L'internazionale della paura


di Adriano Prosperi

la Repubblica, 16.09.2010

Uno spettro si aggira per l'Europa: un altro. Non quello rosso del comunismo che nel 1848 allarmò la Santa Alleanza. Oggi lo spettro veste gli stracci colorati e si muove sui carrozzoni di un popolo di nomadi. È questo lo spettro che ha spinto Sarkozy a rispondere sgarbatamente alla commissaria europea Viviane Reding e che gli ha guadagnato l'immediato appoggio di Berlusconi.
Oggi nasce in Europa una nuova internazionale: quella della paura. Ne tengano conto gli storici del futuro. Abbiamo avuto finora diverse Europe, quella cristiana, quella degli umanisti, quella illuministica. È stato battuto il tentativo di dar vita a un'Europa nazifascista nel segno della romanità antica e della svastica che nel 1934 portò a Roma per annunciarne la creazione l'ideologo del razzismo nazista Alfred Rosenberg. Ci fu, invece di quella, l'Europa rinata dalle rovine grazie all'intelligenza e al coraggio di uomini come Federico Chabod che concluse le sue lucidissime lezioni sulla storia dell'idea d'Europa lasciando Milano per unirsi alla Resistenza in Val d'Aosta.
Ma quella che oggi ha preso forma nelle dichiarazioni di Sarkozy e per la quale il nostro presidente del Consiglio si è affrettato a dichiarare che esiste «una convergenza italo-francese» è un'Europa dominata dalla paura, dalla volontà di chiudere le porte agli immigrati e di cacciare via i rom.
Notiamo di passaggio la differenza di stile tra le due dichiarazioni, quella di Sarkozy e quella di Berlusconi. Quella di Sarkozy è una rispostaccia pubblica, da litigio di condominio: quella di Berlusconi è un avvertimento di metodo: di queste cose si deve parlare privatamente. Ma ambedue partono da un unico presupposto: quello che i rom siano spazzatura. Anzi, qualcosa di meno. Sul mercato internazionale della spazzatura il prezzo dei rimpatri francesi dei rom - 300 euro un adulto, 100 un bambino - è decisamente a buon prezzo se confrontato con quello dei residui speciali che attraversano l'Europa su carri blindati per andare a nascondersi in qualche miniera abbandonata o a farsi bruciare negli impianti tedeschi.
Accomuna le due dichiarazioni lo stesso disprezzo per gli esseri umani in gioco. Ci si chiede se siamo giunti davvero al punto di dover riconoscere che l'Europa ha dimenticato l'epoca in cui i trasferimenti forzati di popolazione e l'eliminazione fisica degli indesiderati presero avvio proprio dai rom. Sbaglieremmo a trascurare le ragioni di questa rapida convergenza dei due presidenti nella costruzione di un'Europa della paura.
Il ministro Maroni ci aveva già informato all'inizio dell'estate che stava preparando la sua campagna d'autunno col rilancio del tema degli immigrati. E non è certo da oggi che la politica della paura costituisce la risorsa alla quale si appella una dirigenza politica senza idee e senza risultati da presentare al paese. È una ricetta a suo modo infallibile. Ma la censura della commissaria europea Viviane Reding ha fatto suonare l'allarme in casa leghista e ha spinto Berlusconi a coprirsi dietro le spalle di Sarkozy per la semplice ragione che la Francia è sempre la Francia.
Sarà bene che l'opinione pubblica democratica si svegli: non si dimentichi che si sta discutendo della sorte di esseri umani mercificati e venduti a un tanto il chilo. Che cosa contino sul mercato di una coalizione che si presenta a mani vuote davanti al paese in cerca di rilanci elettorali lo abbiamo capito dal commento del governo all'episodio della sparatoria partita da navi vedetta italiane in mani libiche: pensavano forse che si trattasse di immigrati clandestini? Perché evidentemente in questo caso si sarebbe trattato di una causa giusta. Che i libici, con l'aiuto e l'avallo dell'Italia, sparino sui pescherecci dei disperati o li chiudano nei campi di concentramento viene considerato un successo politico del nostro paese.
Comunque il risultato è quello di una brusca svolta storica: nell'idea d'Europa, nella immagine della Francia paese della libertà e rifugio per chi non trova libertà in casa sua; anche nella realtà storica di un'Italia che, pur nella fragilità delle sue istituzioni statali, aveva trovato nel solidarismo cristiano e in quello socialista le risorse ideali e pratiche per assicurare assistenza e conforto ai diseredati.