CHI VA A MESSA E CHI NO. L'INCERTO DOMANI DELL'ITALIA CATTOLICA,

Sandro Magister

L’Espresso 7-8-2010

La pratica religiosa resta a livelli alti. Ma crolla tra i giovani. In un prossimo futuro, l'Italia potrebbe cessare di essere un modello di cristianità popolare e diffusa, per le altre Chiese d'Europa

 

ROMA, 6 agosto 2010 – L'Italia cattolica come "eccezione" nel panorama secolarizzato dell'Europa occidentale e come modello per la altre Chiese del continente è un punto di riferimento capitale degli ultimi due papi.

Giovanni Paolo II lo disse e scrisse più volte. Ad esempio nella "Grande preghiera per l'Italia" del 1994:

"L’Italia come nazione ha moltissimo da offrire a tutta l’Europa. [...] All’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo".

E così Benedetto XVI, nel discorso agli stati generali della Chiesa italiana riuniti a Verona, il 19 ottobre 2006:

“L’Italia costituisce un terreno assai favorevole per la testimonianza cristiana. La Chiesa, infatti, qui è una realtà molto viva, che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione. Le tradizioni cristiane sono spesso ancora radicate e continuano a produrre frutti. [...] La Chiesa e i cattolici italiani sono dunque chiamati a cogliere questa grande opportunità. [...] Se sapremo farlo, la Chiesa in Italia renderà un grande servizio non solo a questa nazione, ma anche all’Europa e al mondo".

Uno dei dati che proverebbero la tenuta e la vitalità del cattolicesimo in Italia è la frequenza alla messa domenicale. Da più di trent'anni tutte le rilevazioni registrano livelli di frequenza alla messa molto alti rispetto ad altri paesi dell'Europa occidentale: circa il 30 per cento della popolazione dice di andarci tutte le domeniche, un altro 20 per cento da una a tre volte al mese e un altro 30 per cento a Natale, a Pasqua e nelle grandi festività.

Basti pensare, per un confronto, che in Francia quelli che dicono di andare a messa tutte le domeniche sono meno del 5 per cento della popolazione.

Ma questi dati, propriamente, registrano la frequenza "dichiarata" alla messa, cioè quella che si ricava dalle risposte alle indagini.

Molto meno si sa sulla frequenza "reale", fatta contando quanti vanno effettivamente in chiesa.

DUE INDAGINI

In Italia, due sole volte e in due sole diocesi sono state contate le presenze effettive alle messe di una data domenica.

Una prima volta in una domenica di novembre del 2005 nel territorio del patriarcato di Venezia.

Una seconda volta in una domenica di novembre del 2009 nella diocesi di Piazza Armerina, in Sicilia.

Dell'indagine veneziana, condotta e analizzata dal sociologo Alessandro Castegnaro e dal demografo Gianpiero Dalla Zuanna, ha dato conto a suo tempo www.chiesa:

L'Italia che va a messa davvero: un'inchiesta rivelatrice (8.2.2007)

I dati dell'indagine di Piazza Armerina sono stati invece resi pubblici da poco, in un libro scritto dai suoi curatori, i professori Massimo Introvigne e PierLuigi Zoccatelli, del Centro Studi sulle Nuove Religioni, CESNUR:

M. Introvigne, P. Zoccatelli, "La messa è finita? Pratica cattolica e minoranze religiose nella Sicilia Centrale", Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma, 2010, pp. 256, euro 20,00.

Da entrambe le indagini risulta che i praticanti effettivi sono meno di quelli dichiarati.

IL CASO POLACCO

La Polonia è l'unico paese in Europa e nel mondo in cui sulla frequenza reale alla messa si dispone di dati estesi nello spazio e nel tempo. Qui dal 1980 la conferenza episcopale organizza ogni anno una "domenica delle statistiche" in cui un esercito di volontari, in tutto il paese, conta le presenze effettive dei fedeli alle messe e il numero delle comunioni.

Anche in Polonia si registra un divario. Esaminando i dati degli ultimi dodici anni, mentre la frequenza dichiarata alla messa domenicale è stabile al 56-58 per cento, le presenze effettive nella domenica del conteggio sono al 44-47 per cento.

Di conseguenza, analizzando i dati in loro possesso, i vescovi polacchi distinguono varie tipologie di cattolici: i "dominicantes", come essi li chiamano in latino, cioè i praticanti effettivi registrati nei conteggi, i "praticanti dichiarati", cioè quelli che si definiscono tali nelle indagini a campione, i "praticanti irregolari", che dicono di andare a messa una volta al mese, e infine i semplici battezzati che pur non praticando continuano a dichiararsi cattolici.

Questa classificazione legge quindi il cattolicesimo polacco come composto da cerchi concentrici: con all'esterno una vasta "comunità battesimale" e all'interno una più ristretta "comunità eucaristica".

Il professor Introvigne fa notare, nel libro, che anche la conferenza episcopale italiana ha adottato quest'ultima distinzione in un suo documento programmatico del 2001: "Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia".

