Veneto balcanico - una «polisia» secessionista

 Sebastiano Canetta

il manifesto del 29.1.2010

Piani operativi, poligoni di tiro e campagne di arruolamento per lo Stato delle Venethie. Un gruppo paramilitare archiviato come macchiettistico, ma che le indagini e le intercettazioni mostrano pronto a uccidere. In nome della rivoluzione contro lo «straniero invasore»
Erano pronti ad uccidere per ammainare il tricolore dal Nord Est. Disposti a morire, pur di abolire il giogo di tasse e multe imposte dallo «straniero invasore».
Sognavano il golpe venetista con tanto di martiri votati alla causa della secessione. Nel mirino della Polisia della Marca tutte le istituzioni, senza distinzioni: carabinieri, guardia di finanza e perfino i vigili urbani.
Altro che "macchiette", buffoni da osteria, innocui "bravi" di paese. Non erano solo «chiacchiere e distintivo» i 14 paramilitari accusati di aver messo in piedi una vera e propria banda armata di stampo separatista.
Lo dimostrano le intercettazioni telefoniche disposte dal Procura della Repubblica di Treviso che ha disarticolato gli eversori di Marca.
Dai fascicoli sulla scrivania di Antonio Fojadelli saltano fuori gli «atti di guerra» dei polisiotti veneti. Una follia alimentata da piani operativi, campi di addestramento per «truppe speciali», poligoni di tiro e campagne di arruolamento per l'esercito di «patrioti» deciso a cambiare bandiera.
Emergono le prove giudiziarie del delirio autonomista di sedicenti ministri degli Interni, capi di governo, giudici, ufficiali e reclute disposti a eliminare fisicamente gli «oppressori», cioè gli italiani.
Viene a galla un programma perverso quanto surreale, condito con proclami, editti e documenti che incitano alla rivoluzione nel nome di San Marco. In testa il chiodo fisso dei soldi che non bastano mai: schei per stipendi e uniformi della Polisia, ma anche per pagare le odiose gabelle pretese del «governo di Roma».
Alla viglia delle elezioni regionali il Nord Est fa i conti con la rivolta dello Stato delle Venethie che non si accontenta di Luca Zaia governatore. E così, archiviata l'era Galan, il Veneto scopre il sottoprodotto di un federalismo artefatto, nebuloso, urlato, su cui politicamente hanno soffiato cani e porci. Le intercettazioni della Digos di Treviso radiografano i sintomi della metastasi autonomista e provano che il «piombo» promesso da Umberto Bossi & C qui viene preso sempre sul serio.
Mercoledì 20 gennaio a Treviso tutti hanno potuto leggere le intercettazioni dei polisiotti di Marca pubblicate sulla Tribuna dalla cronista Sabrina Tomé. E anche farsi un'idea dell'omertosa rete di connivenze e complicità fornite da commercianti senza scrupoli, disposti a vendere divise e cinturoni ai «partigiani» veneti.
Nelle registrazioni spiccano le inquietanti conversazioni tra Sergio Bortotto (ministro dell'Interno dello Stato delle Venethie), Paolo Gallina (comandante della Municipale di Cornuda), Loris Palmerini (presidente del tribunale del popolo veneto) e Daniele Quaglia (portavoce del Life a Cornuda). Oltre a Giuliana Merotto, madre di Gallina e direttore del bimestrale Marcaperta che ha pubblicato i bandi di arruolamento della Polisia corredati del patrocinio della Provincia di Treviso guidata dal presidente leghista Leonardo Muraro.
I primi segnali dell'eversione risalgono al 20 agosto 2009. Alle 9.20 del mattino si attiva un cellulare intestato al Comune di Cornuda. Al telefono Gallina parla con lo zio che vuole sapere se il «lavoro» prosegue bene. «Sempre meglio» fa sapere il capo dei vigili. E aggiunge: «Fra un po' si cambia anche polizia, quindi meglio di così. Preparati a cambiare bandiera. Non sto scherzando: non sono mica da solo, Non parlo perché vado all'osteria. La cosa è molto più vasta». Il parente esprime perplessità per una strategia quanto meno azzardata, ma Gallina lo rimprovera: «Bisogna morire per i bambini, per le future generazioni, per dare la svolta e interrompere l'incubo di questa Italia di merda. Se tutti si tirano indietro i tuoi figli faranno una vita anche peggio della tua».
Per gli inquirenti è uno dei tanti tasselli del puzzle separatista dei paramilitari trevigiani. Un pezzo del mosaico eversivo che riporta anche momenti di involontaria comicità. Il 1 agosto 2009 mezzora di di conversazione tra Palmerini e Quaglia rivela grado e livello dell'organizzazione della rivolta anti-italiana. Emergono anche i primi dissidi tra il presidente del tribunale veneto e il "sindacalista" della Life. Al centro dello scontro un decreto che suona come una dichiarazione di guerra alla Repubblica con Roma capitale.
Palmerini è convinto che gli "sbirri" si siano spinti oltre i confini della legalità e anche del buon senso. Rilegge al telefono il documento predisposto dall'ala militare del gruppo. «Qualsiasi atto o azione posta in essere nel territorio dello Stato delle Venezie da stati, enti, organizzazioni straniere che comprometta la sovranità del popolo veneto, sarà considerato un atto di guerra». Poi chiede spiegazioni: «Ma cosa vuol dire stranieri?»
«Può essere un italiano, un austriaco o un ente greco...» risponde Quaglia.
