Le gerarchie della Chiesa hanno imposto il segreto ai prelati su tutto ciò che avesse a che fare con casi di pedofilia ecclesiastica

di Paolo Flores d’Arcais

“il Fatto Quotidiano” del 10 aprile 2010

CINQUE ANNI FA durante la solenne Via Crucis del venerdì santo al Colosseo, Joseph Ratzinger esclamava: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Cristo!”. In questi giorni ci è stato ripetuto che la “sporcizia” di cui si scandalizzava Ratzinger era proprio quella dei sacerdoti pedofili, a dimostrazione che la Chiesa gerarchica già allora (solo cinque anni fa, comunque) non aveva alcuna intenzione di “insabbiare”. Ma quanta di tale “sporcizia” è stata da Ratzinger realmente denunciata? Denunciata, vogliamo dire, nell’unico modo in cui si denuncia un crimine, perché sia fermato e non possa essere reiterato: ai magistrati dei diversi Paesi. Quanti di quei sacerdoti pedofili? Nessuno e mai. Non nascondiamoci perciò dietro un dito. La copertura che è stata data per anni (anzi decenni) a migliaia di preti pedofili sparsi in tutto il mondo, non denunciandoli alle autorità giudiziarie, garantendo perciò ai colpevoli un’impunità che ha consentito loro di reiterare lo stupro su decine di migliaia di minorenni (talora handicappati), chiama direttamente e personalmente in causa la responsabilità di Joseph Ratzinger e di Karol Wojtyla. Se responsabilità morale o anche giuridica, lo decideranno tra breve alcuni tribunali americani. La responsabilità morale è comunque evidenziata dagli stessi documenti che l’Osservatore Romano (organo della Santa Sede) ha ripubblicato qualche giorno fa.

DECISIONE CONSAPEVOLE

Qui non stiamo infatti considerando i casi singoli di “insabbiamento” anche nell’ambito della “giustizia” ecclesiastica, ormai accertati e riportati dalla stampa soprattutto americana e tedesca, e che vanno moltiplicandosi man mano che si allenta la cappa di omertà, paura e rassegnazione. Ci riferiamo invece alla responsabilità diretta e personale dei due Pontefici per tutti i delitti di pedofilia ecclesiastica che non sono stati denunciati alle autorità civili, molti dei quali, ripetiamolo – mai come in questa circostanza orribile repetita juvant – non sarebbero mai stati perpetrati se casi precedenti fossero stati denunciati e sanzionati nei tribunali statali. La questione cruciale è infatti proprio questa: non la “Chiesa” in astratto, ma le sue gerarchie, e in particolare il Sommo Pontefice e il cardinal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, hanno imposto un obbligo tassativo a tutti i vescovi, sacerdoti, personale ausiliario ecc., sotto solenne giuramento sul Vangelo, di non rivelare se non ai propri superiori, e dunque di non far trapelare minimamente alle autorità civili, tutto ciò che avesse a che fare con casi di pedofilia ecclesiastica.

La confessione viene da loro stessi. L’Osservatore Romano ha ripubblicato il motu proprio di Giovanni Paolo II, che riservava al “Tribunale apostolico della Congregazione… il delitto contro la morale”, cioè“il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età”, e la “Istruzione” attuativa della Congregazione per la Dottrina della Fede, con queste inderogabili disposizioni: “Ogni volta che l’ordinario o il gerarca avesse notizia almeno verosimile di un delitto riservato, dopo avere svolto un’indagine preliminare, la segnali alla Congregazione per la Dottrina della Fede”.

Tutte le “notitiae criminis” devono insomma affluire ai vertici, la Congregazione per la dottrina della Fede (Prefetto il cardinal Ratzinger, segretario monsignor Bertone) e il Papa. Sarà la congregazione a decidere se avocare a sé la causa oppure “comandare all’ordinario o al gerarca, dettando opportune norme, di procedere a ulteriori accertamenti attraverso il proprio tribunale”. Papa e Prefetto, insomma, sono informati di tutto (sono anzi gli unici a sapere tutto) e sono loro, esclusivamente, ad avere l’ultima e la prima parola sulle procedure da seguire.

