“Sì all’ispezione della tomba di De Pedis”

di Maria Elena Vincenzi

“la Repubblica” del 5 luglio 2010

Sono passati più di 27 anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, ma solo due giorni fa il vicariato di Roma ha dato il «nulla osta» all’autorità giudiziaria per ispezionare la basilica di Sant’Apollinare, a due passi da piazza Navona. La chiesa in cui è sepolto Enrico “Renatino” De Pedis, uno dei boss della banda della Magliana e mente del rapimento dell’adolescente. E la Procura di Roma ha intenzione di approfittarne.

Un via libera di iniziativa del Vaticano (i pm non lo avevano mai chiesto) che è stato comunicato

solo ieri e che potrebbe aprire un nuovo spiraglio nelle indagini su Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana di 15 anni scomparsa quasi 30 anni fa. Il legame tra il rapimento dell’adolescente e il boss della banda della Magliana è ormai stato accertato dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal sostituto Simona Maisto, tanto che nel registro degli indagati, per la prima volta dal giorno del sequestro, il 22 giugno del 1983, sono state iscritte tre persone, tutte legate a De Pedis, oggi ritenuto l’ideatore dell’operazione. Una regia che, però, non era così chiara quando, nel luglio del 2005, un uomo, (di cui oggi si sa anche il nome, Carlo Alberto De Tomasi, figlio di “Sergione” Giuseppe De Tomasi, identificato come quel “Mario” che telefonò alla famiglia Orlandi pochi giorni dopo la scomparsa dell’adolescente) chiamò “Chi l’ha visto” e disse: «Per trovare la soluzione del caso Orlandi andate a vedere chi è sepolto nella cripta della basilica di Sant’Apollinare». Cioè Renatino.

Una sepoltura “eccellente”, pagata, pare, 500 milioni di lire. Ipotesi sempre negata dalla famiglia del boss, dai fratelli e dalla vedova, Carla Di Giovanni, e dalla Chiesa, dal cardinale Ugo Poletti, allora arcivescovo vicario di Roma che ha concesso la sepoltura, e dal rettore della Basilica, monsignor Piero Vergari, che ha detto che «il signor De Pedis» meritava quel “prestigioso riposo” perché era un «grande benefattore».

Sta di fatto che, fino ad oggi, la bara era sempre stata off-limits: i magistrati e il capo della squadra mobile capitolina, Vittorio Rizzi, fecero un sopralluogo nella cripta qualche mese fa, ma l’ipotesi di aprire il sepolcro non era ancora stata presa in considerazione. Non era una priorità, spiegano in procura. Ora però, il Vicariato la mette a disposizione (scelta superflua, in realtà, visto che la basilica non godeva dell’extraterritorialità): «In relazione alla vicenda riguardante la tumulazione del signor Enrico De Pedis nelle camere mortuarie della chiesa di Sant’Apollinare, avvenuta nel 1990, il Vicariato di Roma comunica il nulla osta da parte dell’Autorità ecclesiastica che, su richiesta della magistratura italiana competente, la tomba del Signor De Pedis possa essere ispezionata» e che «la salma possa essere traslata altrove».

L’impressione è che quella tomba “famosa” inizi ad essere un peso. Forse per “favori economici” che avrebbero permesso quella sepoltura, forse per il sospetto, più volte girato che, nella bara con De Pedis, ci fosse anche Emanuela Orlandi. Versione, quest’ultima, che non convince gli inquirenti.  Quale che sia il motivo di questa apertura del Vicariato, i pm sono intenzionati a verificare in tempi rapidi.

Tiepidi i parenti di Emanuela. «Noi aspettiamo i fatti – dice la sorella, Natalina Orlandi – Non ho mai pensato che Emanuela possa essere sepolta con De Pedis. Certo, come cattolica pensare che un boss della malavita possa riposare in una basilica, non fa piacere».