LE RADICI DI GESÙ

da ADISTA n°76 del 9.10.2010

di José Arregui

(teologo basco )

Gesù (Giosuè/Yehoshua) significa “Yahvé aiuta” o “Ya-hvé ti aiuti”. Questo è il suo nome, e questo è Gesù. Il suo nome è già tutta una “cristologia”. In Gesù ci si mostra Dio come “aiuto”: c’è bisogno di altra cristologia?

Gesù era un nome molto comune all’epoca. Flavio Giuseppe menziona nei suoi scritti una ventina di uomini chiamati Giosuè o Gesù e almeno dieci di questi appartengono all’epoca di Gesù di Nazareth. Ha avuto un nome molto co-mune... Anche qui possiamo incontrare una lezione. Guardiamo anche ai nomi dei suoi familiari più stretti. Portano, come lui, nomi che ricordano i patriarchi, l’esodo dall’Egit-to e l’ingresso nella terra promessa e questo fatto probabilmente non è casuale. Suo padre si chiamava Giuseppe, nome di uno dei dodici figli di Giacobbe. Sua madre era Maria (Miryam), nome della sorella di Mosè. I suoi quattro fratelli si chiamavano Giacomo (=Giacobbe), Giuseppe, Simone (=Simeone) e Giuda. Tutti questi nomi sono rivelatori del-l’atmosfera che respirava Gesù tra i suoi.

La sua famiglia partecipava al risveglio dell’identità nazionale e religiosa giudaica, un’identità che si definiva guardando al passato dei patriarchi, idealizzandolo. Più tardi, Gesù adulto sceglierà dodici uomini che saranno la rappresentazione simbolica dei dodici patriarchi delle dodici tribù e, pertanto, della restaurazione dell’intero Israele che sogna Gesù.

 

Ma Gesù ha avuto dei fratelli?

La sola domanda potrebbe sembrare a più d’uno provocatoria. Da dove si deduce che Gesù avesse dei fratelli? Non è un’invenzione moderna: lo dicono molti testi del Nuovo Testamento e lo stesso Flavio Giuseppe; il Vangelo di Marco ce ne dà anche i nomi.

Sarà che erano cugini? O forse erano solamente fratellastri (figli di un matrimonio precedente di Giuseppe)? E se erano figli di Maria, che ne è della sua verginità? Ecco le questioni che bisognerà affrontare. E se giungessimo alla conclusione che la cosa più probabile è che Gesù avesse fratelli, figli dei suoi stessi genitori, ciò non toglierebbe nulla al nostro fratello Gesù, né a nostra sorella e madre Maria (né al buon Giuseppe).

Afferma Theissen (Gerd Theissen, teologo tedesco, professore di Nuovo Testamento della Facoltà di Teologia evangelica dell’Università di Heidelberg, ndt): “L’ampiezza della tradizione è impressionante: appaiono fratelli di sangue del Signore, all’interno del cristianesimo, in diverse frange della tradizione e in diversi contesti letterari e in un caso al di fuori del cristianesimo”. (...).

La frequenza e unanimità delle testimonianze è impressionante. Ma si tratta davvero di fratelli o solo di cugini? Gli esegeti sono oggi piuttosto unanimi: non si tratta di cugini di Gesù, questa è l’interpretazione tarda di Girolamo (IV secolo, dopo la proclamazione del dogma della verginità di Maria da parte del Concilio di Nicea). Ed è questa tesi di Girolamo che poi si è imposta.

Risulta però che in greco (la lingua del Nuovo Testamento) esisteva una parola per dire “fratello” (adelphos) e un’altra per dire “cugino” (anepsios) (cfr Col 4,10).

Per questo Meier (John Paul Meier, biblista e sacerdote statunitense, docente di Nuovo Testamento presso il dipartimento di Teologia della cattolica University of Notre Dame, Indiana, ndt) scrive: “Nel Nuovo Testamento non esiste un solo caso in cui, indiscutibilmente, ‘fratello’ significhi ‘cugino’, mentre vi sono abbondanti esempi in cui ha il significato di fratello di sangue”.

In aramaico, è vero, lo stesso termine poteva significare sia fratello che cugino, ma non in greco, e gli autori del Nuovo Testamento il greco lo conoscevano bene. In conclusione: “Se, prescindendo dalla fede e dalla dottrina successiva della Chiesa, chiediamo allo storico o all’esegeta un giudizio sul Nuovo Testamento e sui testi patristici che abbiamo esaminato, considerati semplicemente come fonti storiche, l’opinione dominante è che i fratelli e le sorelle di Gesù lo fossero veramente”.