IL CASO SICILIANO

La diocesi di Piazza Armerina, in Sicilia, conta circa 220 mila abitanti, dei quali il 3,5 per cento non cattolici, prevalentemente pentecostali e testimoni di Geova. Tra il sabato sera e la domenica sera del 21-22 novembre 2009 circa 200 volontari hanno contato le presenze e le comunioni nelle 320 messe celebrate in tutta la diocesi, comprese le messe dei neocatecumenali e le comunioni portate ai malati.

E così si è accertato che mentre nelle indagini a campione i cattolici che dicono di andare a messa tutte le domeniche sono il 30 per cento, quelli effettivamente visti in chiesa sono stati il 18,5 per cento.

Ma questo non significa – avverte il professor Introvigne – che tra i primi vi siano dei praticanti "falsi" da contrapporre ai praticanti "veri". Entrambe le cifre vanno lette entro un insieme più vasto, che comprende coloro che dichiarano una pratica religiosa almeno mensile, il 51,4 per cento, coloro che si dichiarano comunque cattolici, il 92,2 per cento, e coloro che si dichiarano più genericamente religiosi, il 96,7 per cento.

Quel 30 per cento, infatti, che dice di andare a messa tutte le domeniche anche se poi non tutti ci vanno sempre, "indica un'intenzione e un'aspirazione a partecipare alla messa che è di assoluto rilievo per ogni discorso sull'identità e l'identificazione dei cattolici". In una forma diversa ma reale, anche quel 51,4 per cento di praticanti occasionali si sente ed è cattolico. E lo è anche la cerchia più vasta della "comunità battesimale".

Naturalmente, i "dominicantes" praticano la religione in modo più intenso. Il 70 per cento dei presenti alle messe nella diocesi di Piazza Armerina, nel giorno del conteggio, hanno fatto anche la comunione (mentre in Polonia solo un terzo dei presenti alla messa si comunica, segno non di minor fervore ma piuttosto di una diversa pastorale). Inoltre, una larga maggioranza di loro dicono di confessarsi almeno una volta al mese.

Sono quindi una minoranza comunque consistente, all'interno di quei cerchi concentrici che definiscono il rapporto con la religione cattolica e confermano l'eccezione dell'Italia nel panorama secolarizzato dell'Europa occidentale.

L'incognita è sulla tenuta nel tempo di questa eccezionalità.

Perché, nel frattempo, da un'altra inchiesta a largo raggio sull'Italia religiosa affiorano seri dubbi su tale tenuta.

IL CROLLO DEI GIOVANISSIMI

L'indagine è quella condotta dal professor Paolo Segatti dell'Università di Milano per la rivista "Il Regno", che l'ha pubblicata nel numero del 15 maggio 2010.

L'indagine ha confermato la forte impronta cattolica di larga parte della popolazione italiana per quanto riguarda sia la messa e i sacramenti, sia il credere e il pregare, sia l'autoidentificazione cattolica, sia la fiducia nella Chiesa.

Per quanto riguarda la messa, il 28 per cento degli intervistati ha detto di andarvi ogni domenica, di poco sotto al 30 per cento medio degli ultimi tre decenni.

L'indagine ha però messo in luce una frattura drammatica tra i nati dopo il 1970 e più ancora dopo il 1981 e le precedenti generazioni. "Sembra veramente di osservare un altro mondo", scrive il professor Segatti. "I giovanissimi sono tra gli italiani quelli più estranei a un'esperienza religiosa. Vanno decisamente meno in chiesa, credono di meno in Dio, pregano di meno, hanno meno fiducia nella Chiesa, si definiscono meno come cattolici e ritengono che essere italiani non equivalga a essere cattolici".

Il crollo è così netto da far sparire anche le differenze di pratica religiosa tra uomini e donne – queste ultime molto più praticanti – tipiche delle precedenti generazioni. Tra i giovanissimi anche le donne vanno pochissimo in chiesa, al pari dei maschi.

Commenta Segatti:

"Già si intravede la futura condizione di minoranza del cattolicesimo in Italia. È immaginabile che quando i figli della generazione più giovane saranno padri, daranno un ulteriore contributo alla secolarizzazione".

"EMERGENZA EDUCATIVA"

Da quanto detto, si può capire perché i vescovi italiani e lo stesso papa Benedetto XVI abbiano individuato nella "emergenza educativa" un problema chiave della Chiesa italiana di oggi. L'educazione, infatti, comprende anche la trasmissione della fede cattolica da una generazione all'altra.

Un clamoroso segno rivelatore di questa "emergenza" è dato proprio dal documentato crollo della pratica e del "senso" religioso tra i giovanissimi.

E questo nonostante il 94 per cento delle famiglie italiane iscrivano i loro figli all'ora di religione e, nelle scuole di grado superiore, scelgano di avvalersene l'84 per cento degli studenti.

Sono percentuali eccezionalmente alte, a questi livelli da anni. Ma, evidentemente, visti i risultati, sia l'insegnamento della religione nelle scuole, sia il catechismo nelle parrocchie non sono all'altezza della sfida. In una Chiesa, come l'italiana, pur chiamata a far da modello alle altre Chiese dell'Europa secolarizzata.