Decidano direttamente, per avocazione, o demandino il “processo” al Tribunale ecclesiastico diocesano, ovviamente la “pena” estrema (quasi mai comminata) è solo la riduzione allo stato laicale del sacerdote. In genere si limitato invece a spostare il sacerdote da una parrocchia all’altra. Dove ovviamente reitererà il suo crimine. “Pena” esclusivamente canonica, comunque. Nessuna denuncia deve invece esser fatta alle autorità civili. La Chiesa gerarchica si occuperà insomma del “peccato” (in genere con incredibile indulgenza) ma terrà segreto e coperto il “reato”. Che perciò resterà impunito. E potrà essere reiterato impunemente. Perché l’ordinanza della Congregazione, in ottemperanza al motu proprio del Papa, è imperativa e non lascia margini di scampo: “Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio”. Di cosa si tratta? E’ spiegato in un documento vaticano del marzo 1974, una “Istruzione” emanata dall’allora segretario di Stato cardinale Jean Villot, seguendo le volontà espresse da Paolo VI in un’udienza ad hoc.

Leggiamone i passi cruciali. “In taluni affari di maggiore importanza si richiede un particolare segreto, che viene chiamato segreto pontificio e che dev’essere custodito con obbligo grave… Sono coperti dal segreto pontificio…” e qui seguono numerosissimi casi, tra i quali due fattispecie in entrambe le quali rientrano i casi di pedofilia ecclesiastica. Il punto 4 (“le denunce extra-giudiziarie di delitti contro la fede e i costumi, e di delitti perpetrati contro il sacramento della penitenza, come pure il processo e la decisione riguardanti tali denunce”) e il punto 10 (“gli affari o le cause che il Sommo Pontefice, il cardinale preposto a un dicastero e i legati della Santa Sede considereranno di importanza tanto grave da richiedere il rispetto del segreto pontificio”).

Ancora più interessante il minuzioso elenco delle persone che “hanno l’obbligo di custodire il segreto pontificio”: “1) I cardinali, i vescovi, i prelati superiori, gli officiali maggiori e minori, i consultori, gli esperti e il personale di rango inferiore, cui compete la trattazione di questioni coperte dal segreto pontificio; 2) I legati della Santa Sede e i loro subalterni che trattano le predette questioni, come pure tutti coloro che sono da essi chiamati per consulenza su tali cause; 3) Tutti coloro ai quali viene imposto di custodire il segreto pontificio in particolari affari; 4) Tutti coloro che in modo colpevole, avranno avuto conoscenza di documenti e affari coperti dal segreto pontificio, o che, pur avendo avuto tale informazione senza colpa da parte loro, sanno con certezza che essi sono ancora coperti dal segreto pontificio”. Insomma, certosinamente tutti. Non c’è persona che possa direttamente o indirettamente entrare in contatto con tale “sporcizia” a cui sia concesso il benché minimo spiraglio per poter far trapelare qualcosa alle autorità civili e quindi fermare il colpevole. La “sporcizia” dovrà restare nelle “segrete del Vaticano”, pastoralmente protetta e resa inavvicinabile dalle curiosità troppo laiche di polizie e magistrati. L’impunità penale dei sacerdoti pedofili sarà di conseguenza assoluta e garantita. Per raggiungere questo obiettivo, che rovinerà la vita a migliaia di bambini e bambine, si esige anzi un giuramento dalla solennità sconvolgente.

IL SEGRETO

Recita l’istruzione: “Coloro che sono ammessi al segreto pontificio in ragione del loro ufficio devono prestar giuramento con la formula seguente: ‘Io… alla presenza di…, toccando con la mia mano i sacrosanti vangeli di Dio, prometto di custodire fedelmente il segreto pontificio nelle cause e negli affari che devono essere trattati sotto tale segreto, cosicché in nessun modo, sotto pretesto alcuno, sia di bene maggiore, sia di causa urgentissima e gravissima, mi sarà lecito violare il predetto segreto. Prometto di custodire il segreto, come sopra, anche dopo la conclusione delle cause e degli affari, per i quali fosse imposto espressamente tale segreto. Qualora in qualche caso mi avvenisse di dubitare dell’obbligo del predetto segreto, mi atterrò all’interpretazione a favore del segreto stesso. Parimenti sono cosciente che il trasgressore di tale segreto commette un peccato grave. Che mi aiuti Dio e mi aiutino questi suoi santi vangeli che tocco di mia mano”.

Formula solenne e terribile, che davvero non ha bisogno di commenti. Dalle conseguenze tragiche e devastanti per migliaia di esistenze. Tutte le Istruzioni di cui sopra sono ancora in vigore. Il giuramento ha funzionato. In questi giorni di aspre polemiche, infatti, la Chiesa gerarchica non ha potuto esibire un solo caso di sua denuncia spontanea alle autorità civili, con il quale avrebbe potuto rivendicare qualche episodio di non omertà e di “buona volontà”.