E ancora: “L’opinione più plausibile da un punto di vista puramente filologico e storico è che i fratelli e le sorelle di Gesù fossero realmente tali. Almeno alcuni scrittori della Chiesa mantennero viva questa interpretazione dei testi del Nuovo Testamento fino alla fine del IV secolo”.

Questa conclusione è confermata dal fatto che (...) Giacomo (che non era uno dei Dodici) occupasse un posto pri-vilegiato nella Chiesa primitiva, presiedesse la comunità di Gerusalemme anche al di sopra di Pietro e fosse oggetto della persecuzione giudaica e vittima di linciaggio per la sua posizione di rilievo e che lui e Giuda fossero considerati gli autori di alcune lettere cristiane primitive (si noti che c’e-rano tre Giacomi: due appartenevano al gruppo dei Dodici e il terzo era il “fratello del Signore” e fu quest’ultimo il capo della Chiesa di Gerusalemme).

Perderebbe qualcosa Gesù se avesse avuto fratelli? Assolutamente no. Guadagnerebbe in vicinanza con noi. E la verginità di Maria? La vera verginità, la verginità essenziale, non è questione di avere o meno relazioni sessuali, ma di possedere un cuore integro, un cuore sincero, un cuore libero e servizievole, un cuore umile e gentile. Sarebbe più meritoria e grande Maria se non avesse avuto relazioni sessuali con suo marito? Affermarlo mi sembrerebbe una stupidaggine.

 

Madre vergine?

Ecco qui un punto estremamente delicato della fede e della discussione teologica. Molti cristiani hanno smesso di “credere” nel concepimento e nella nascita “verginale” di Gesù e, pertanto, nella verginità fisiologica di Maria. Molti altri cristiani sono scandalizzati da tale posizione e continuano a sostenere che il concepimento di Gesù senza intervento maschile è parte costitutiva della fede cristiana. L’in-segnamento ufficiale della Chiesa dà ragione ai secondi; l’esegesi e la teologia tendono sempre più verso la prima posizione. Si possono distinguere tre atteggiamenti:

1) la fede tradizionale, basata su un’interpretazione letterale dei vangeli dell’infanzia di Matteo e Luca: Gesù è stato concepito “miracolosamente” da Maria senza concorso di alcun uomo. Maria è stata fisicamente vergine per tutta la sua vita e ha dato alla luce Gesù in modo miracoloso, senza rottura dell’imene;

2) la fede tradizionale malgrado l’esegesi storico-critica moderna: si riconosce che l’attuale esegesi mette in dubbio il concepimento verginale di Gesù o addirittura tende a negarlo, ma si pensa che il cristiano debba continuare a sostenerlo non sulla base di argomenti esegetici, ma perché la Chiesa così ha creduto per molti secoli, perché lo afferma il dogma e perché continua a dirlo l’insegnamento ufficiale della Chiesa attuale;
 

3) la lettura critica dei vangeli dell’infanzia e la reinterpretazione della fede nel dogma del concepimento verginale e della verginità di Maria: il racconto dell’annunciazione e della nascita di Gesù non ci vuole trasmettere notizie di tipo storico o biologico, ma un messaggio di fede e di speranza, e la fede e la speranza non dipendono dal modo fisico in cui Gesù è stato concepito ed è nato.

Penso sinceramente che questa terza posizione sia la più coerente con l’esegesi critica, con l’antropologia teologica (immagine positiva della sessualità), con l’immagine di Dio (che non interviene puntualmente nel mondo rompendo a capriccio il corso della natura). Presenterò alcuni dati che, a mio modo di vedere, ci invitano a reinterpretare (non a negare) la fede nel concepimento verginale di Gesù e nella maternità verginale di Maria.

Per quanto riguarda i dati esegetici, seguo sostanzialmente Meier. È importante, in primo luogo, tener conto che, strettamente parlando, si parla del concepimento verginale solo in due versetti del Nuovo Testamento: Mt 1,18 (“Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo”) e Lc 1,35 (“Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo”).

(...) Il concepimento verginale di Gesù non è una “leggenda tarda” creata alla fine del I secolo. Ma bisogna affermare chiaramente che non è la tradizione più antica. E neppure è una tradizione unanime: né Marco, né Paolo, né Giovanni conoscono questa tradizione. Questi ultimi danno per scontato che Gesù fosse figlio di Maria e di Giuseppe. Le comunità in cui scrivono Marco e Giovanni, come pure le comunità alle quali scrive Paolo, non “credono” nel concepimento verginale fisico di Gesù. (...). Bisogna tener conto che nell’antichità, anche nella Bibbia, è molto comune attribuire una nascita straordinaria ai personaggi importanti. Così, nella Bibbia, Isacco, Sansone, Samuele, Giovanni Battista... sono presentati come figli di una madre sterile. Filone di Alessandria, contemporaneo di Gesù, parla di “nascita verginale” di alcuni personaggi biblici.

