Hans Küng Un’altra memoria della Chiesa

intervista a Hans Küng, a cura di Jérôme Anciberro

in “Témoignage Chrétien” n° 3383 dell’11 febbraio 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)

Eminente protagonista dell’avventura teologica del XX secolo, il teologo cattolico Hans Küng continua i suoi lavori in un XXI secolo già ben avanzato. In parallelo con le sue attività teologiche e filosofiche, da una decina d’anni ha iniziato a scrivere le sue memorie. Queste ultime stanno diventando un documento eccezionale, tanto per la sua storia che per la storia della Chiesa.  L’incontro è avvenuto in occasione della pubblicazione in francese del secondo tomo di una ricchissima opera.

Il secondo volume delle sue memorie termina nel 1980. A quell’epoca, Roma le aveva da pocotolto l’autorizzazione ad insegnare la teologia cattolica. Deve quindi coprire ancora tre decenni. Ha già in cantiere un terzo volume?

Sto scrivendo il terzo volume delle mie memorie. La mia vita è diventata ancora più ricca a partire dal momento in cui la gerarchia cattolica mi ha comunicato che mi toglieva la missione canonica di insegnamento. Ripensandoci, credo che quella sia stata una liberazione. Certo non l’ho vissuta così in quel momento. La battaglia è stata dura e le sofferenze molto reali. Ma in seguito mi sono reso conto che l’essenziale era salvo e che potevo continuare a lavorare correttamente: una cattedra all’università statale di Tubinga, un istituto di studi ecumenici, ottimi collaboratori, la possibilità di insegnare al di fuori della facoltà di teologia cattolica. E in più, non ero più obbligato a partecipare a certe riunioni amministrative né a far sostenere gli esami...

I tre tomi insieme supereranno certamente le 2000 pagine. Non è un po’ troppo per la memoria di un solo uomo?

La mia intenzione non è di limitarmi a raccontare la mia vita. Sono un testimone privilegiato della storia della teologia cattolica ed ecumenica del XX secolo. Ho partecipato a molte cose, all’ultimo concilio, naturalmente, ma non solo. Ad esempio, la messa in parallelo della mia vita con quella di Joseph Ratzinger, che fa parte della mia stessa generazione e che è stato mio collega all’università di Tubinga, è senza alcun dubbio istruttiva per chi cerca di capire l’evoluzione recente della Chiesa cattolica. Cerco di comunicare al maggior numero possibile di persone una storia che non si troverà necessariamente nei libri dei teologi e degli storici di corte. Mi dedico in particolare a mostrare come funzionano le cose dietro le quinte.

Lei viene generalmente presentato come un teologo contestatore e un modernista radicale. Questa immagine le va bene?

Per niente. Non ho nulla di un contestatore e non ho mai cercato il conflitto. Non è nel mio temperamento. Mi considero un rappresentante del giusto mezzo, che certo mette l’accento sulla riforma. Per essere ancora più preciso: non sono “a sinistra” né in politica né nella Chiesa. All’epoca di papa Giovanni XXIII, facevo parte di un movimento di rinnovamento teologico che incarnava le aspirazioni della maggioranza dei teologi e dei responsabili di Chiesa, compreso Joseph Ratzinger.  Mi sono limitato a continuare la mia vita e i miei lavori in maniera coerente con le mie aspirazioni.  Ma la Curia, invece, non ha mai accettato realmente il rinnovamento conciliare, che minacciava il suo potere. Ha cercato di mantenere il controllo. E ci è riuscita, almeno per quanto riguarda l’apparato ecclesiale propriamente detto, che è stato messo al passo. Per parte mia, mi ritengo solo un teologo cattolico ordinario che ha fatto il suo lavoro, malgrado le pressioni di un apparato romano oggettivamente reazionario nel suo funzionamento. Appaio come un contestatore agli occhi di questo apparato solo perché non ho mai voluto scrivere o dire delle cose che non pensavo. Ma se a tutti i costi si vuole farmi dire che faccio parte di un’opposizione, allora è una “opposizione leale a Sua Santità”, per riprendere la famosa espressione britannica: Her Majesty’s Loyal Opposition...