Il “buon nome” della Chiesa è venuto sempre prima, sulla pelle di migliaia di bambini e infangando e calpestando quel “sinite parvulos venire ad me” (Vulgata, Matteo 19,14) del Vangelo su cui si è fatta giurare questa raccapricciante congiura del silenzio. Sempre più testimonianze confermano anzi di una Chiesa gerarchica indaffarata per decenni a “troncare e sopire”, e anzi a negare l’evidenza (in una corte si chiamerebbe spergiuro) o a intimidire le vittime (in una corte si chiamerebbe ricatto o violenza) se qualche ex bambino ad anni di distanza trovava il coraggio di sporgere denuncia. I casi del genere ormai emersi sono talmente tanti che “il mio nome è Legione”, come dice lo “spirito immondo” di cui Marco, 5,9.

SQUADERNATA RESPONSABILITÀ

Di fronte a documenti ufficiali talmente “parlanti” si resta dunque allibiti che nessuno chieda ai vertici della Chiesa gerarchica, il Papa e il Prefetto della Congregazione per la Fede, ragione di tanta squadernata responsabilità. Monsignor Bertone, all’epoca della “Istruzione” di Ratzinger vescovo di Vercelli e segretario della Congregazione (il vice di Ratzinger, insomma, allora come oggi), in un’intervista del febbraio 2002 al mensile 30 Giorni, ispirato da Comunione e Liberazione e diretto da Giulio Andreotti, si stracciava le vesti dall’indignazione all’idea che un vescovo potesse denunciare il sacerdote pedofilo alle autorità giudiziarie: al giornalista che si faceva eco delle ovvie preoccupazioni dei cittadini con un: “eppure si può pensare che tutto ciò che viene detto al di fuori della confessione non rientri nel ‘segreto professionale’ di un sacerdote...” rispondeva a muso duro: “Se un fedele non ha più nemmeno la possibilità di confidarsi liberamente, al di fuori della confessione, con un sacerdote… se un sacerdote non può fare lo stesso con il suo vescovo perché ha paura anche lui di essere denunciato... allora vuol dire che non c’è più libertà di coscienza”.

Libertà di coscienza, proprio così. Quella libertà di coscienza che il mondo moderno, grazie all’eroismo di spiriti eretici mandati puntualmente al rogo, e all’azione del vituperatissimo illuminismo, è riuscito a strappare contro Chiesa (che la giudicava pretesa diabolica), viene ora invocata per garantire l’impunità a migliaia di preti pedofili. Cosa si può dire di fronte a tanta… (lascio in sospeso il vocabolo, non sono riuscito a trovarne uno adeguato alla “cosa” e che rispetti il detto secondo cui “nomina sunt consequentia rerum”)?

Che senso ha, perciò, continuare a parlare di “propaganda grossolana contro il Papa e i cattolici” (l’Osservatore Romano), di “attacchi calunniosi e campagna diffamatoria” (idem), di “eclatante campagna diffamatoria” (Radio vaticana), di “furibonda fobia scatenata contro la Chiesa cattolica” (Joaquìn Navarro Vals), di “menzogna e violenza diabolica” (monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino), di “accuse menzognere” (cardinal Angelo Scola), di “accuse ignobili e false” (cardinal Carlo Maria Martini), e chi più ne ha più ne metta, visto che sono gli stessi documenti vaticani a confessare la linea di catafratto rifiuto della Chiesa gerarchica ad ogni ipotesi di denuncia dei colpevoli alle autorità giudiziarie secolari?

E si badi, il “Motu proprio” e l’“Istruzione” del 2001 segnano un momento considerato di maggiore severità di Santa Madre Chiesa nei confronti dei sacerdoti pedofili. Possiamo immaginarci cosa fosse prima.

