Gli immigrati in Italia, 5 milioni e fondamentali
 

di Corrado Giustiniani
 

il Fatto 27.10.10
 

La sindrome da invasione è così acuta da alterare completamente la nostra percezione. Secondo la ricerca Transatlantic Trends, gli italiani sono convinti che gli immigrati del nostro paese siano ben 15 milioni. Tre volte di più rispetto ai 4 milioni 919 mila stimati dalla Caritas, che ieri ha presentato il suo ventesimo Dossier statistico sull'immigrazione. Una sindrome da invasione che ha colpito anche il presidente della Camera Gianfranco Fini il quale, parlando a Rovigo, ha rassicurato gli studenti del Nord Est: “Io non cambierei una virgola alla legge che va sotto il mio nome e quello di Bossi”. Il 15 aprile del 2009 invece, a Mazara del Vallo, aveva sostenuto che “dei correttivi si rendono necessari”, rilevando l'assurdità che l'immigrato prima si trovi un posto in Italia, poi alla chetichella debba tornare nel suo paese per ripresentarsi infine da noi in veste ufficiale e con tanto di visto.
Nel 1990, l'anno di esordio del Dossier Caritas, gli immigrati erano soltanto 500 mila. In venti anni sono cresciuti di dieci volte, un trend che non ha eguali in Europa. “Ma nello stesso tempo sono cresciute la paura, la diffidenza, la chiusura da parte della politica e della gente” ha constatato con molta amarezza Franco Pittau, lo storico curatore dei dati Caritas. E proprio ieri il Papa è intervenuto a favore dei rifugiati, criticando indirettamente la politica indiscriminata dei respingimenti attuata dal governo, dal momento che oltre la metà degli occupanti dei barconi è richiedente asilo politico. “Nei confronti di queste persone che fuggono da violenze e persecuzioni – ha detto Benedetto XVI – la comunità internazionale ha assunto degli impegni precisi“ e i loro diritti vanno rispettati.
Certo che la crisi economica, con la perdita di 500 mila posti di lavoro certificata dall'Istat, ha favorito l'atteggiamento di chiusura. Ma gli immigrati – ribadisce il Dossier Caritas – sono venuti a fare mestieri che gli italiani oggi rifiutano: nell'edilizia, in agricoltura, nella ristorazione (a Milano i pizzaioli egiziani sono più dei napoletani) nell'assistenza alle famiglie. In quest'ultimo settore la loro presenza sarà sempre più determi-
nante. Basti soltanto un dato regionale sull'invecchiamento rapido della nostra popolazione: in Lombardia le persone con più di 65 anni d'età sono oggi 2 milioni, ma nel 2015 saranno già un milione in più. Gli stranieri sono il 7 per cento della popolazione e il 10 per cento dei lavoratori dipendenti, mentre i titolari di impresa, con amministratori e soci, hanno raggiunto quota 400 mila: gente che non soltanto lavora, ma fa lavorare. Gli immigrati guadagnano in media 972 euro netti al mese, il 23 per cento in meno degli italiani, e per primi restano disoccupati: assurdo che la Bossi-Fini conceda loro appena sei mesi di tempo, con una crisi come questa, per trovare un altro impiego.
Gli stranieri contribuiscono all'11 per cento del prodotto lordo italiano e pagano 11 miliardi di euro fra tasse e contributi previdenziali (sono loro che hanno risanato l'Inps) mentre percepiscono 10 miliardi di servizi sociali, calcolati dalla Caritas per eccesso. E poi i 25 mila matrimoni misti all'anno, i 77 mila bimbi che nascono da entrambi i genitori stranieri, gli oltre 900 mila minori. Tanti numeri per farci capire che l'immigrazione è irreversibile e che dobbiamo riacquistare “la cultura dell'altro” per favorire la convivenza e l'integrazione, capitolo per il quale un tempo c'era un fondo da 100 milioni di euro, oggi sparito.