Lei pensa davvero che il controllo della Curia sul funzionamento ecclesiale sia così severo?

Il controllo sui vescovi è assoluto. Anche quelli che, in privato, ammettono di pensare le stesse cose che penso io, ad esempio sul celibato dei preti, sull’ordinazione delle donne o sull’ecumenismo reale, in pubblico tacciono. Voialtri giornalisti lo sapete bene... I vescovi hanno paura di perdere il posto e quelli che vogliono diventare vescovo hanno paura di perdere le loro opportunità. È umano.  Quel che è triste è che, tacendo o accontentandosi di ripetere ciò che viene loro detto di dire, la loro parola ha perso influenza sulla società. Chi si preoccupa di ciò che racconta un vescovo oggi? In certi paesi, ad esempio in Francia, più nessuno li ascolta. La stampa riferisce i loro discorsi a puro titolo di curiosità. Le ricordo che al Concilio Vaticano I (1870) l’episcopato francese se n’era andato per protestare contro la formulazione del dogma dell’infallibilità. Al Concilio Vaticano II, i francesi erano una delle punte del rinnovamento... In teologia, il controllo romano è meno diretto, ma se un teologo cattolico pretende di lavorare liberamente su certi temi, molto presto sarà ripreso.  Quarant’anni fa la situazione era molto migliore. Anche quando erano molto vivaci, delle discussioni vere, argomentate e razionali potevano svolgersi pubblicamente proprio in seno alla Chiesa.

Il fatto di avere questa etichetta di contestatore non è un ostacolo alla possibilità che i suoi lavori trovino un’eco in ambito cattolico?

In Francia, forse. Ma nella maggior parte dei paesi occidentali i miei libri trovano ampiamente il loro pubblico. E suppongo che, malgrado tutto, tra i miei lettori qualche cattolico ci sia. Comunque sono presente nel dibattito. Constato che basta che io pubblichi un articolo su un grande quotidiano perché gli ambienti cattolici conservatori si mettano a gettare strali e perché le autorità romane si sentano obbligate a reagire. È così. Ma rassicuri i suoi lettori: non passo il tempo a criticare la mia Chiesa. L’ho ripetuto spesso: “critica della Chiesa” non è un mestiere. Io sono un teologo cattolico, e i miei libri sono a disposizione di coloro che vogliono prendersi la pena di leggerli. Le confesso una cosa: in questo momento mi interesso molto di più dei problemi dell’etica planetaria che dell’etica sessuale portata avanti dal papa...

In occasione della morte del filosofo fiammingo Edward Schillebeeckx, l’Osservatore Romano,il quotidiano del Vaticano, ha pubblicato un articolo che spiegava che la teologia di Schillebeeckx, troppo legata alle problematiche del “secolo XX, secolo breve”, era oggi superata. Questo tipo di argomenti è spesso addotto negli ambienti cattolici per rimettere in discussione le tesi di teologi detti modernisti. Questi ultimi, mi si dice, non avrebbero capito che il mondo è cambiato dagli anni ‘70. L’urgenza teologica e pastorale sarebbe altrove: nell’evangelizzazione, nella valorizzazione di un patrimonio spirituale minacciato dal relativismo dei valori, ecc.

Sa, nel Medio Evo ci sono anche state delle persone che hanno scacciato dei teologi un po’ troppo moderni dalle università e che hanno sinceramente pensato di aver risolto il problema. Chi fa questo tipo di discorso oggi? Un certo genere di cattolici che detengono il potere nell’istituzione. Ma guardiamoci attorno: che cosa rappresentano in confronto al mondo? Non granché. Per me è una prova ulteriore dell’isolamento di un certo ambiente cattolico, in particolare ecclesiastico, che non ha ancora compreso che certi cambiamenti sociali e culturali del XX secolo erano irreversibili e che ciò obbligava a ripensare la maniera di annunciare il Vangelo e quindi di viverlo nell’istituzione stessa. Gli ambienti romani e quelli che vi si collegano sono rimasti a quello che potremmo chiamare il paradigma medioevale del cristianesimo, quello della riforma gregoriana dell’XI secolo, caratterizzata da un centralismo romano precedentemente sconosciuto. Ma ci sono altri paradigmi possibili: il paradigma giudeo-cristiano dei primi tempi della Chiesa, il paradigma ecumenico ellenistico del tempo dei Padri della Chiesa, il paradigma della Riforma, quello dell’Illuminismo, e infine quello della postmodernità. Ragionare a partire da uno solo di questi paradigmi significa rinchiudersi.

