Don Ciotti ricorda Pellegrino l'arcivescovo "tonaca rossa"

di Ettore Boffano

“la Repubblica” - Torino del 9 gennaio 2010

Comincia a essere vecchio don Luigi Ciotti, comincia a essere un testimone. Del tempo, dei fatti, dei segni e degli uomini. Come di un «padre della Chiesa», il «Padre» per antonomasia di don Luigi, quell'arcivescovoe cardinale Michele Pellegrino che, l'11 novembre 1972, lo ordinò prete e gli affidò una stranissima parrocchia, mai vista: «La strada. Da oggi, disse, coloro che soffrono in strada saranno i tuoi parrocchiani». Lo farà anche oggi,a Garessio (alle 21, nella «Casa dell'Amicizia»), «e volentieri: dopo tanto tempo che non mi accadeva più». Parlerà di immagini quasi perdute, di quando la tv era in biancoe nero: «Le prime di Pellegrino appena tornato da Roma dopo la nomina decisa da Paolo VI, nel 1967. Il professore universitario che diventava arcivescovo e poi cardinale. Aveva ancora la tonaca col taschino a sinistra, come su una giacca borghese, piena di penne e matite. ARRIVÒ la troupe di «Tg7»e lui dialogò passeggiando lungo un giardino. E pronunciò la famosa frase: vorrei essere chiamato "padre", non eminenza». Ciotti non era ancora sacerdote, ma il Gruppo Abele esisteva già: lui si divideva tra i primi tossicodipendenti, gli alcolizzati,i minorenni detenuti del Ferrante Aporti, le ragazze del Buon Pastore e il seminario di Rivoli. «Il nostro era il primo corso per le vocazioni adulte. Venne a ordinarmi e la chiesa era piena di quei ragazzi del Gruppo. Io pensavo di dover andare a fare il curato in qualche posto della diocesi, ma Pellegrino si rivolse a quei giovani e spiegò: ve lo lascio. Da quel momento, non ha mai dimenticato il Gruppo Abele». È una porpora cardinalizia che fa gridare allo scandalo i perbenisti quella di Padre Pellegrino, nella città dei santi sociali ma anche della Fiat e dei tanti collateralismi cattolici. Una notte di Natale, in Duomo, predica contro una sventurata raccolta di firme per riaprire le «case chiuse» e ripristinare la prostituzione legalizzata. Qualcuno lo chiama anche «tonaca rossa» con precise allusioni politiche. Una sera, poiché sa da tempo che Ciotti cerca di strappare al marciapiede le giovani che si vendono, si presenta a una riunione del Gruppo. «Voleva capire, ascoltare, pronunciarsi e decidere dopo aver conosciuto. Ecco, se dovessi trovare in lui la lezione più importante per i tempi odierni, direi che mi piacerebbe ritrovare quella sua condanna del "peccato del sapere": è la faciloneria di oggi, la mancanza di profondità, il sentenziare su tutto senza conoscere nulla. Lui invece era "padre" anche in questo: che non giudica invano, che non semplifica». Entra nella società torinese Pellegrino, in tutti i suoi aspetti, anche i più difficili. «E ci entrò simbolicamente varcando soprattutto le soglie di tre tende: quella dei metalmeccanici durante l'Autunno Caldo e le due nostre di Piazza Solferino e di Porta Nuova sui detenuti minorenni e sulla droga. Quando cominciò la nostra battaglia per avere una legge sugli stupefacenti e sulla non criminalizzazione di chi li consumava, scrisse davanti alla tenda il testo di un telegrammae lo spedì al presidente della Repubblica, Giovanni Leone». Il gesto successivo è ancora sul problema della droga e segna una rottura addirittura con il passato della sua diocesi. «Lui che aveva scelto di portare una croce pettorale da vescovo di semplice metallo, vendette quelle preziose dei suoi predecessori, assieme agli anellie ai calici, per finanziarie la nostra prima comunità di recupero a Murisengo. Era la strada del fare, del Vangelo predicato sulla terra, ma guardando sempre alla speranza e dunque al cieloea un messaggio che andava oltre l'esistenza. Non c'era dunque nulla di secolare e di immanente nel suo modo di interpretare quelle Scritture che aveva studiatoe insegnato all'Università». Corrono i ricordi e Ciotti non rifiuta mai il compito di «testimone». Non è mai diventato beato né santo il «Padre» della Camminare Insieme. Ne subito né dopo. Che cosa contò davvero, nei giorni terreni di Michele Pellegrino arcivescovo, quell'accusa di fare politica? «Non credo più di tanto. E oggi posso dire che io ho sempre fatto "politica" nel suo stesso modo. La politica di chi è chiamato ad annunciare il Vangelo: che non significa assecondare questoo quel partito, la destra oppure la sinistra. Ma pretendere che chi fa politica sia coerente con il bene comune, con la dignità e la libertà dell'uomo». Qualche rimpianto, qualche rimorso come quelli che possono restare per un «figlio» nei confronti di una «padre» che non c'è più? «No, ripenso a lui sempre con una serenità e con un affetto infiniti. Ogni tanto mi riguardo una cassetta registrata che mi hanno fatto avere degli amici della Rai. In tv, quella volta, c'era già il colore: era l'estate del 1978. Dovevano scegliere il nuovo papa e toccò a Giovanni Paolo I°, il papa del sorriso. Ma prima del conclave la Rai decise di realizzare una scheda su tutti cardinali che potevano essere eletti. A me chiesero di parlare di Pellegrino. Lui compare solo in immagini di repertorio, poi si sente la mia voce. Dico più o meno quello che ho appena ripetuto e che ascolterà anche chi verrà questa sera a Garessio. La storia di un professore universitario, col taschino sulla tonaca, che diventò arcivescovo».