partecipassero. Questa cena sostitutiva è un semplice pasto fraterno. Anche la lavanda dei piedi, gesto raccontato dal vangelo di Giovanni, conserva tracce di questo distacco dal culto ufficiale. La lavanda dei piedi, come purificazione che raduna i discepoli intorno a Gesù, si presenta come vera purificazione al posto dei lavacri previsti nel Tempio che ormai dovevano essere superati. Tale superamento è ulteriormente rafforzato dalla possibile inclusione tra quest’ultimo (la lavanda) ed il primo dei segni operati da Gesù nell’inizio inaugurale a Cana di Galilea, con la trasformazione dell’acqua lustrale nel vino del banchetto, altra stupenda sceneggiatura della Fonte dei segni, utilizzata dal quarto vangelo; è la cosiddetta, in un misto greco-tedesco, Semeia-Quelle, la cui conclusione è trascritta pari pari in 20,30-31: «Molti (in verità dunque e) altri segni fece Gesù…che non sono stati scritti in questo libro…».

D’altra parte nessuno nell’ultima cena aveva in mente di essere chiamato a fondare un nuovo culto o di sentirsi investito come ministro di una nuova celebrazione liturgica. Le parole di Gesù, la frazione e la distribuzione del pane e il giro del calice non esprimevano altro che la sostituzione dei sacrifici consumati ritualmente nel tempio. In questo senso, riprendendo le conferenze milanesi tenute nel mese di marzo 2002 da Pius Ramon Tragan, «possiamo escludere l’istituzione da parte di Gesù di un nuovo culto che dovesse persistere per secoli. Possiamo anche escludere che i suoi discepoli avessero capito di essere eletti e ordinati “sacerdoti” in funzione di un culto di carattere duraturo. Possiamo anche escludere che Gesù abbia preteso d’identificare il pane distribuito ai commensali con il suo corpo presente, ancora fisico e mortale. Possiamo escludere che Gesù abbia iniziato il giro della coppa affermando che il vino contenuto dentro fosse il suo sangue. I discepoli non potevano intuire che fosse stato loro chiesto di bere il vino trasformato nel sangue del Maestro. Una tale antropofagia va totalmente esclusa dall’ultima cena».

L’instaurazione del Regno vicino: ecco il senso e il simbolo di questa cena di commiato. Abbiamo una rottura nei confronti del culto giudaico, ma senza la pretesa di instaurare un altro rito. Gesù, interpretando la cena con i suoi discepoli alla luce del Regno e del banchetto messianico, intravvede l’evento della nuova alleanza, in cui la volontà di Dio sarà direttamente incisa nel cuore degli uomini. Si aspettava una trasformazione vicina del mondo, una nuova creazione, il Regno di Dio e quindi la fine di tutte le tradizioni cultuali e delle strutture liturgiche.

 

Questo pane sia il corpo per voi

 

La cena, da semplice pasto comunitario “normale”, si è via via caricata di massicce interpretazioni teologiche sino a diventare un iper-sacramento nel senso dei “misteri”, con effetti di natura mistico-entusiastica affioranti dall’idea primitiva del cibarsi della divinità. La cena diventa una variante di una “teofagia” diffusa universalmente, di una fede primitiva nella possibilità di appropriarsi delle energie di una divinità mangiando e bevendo. Proprio questo infatti sarebbe l’aspetto caratteristico dei culti misterici: in essi si tratta della comunione con una divinità morta e risorta, come ben sappiamo dai misteri di Attis, Mitra, e dal culto di Dioniso (ad es. le baccanti).  In questo quadro la cena si sarebbe via via imparentata in modo sempre più stretto col banchetto misterico, che è una ripetuta azione cultuale separata dal pasto comune, grazie a cui l’uomo può partecipare alla vita divina. Il suo significato è la comunione iper-sacramentale, vale a dire il fatto che i celebranti, mangiando il pane e bevendo il vino, assimilano il corpo e il sangue di Cristo; sintomatica sarà poi la festa del Corpus Domini e l’inno «Adoro Te devote latens Deitas» (o divinità nascosta).

Forse Gesù ha detto soltanto: «Questo è/sia/sarà il corpo per voi» (senza mio), intendendo con ciò: questo pane assume ora per voi la funzione del cibo sacrificale consumato nel tempio, prende il posto del corpo dell’animale offerto. E al momento del calice ha aggiunto: «Questo calice, che stiamo bevendo insieme (questo giro di calice) è il nuovo patto», un patto senza sacrificio, di pura condivisione senza vittime. Si tratterebbe quindi di un semplice pasto, che tuttavia decreta la fine di tutti i sacrifici, sia umani che animali. Esso non simboleggia e non esprime più il dato di fatto disumano che la vita vive a costo di altra vita umana (la radice del male), bensì la promessa che la vita è possibile attraverso la condivisione degli alimenti vitali, attraverso il mangiare e il bere insieme. Il sacramento-simbolo dà appunto espressione alla trasformazione dell’essere umano da essere vivente “asociale”, che vive a prezzo di altre vite, in un essere “collaborante” che condivide e dona nella solidarietà, gratuità, reciprocità, intersoggettività. Se proprio di rito vogliamo parlare, il nuovo “rito” introdotto da Gesù è la struttura ontologica relazionale culminante nella regola d’oro; in parole più semplici, il nuovo “culto” inaugurato da Gesù è la liturgia del bene.