Certi movimenti che lavorano sull’evangelizzazione e rivendicano una certa modernità pur mantenendo una posizione acritica nei confronti dell’istituzione sembrano però conoscere un’eco reale.

Successo con chi? Francamente, lei ha l’impressione di assistere ad un’ondata di evangelizzazione nelle nostre società? Non ho niente contro quei movimenti di evangelizzazione, compresi i carismatici. Tra di loro ci sono diverse persone molto serie. Anch’io sono stato all’origine del passaggio sui carismi nella costituzione sulla Chiesa del Vaticano II. Per principio, li sostengo. Ma se trascurano la riforma della Chiesa, sono condannati a restare tra loro. I loro giovani possono ben gridare “Benedetto, Benedetto” al passaggio della papamobile alle GMG, ma questo non cambierà granché al problema.

Come giudica la critica espressa da Benedetto XVI contro il relativismo dei valori nelle nostre società?

Condivido una grande parte della sua critica sui pericoli del libertinismo morale, del relativismo dei valori, del consumismo e del materialismo. Ma non vedo veramente in che cosa l’assolutismo romano possa fare da contrappeso a questi problemi di fondo e in che modo la proibizione di prendere la pillola, le condanne di ogni tipo di aborto, del matrimonio dei preti, dell’ordinazione delle donne o dell’eucarestia comune con gli altri cristiani potrebbe migliorare la situazione e incitare le persone a rivolgersi al Vangelo.

Mantenere la rotta su alcuni di questi temi può essere una forma di resistenza spirituale. E il cattolicesimo si basa anche in gran parte su di una Tradizione che non può abbandonare col pretesto che altrimenti dovrebbe adattarsi ad ogni costo all’andazzo del momento.

Di quale Tradizione parla? Il celibato ecclesiastico, per prendere anche solo questo esempio emblematico, è un prodotto dell’XI secolo e della riforma gregoriana, come il clericalismo forzato e il papacentrismo. Quella Chiesa non esisteva nel primo millennio, si è imposta solo dopo. Basta studiare un po’ la storia della Chiesa per rendersene conto. In realtà, tutti lo sanno, ma continuano a fare come se niente fosse. Ancora una volta, non si può fare del paradigma medioevale romano la fonte ultima della tradizione cattolica. Non è una cosa seria. Bisogna saper distinguere tra i pregiudizi e la Tradizione. Me lo ha insegnato Padre Congar, consigliandomi di studiare bene l’XI secolo per capire le cause di certi blocchi della Chiesa. Per quanto mi riguarda, mi sembra di aver preso in considerazione nei miei lavori l’insieme della tradizione della Chiesa.

Lei considera che molti temi controversi all’interno della Chiesa cattolica sono regolati dalpunto di vista intellettuale. È il caso, e lo ha appena ricordato, del problema della infallibilità: lei ritiene quel dogma razionalmente ingiustificabile. Il dibattito non avrebbe quindi più motivo di essere sul piano intellettuale, ma unicamente sul piano del potere nella Chiesa. In questo lei tocca un punto estremamente sensibile: le replicheranno che le sue intenzioni non sono pure e che confonde il piano spirituale e il piano politico...

Coloro che hanno il potere spiegano sempre che non è un problema di potere. Nella Chiesa cattolica, ci viene ripetuto che tutti partecipano: i laici, le donne... Ci si dice che i vescovi e i cardinali sono soltanto... “umili servitori nella vigna del Signore”. Intellettualmente e spiritualmente è molto bello. Ma nei fatti, queste persone sono evidentemente i signori. Non per niente si utilizza l’espressione “Monsignore”. Le sembra che suoni in maniera biblica “Monsignore”? Ancora una volta, è medioevale. L’argomento del servizio non è un argomento onesto. È solo una tattica per evitare la discussione.