Il giro dell’oca degli sgomberi nei campi rom

di Francesco Moscatelli

in “La Stampa” del 17 febbraio 2010

Le ruspe hanno appena finito il loro lavoro. Della baracca di Marius, 10 anni, delle gemelle Florina e Cristina, 8, di Annamaria, 7, e degli altri bambini rom che abitavano nell’accampamento di via Redecesio rimangono solo una tettoia di eternit con la grondaia ricoperta di muschio, qualche tubo di plastica trasformato in canna fumaria e un cumulo di sacchi neri pieni di maglioni. Odore di fumo e silenzio. Qui, al confine fra Milano e Segrate, non è rimasto nessuno. Fino all’alba di ieri, però, fra il laghetto artificiale, le robinie ricoperte di rovi e ciò che resta di un ristorante, abitavano undici bambini con le loro famiglie.

Undici bambini che tutte le mattine si alzavano alle 7, riscaldavano una pentola d’acqua per lavarsi la faccia e poi si incamminavano verso le fermate dell’autobus 925 per andare a scuola, alle elementari di via Pini e di via Feltre. A due chilometri e mezzo di distanza. «Qualche autista chiude un occhio e ci fa salire senza biglietto. Altri tirano dritto – racconta Garofiza Durusan, 25 anni, mamma di Annamaria, che frequenta la seconda elementare – Siamo partiti da Craiova, in Romania, quattro anni fa. Noi andiamo a fare l’elemosina dall’altra parte della città, i nostri figli però li mandiamo a scuola. Quando ci cacciano ricominciamo da capo». Gli sgomberi, nell’hinterland milanese, sono cominciati alla fine del 2008, quando i politici hanno iniziato a parlare di «emergenza rom». «Dal 2009 a oggi abbiamo contato 200 demolizioni – spiega Stefano Pasta, volontario della comunità di Sant’Egidio – Ogni sgombero costa fino a 30 mila euro, ma le famiglie e le aree interessate sono sempre le stesse. Insomma: sono inutili». Come le fatiche di Sisifo.

A Milano i bambini nomadi della scuola di via Feltre sono diventati un simbolo. Piccoli Ulisse con la cartella riciclata dei Power Rangers che nonostante tutto arrivano sempre in classe con i compiti fatti. «Nel settembre 2008 il nostro circolo scolastico ha iniziato un percorso con 36 bambini rom che stavano nel campo di via Rubattino – racconta Flaviana Robbiati, da trent’anni maestra di frontiera nel quartiere di Lambrate – Molte famiglie italiane si sono rimboccate le maniche per aiutarli. Ma il 19 novembre 2009 l’hanno sgomberato e tutto il lavoro fatto è stato azzerato». A dicembre i bambini si sono dispersi nei campi della città: sotto il cavalcavia Bacula, in via Bovisasca, in viale Forlanini, a Chiaravalle, a Corsico. Maestre e genitori di via Feltre, però, non si sono persi d’animo. Telefonino alla mano, hanno continuato a tessere la loro rete di solidarietà. Alla fine, dopo l’ennesimo sgombero, le famiglie rom hanno deciso di riunirsi a Segrate. «Non davamo fastidio a nessuno. E i nostri figli potevano andare a scuola regolarmente». Da qualche settimana undici dei trentasei bambini erano tornati dietro ai banchi. E le mamme italiane avevano

ricominciato con le merende, con le docce e con i viaggi per accompagnare le donne rom dal dentista e dal ginecologo. Ieri pomeriggio, fuori dalla scuola, le loro facce raccontavano l’ennesima delusione. «Avevamo un progetto mirato. Se l’integrazione non parte neanche dalle scuole non c’è speranza» si sfoga Francesca Amendola, mamma e insegnante, mentre appende alla cancellata alcune sagome di cartone con gli articoli della Convenzione dei diritti del fanciullo. Un secondo dopo il suono della campanella i bambini sono tutti nel prato fra panini, merendine, coriandoli e stelle filanti.

«Florina e Cristina vivono con noi in Italia. I due figli più grandi stanno in Romania – racconta Rodica, a Milano da cinque anni, mentre snocciola come un rosario i nomi di tutti i campi costruiti e distrutti sotto i suoi occhi – Negli ultimi mesi ne abbiamo girati sei». I genitori italiani cercano di consolarla. «Questa mattina ci siamo presentate al campo alle 6.30 per cercare di salvare il salvabile: coperte, materassi, fornelletti – spiega Assunta Vincenti, un’altra mamma – Ma soprattutto volevamo portare via i bambini per evitare l’ennesimo choc. Non si muovevano: avevano paura di non rivedere più i loro genitori». Dopo qualche ora si sono convinti. Sono andati a scuola. E hanno accettato l’ospitalità dei compagni italiani. «Marius è stato da noi altre volte –continua Assunta – Gli montiano una brandina di fianco al letto di mio figlio e dormono nella stessa cameretta». Florina e Cristina, invece, fanno più fatica a staccarsi dai genitori. Dopo un bacio e un «Ci vediamo domani, vero?» li guardano incamminarsi in cerca di un posto dove passare la notte.  Alle 8 di sera il tam tam telefonico fra le mamme non è ancora finito. «Rodica e suo marito sono stati allontanati da tre posti diversi in tre ore – spiega alle altre Francesca Amendola - Con loro ci sono anche altre famiglie con i bambini più piccoli». A Milano il termometro segna 2 gradi.  L’igrometro l’80% di umidità.