LA MIGLIOR DIFESA

Davvero di fronte a questo scandalo la miglior difesa è l’attacco, come sembrano aver deciso i vertici vaticani? Punta di diamante di tale strategia è il cardinal Sodano, decano del Sacro Collegio, che sull’Osservatore Romano del 6-7 aprile tuona: “La comunità cristiana si sente giustamente ferita quando si tenta di coinvolgerla in blocco nelle vicende tanto gravi quanto dolorose di qualche sacerdote, trasformando colpe e responsabilità individuali in colpa collettiva con una forzatura veramente incomprensibile”. No cara eminenza, nessuno si sogna di coinvolgere in blocco la comunità cristiana, nemmeno nel più ristretto senso di comunità cattolica, qui si tratta solo della Chiesa gerarchica e delle sue massime autorità, che hanno imposto il silenzio del “segreto pontificio” e dunque impedito che le autorità statali mettessero i sacerdoti pedofili nella condizione di non nuocere. E poiché nel catechismo è scritto innumerevoli volte che si può peccare in modo equivalente “per atti o per omissioni”, vorrà convenire che attraverso questa omissione resa solenne e inderogabile attraverso il ”segreto pontificio”, il Papa e il cardinal Prefetto si sono resi responsabili (di certo moralmente) delle migliaia di crimini di pedofilia che sollecite denunce alle autorità statali avrebbero invece impedito. E’ purtroppo un dato di fatto acclarato che aver voluto trattare questi crimini semplicemente all’interno del diritto canonico,e nella maggior parte dei casi limitandosi oltretutto a spostare il sacerdote violentatore da una parrocchia all’altra, ha avuto il risultato di diffondere la peste pedofila. Tentare di corresponsabilizzare tutti i fedeli è anzi un“gioco sporco”, cara eminenza. Dubito che la grande maggioranza dei fedeli sapesse del “segreto pontificio” e delle sue implicazioni di dovere insuperabile del silenzio nei confronti di qualsiasi autorità esterna (polizie e magistrati) alle gerarchie ecclesiastiche. Dubito che se ne avesse avuto conoscenza avrebbe approvato l’idea che i nomi dei preti pedofili dovessero restare sepolti nelle “segrete del Vaticano” a tutela del “buon nome” della Chiesa.

QUALE CHIESA

In questa orribile vicenda non è in discussione la Chiesa nell’accezione di “popolo di Dio” o comunità dei fedeli. E’ in discussione, cara eminenza, solo, sempre ed esclusivamente la Chiesa gerarchica e i suoi vertici. Timothy Shriver, figlio di Eunice Kennedy, dunque esponente della più famosa famiglia cattolica d’America, dunque parte della Chiesa in quanto comunità dei credenti, ha pubblicato sul Washington Post un appello – da cattolico – in cui è detto senza mezzi termini: “Se questa Chiesa,con la sua attuale gerarchia, col suo Papa e i suoi vescovi, non saprà confessare la Verità; se continuerà a nascondere le proprie colpe, come Nixon lo scandalo Watergate; se si dimostrerà più votata al potere che a Dio, allora noi cattolici dovremo cercare altrove una guida spirituale”. Solo il 27% dei cattolici americani (la Chiesa nel senso del “popolo di Dio”), interpellati da un sondaggio della Cbs il 2 aprile, ha espresso un giudizio favorevole e di fiducia in Ratzinger e nei suoi vescovi (la Chiesa nel senso della Gerarchia). Addirittura solo uno su cinque, sulla questione specifica dell’atteggiamento verso lo scandalo dei preti pedofili.

Torniamo perciò al punto cruciale. Wojtyla e Ratzinger hanno preteso e imposto che i crimini di pedofilia venissero trattati solo come peccati, anziché come reati, o al massimo come “reati” di diritto canonico anziché reati da denunciare immediatamente alle autorità giudiziarie secolari. Queste omesse denunce sono responsabili di un numero imprecisato ma altissimo di violenze pedofile che altrimenti sarebbero state evitate. Se l’attuale regnante Pontefice ha davvero capito l’enormità della “sporcizia” e la necessità di contrastarla senza tentennamenti anche sul piano della giustizia terrena, può dimostrarlo in un modo assai semplice: abrogando immediatamente con Motu proprio le famigerate “Istruzioni” che fanno riferimento al “segreto pontificio” e sostituendolo con l’obbligo per ogni diocesi e ogni parrocchia di denunciare immediatamente alle autorità giudiziarie ogni caso di cui vengano a conoscenza. E spalancando gli archivi, consegnandoli a tutti i tribunali che ne facciano richiesta, visto che alcuni paesi hanno deciso di aprire per la denuncia del crimine una “finestra” di un anno per sottrarre alla prescrizione anche vicende lontane.

Se non avrà questa elementare coerenza, non si straccino le vesti il cardinal decano e tutti i cardinali del Sacro Collegio nell’anatema contro i credenti e i non credenti che insisteranno nel giudicare corrivo l’atteggiamento attualmente scelto. Tanto più che la Chiesa gerarchica, che in tal modo si rifiuterebbe di ordinare alle proprie diocesi la collaborazione per punire come reato il peccato di pedofilia dei suoi chierici e pastori, è la stessa che pretende di trasformare in reati, sanzionati dalle leggi dello Stato e relative punizioni, quelli che ritiene peccati (aborto, eutanasia, fecondazione eterologa, controllo artificiale delle nascite, ecc.), e che per tanti cittadini sono invece solo dei diritti, ancorché dolorosi o dolorosissimi.