E anche al di fuori della Bibbia il fenomeno è ben noto: secondo la leggenda, sono figli di madre vergine alcuni grandi personaggi della storia delle religioni (Buddha, Krishna, il discendente di Zoroastro...), alcuni personaggi della mitologia greco-romana (Perseo, Romolo...), alcuni re del-l’Egitto, della Grecia e di Roma (i faraoni, Alessandro Magno, Augusto...), alcuni filosofi e pensatori religiosi (Platone, Apollonio di Tiana...).

L’esegesi storico-critica pone, dunque, fortemente in dubbio la storicità della tradizione secondo cui Gesù era figlio di madre vergine. Malgrado tutto, la fede letterale nel concepimento verginale biologico di Gesù dovrebbe essere forse un elemento irrinunciabile della fede cristiana per il mero fatto che la Chiesa (maggioritariamente) ha creduto in  questo per molti secoli? Non mi sembra coerente. Abbiamo visto, d’altro lato, che alle origini del cristianesimo vi sono state Chiese (la maggior parte) che non pensavano in alcun modo al concepimento verginale fisico di Gesù.

Inoltre, con ogni probabilità, neppure a Matteo e a Luca interessava propriamente affermare il concepimento verginale nella sua versione fisica. I vangeli utilizzano molto spesso generi letterari, linguaggi figurati, che sarebbe assurdo intendere alla lettera. È possibile che il motivo del concepimento di Gesù senza intervento maschile faccia parte di questo linguaggio simbolico, allo stesso modo che la sua nascita a Betlemme, l’annunciazione, il racconto dei magi o l’apparizione degli angeli ai pastori...

In ogni caso, unitamente a molti credenti e a molti teologi, penso che, come non è oggetto di fede il luogo geografico in cui è nato Gesù (se Betlemme o Nazareth), neppure lo è il modo concreto in cui è stato concepito (se con seme maschile o senza...) o quello in cui è nato (come tutti i bambini o, come dirà poi il dogma, in maniera “miracolosa”, “come un raggio di luce, senza rompere e lacerare”...). Al vangelo (e, pertanto, al dogma) non interessa informare sugli aspetti biologici o ginecologici, ma dirci chi è Gesù, chi è per noi.

Che vuol dire, allora, il racconto del Vangelo? Vuole dirci che Gesù non è come chiunque, ma che viene da Dio, che è per l’umanità un regalo straordinario di Dio, che Dio stesso si offre a noi in lui, che Dio ci fa tutti pienamente figli e figlie.

Vuole dirci anche che Dio si offre a noi in Gesù grazie alla fede provata e profonda di Maria, grazie alla sua grandezza non riconosciuta di donna, grazie alla povertà e all’umiltà fiduciose nella propria dignità, grazie alla disponibilità incondizionata nel quotidiano, grazie anche alla libertà e all’autonomia di cui questa donna è stata capace (in una cultura in cui la donna sposata era assolutamente subordinata al marito, l’opzione per la “verginità” di molte donne ha avuto sempre una componente di riaffermazione della propria autonomia rispetto all’uomo; la “verginità” di Maria è, allora, tra altre cose, un modo simbolico di affermare la dignità e l’autonomia di Maria, malgrado fosse sposata con Giuseppe).

Credo che sia questo il messaggio del vangelo del concepimento verginale di Gesù. Non si tratta di realtà fisiche, ma della presenza vicina e liberatrice di Dio nella nostra car-ne e nel nostro sangue, nella trama delle nostre relazioni, nella storia della nostra finitezza e dei nostri sogni.

È incompatibile con la fede cristiana pensare che Gesù sia nato da un uomo e da una donna? Non posso crederlo. È incompatibile la paternità di Dio con la paternità di Giuseppe? Credo che sarebbe una stupidaggine affermarlo (persino lo stesso Ratzinger lo ha negato al tempo in cui era professore di teologia).

Naturalmente, chi non abbia difficoltà a continuare a immaginare che sia così lo immagini pure, non c’è alcun problema, ma credo che non si dovrebbe esigere oggi da tutti i cristiani di “credere” che Gesù sia stato concepito fisicamente senza intervento maschile. È così, insomma, che io vedo le cose. E con ciò, a mio modo di vedere, nulla si perde del messaggio di speranza e di liberazione del vangelo.

Di tutti quelli che ricevono ed accolgono la Parola che è la luce, che è nel mondo e che viene “tra la sua gente” (magari si possa figurare tra questa), il vangelo di San Giovanni dice: “non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”.

San Giovanni non avrebbe alcuna difficoltà a riconoscere che tutti siamo “figli di Dio e di madre vergine”.