Palmerini insiste. Vuole capire il senso di una «bomba» non solo verbale: «Intendi qualsiasi atto? Tu non puoi dichiarare guerra perché uno ha fatto una pisciata non autorizzata». Segue la replica piccata del portavoce del Life: «Ma sono loro che dichiarano guerra». Il contrasto tra i due appare insanabile «Ti rendi conto che qualsiasi atto vuol dire...un vigile che ti dà una multa, secondo quello che avete scritto. Non ti sembra un po' ridicolo?» obietta Palmerini.
Quaglia non si scompone: «Potrebbe essere un atto di oppressione fatto in un territorio...» A nulla serve il tentativo di Palmerini di riportare il lume della ragione nella Polisia: «Ma siete cretini? Capite cosa state dicendo? Se io pubblico questa cosa tu devi capire che se domani un tizio spara alle spalle a un poliziotto che gli ha dato una multa, è legittimato a farlo in quanto il poliziotto ha fatto un atto di guerra».
Nessun problema per Quaglia. L'importante è che «prima ci sia una comunicazione a tutte le autorità italiane che sono presenti sul territorio». Avverte Palmerini: «Sì ma se questa cosa viene fuori scoppiano le bombe subito. Le mettono gli italiani e dichiareranno che siete stati voi. E con questa scusa manderanno i carri armati!». Il 5 settembre presenterà le dimissioni dal gruppo. «Parlate sempre di guerra e di armi» accusa.
Altrettanto surreali erano sembrate le registrazioni del 31 luglio, quando il "ministro" Bortotto aveva contattato Giuliana Merotto per discutere la foggia delle uniformi per i «patrioti» del Veneto. Emerge l'inquietante edonismo degli eversori veneti preoccupati da modello, taglio e qualità delle divise dell'esercito di "Liberazione". «Stamattina siamo andati in una ditta e abbiamo trovato a 25 euro la camicia con tutti gli stemmi stampati sopra - racconta Bortotto - Potrebbe diventare il fornitore ufficiale, quindi ci farebbe ancora meno». E ancora: «Pantaloni neri e camicia grigia o bianca. Che ne dici?». «Bianca è delicata» avverte, da buona massaia, Merotto.
Seguono scambi di opinione sui modelli in voga. Per Bortotto l'ideale sarebbero fotocopie dei bobby londinesi «con l'aggiunta del bomber durante l'inverno».
Sembra la preparazione al Carnevale. Ma non si tratta di un ballo in maschera. Lo prova il verbale di intercettazione del 20 agosto 2009, quando Gallina riassume a Bortotto la conversazione con Mario Turchetto, vicesindaco di Cornuda, in buoni rapporti con un commerciante di Ponzano che vende buffetteria militare a buon prezzo.
Bortotto spiega: «Per i cinturoni operativi abbiamo trovato quelli a 9 euro, come quelli che avevo io in Calabria». Unico problema: «Le tute, a 33 euro l'una, sono di un blu un po' chiaro». Poco male: «Andiamo in lavanderia da Marco, le facciamo colorare di scuro e siamo a cavallo. Le facciamo come le tute di volo degli elicotteristi della polizia» precisa Bortotto
È un delirio senza limite: «Siamo già d'accordo: se domani avessimo l'Accademia ci fornisce tutto lui. Anche il lavaggio. Siamo andati a vedere su www.forzespeciali.it e lì ci sono i cinturoni coi buchi come quelli che avevo alla Celere»
Le intercettazioni della Digos proseguono per tutto agosto 2009. Così la questura di Treviso viene a sapere che il 6 settembre 2009 è previsto l'esordio in pubblico della Polisia veneta. In teoria si tratta solo di una sfilata in divisa durante una manifestazione pubblica a Cittadella, nel Padovano. Ma tra i polisiotti spunta la paura per il salto nella realtà. Risultato: Molti volontari si tirano indietro all'ultimo momento. Per primo abbandona il 23 enne Alex Cafra di Conegliano: «Mi hanno messo tutta la domenica a lavorare» si scusa con i "capi". Il giorno dopo molla un'altra recluta: un volontario trevigiano che fa sapere di avere «la nonna all'ospedale». Defezioni che colpiscono anche lo Stato maggiore della milizia secessionista. Perfino Bortotto tradisce perplessità per la prima operazione "in chiaro": «Vengo malvolentieri, solo per il gruppo, perché non credo in questa cosa qua».
il 1 agosto 2009 il «ministro degli Interni» aveva però creduto all'abolizione delle multe da parte del futuro governo veneto. L'aveva confidato a un simpatizzante rivelando anche il contenuto del decreto predisposto da Quaglia. «Avete fatto bene, porco cane» risponde l'altro polisiotto che definisce lo Stato italiano «quei quattro maiali».
Bortotto, galvanizzato, rincara la dose: «E' ora di finirla anche con le multe fatte da carabinieri, polizia. Non saranno più valide: tutte annullate. Illegali per legge».
Stessa storia per le tasse: «Non possono più pretendere soldi dal popolo veneto» sentenzia il capo della Polisia.
Il 15 settembre un simpatizzante telefona a Bortotto per chiedere se gli sconti sull'assicurazioni praticati alle polizia locali valgano anche per loro. «Faremo al più presto anche le nostre assicurazioni» promette il «ministro». Insieme alla garanzia di uno stipendio di 3 mila euro al mese.
Un mese prima la Digos aveva registrato la prova di piani di addestramento militare del gruppo. Il 16 agosto 2009 Bortotto e Gallina avevano discusso di un possibile poligono di tiro individuato nella zona del monte Cimon, vicino al rifugio Posa Puner a mezza strada tra Combai e Miane: «Dovremo fare delle squadre... speciali» suggerisce Bortotto. A Gallina viene da ridere: «Ma su una baita, Sergio?»