Perché l'inquisizione funziona ancora

intervista a Adriano Prosperi, a cura di Simonetta Fiori

in “la Repubblica” del 2 febbraio 2011 

Un dizionario di oltre 1300 voci racconta storia e meccanismi del tribunale. Il gruppo di studiosi che ha realizzato il lavoro è stato guidato da Adriano Prosperi. Quali sono i giudizi che contano nell´epoca di Internet? Dal "New York Times" a "The Observer" i giornali si interrogano 

 

Eresia. Bestemmia, Apostasia. Sollicitatio ad turpia. Poligamia. Da sempre l´Inquisizione scuote l´immaginario collettivo, nutrendone anche le forme letterarie più varie, tra orrore e fascinazione. Oggi il tribunale del Sant´Uffizio viene evocato soprattutto nel dibattito pubblico, in occasione del rogo di libri minacciato da alcune amministrazioni laiche ma anche riguardo alla occhiuta sorveglianza ecclesiastica sulla bioetica e sulla sessualità. Per chi voglia approfondire la conoscenza di questa potente macchina coercitiva, modello d´una memoria centralizzata che ha segnato la nostra storia nazionale, arriva ora il Dizionario storico dell´Inquisizione, pensato da un´équipe di specialisti per lettori non specialisti.

 

Un´opera edita dalla Scuola Normale che ha tratti di straordinarietà: per l´ampiezza delle voci (1.310), per il respiro internazionale dei contributi (da 12 paesi), per la generosità con cui massima parte degli studiosi vi ha lavorato (gratis), sotto la guida esperta di Adriano Prosperi supportato da Vincenzo Lavenia e John Tedeschi.
Il Dizionario colma anche un vuoto, dal momento che non esistevano strumenti analoghi, rigorosi e di facile accesso. «Era anche difficile farlo esistere prima del 1998», spiega Prosperi, autore del fondamentale Tribunali della coscienza. «Soltanto sul finire degli anni Novanta venne aperto l´ultimo archivio coperto da segreto, quello della Suprema Congregazione Romana del Sant´Uffizio dell´Inquisizione. Era stato Carlo Ginzburg a sollecitarlo in una lettera papa Wojtyla, che volle in questo modo dare il segno del distacco della Chiesa da un lungo passato di coercizione violenta in materia di fede».


Ma questa nuova stagione è davvero cominciata? Colpisce nello scritto introduttivo una curiosa parentesi: là dove si parla dell´abolizione dell´Inquisizione, Prosperi s´affretta a puntualizzare: "quando e se vi è stata". Vuol dire che esiste ancora? «Nel 1964 il vecchio tribunale del Sant´Uffizio è stato sostituito dalla Congregazione per Dottrina della Fede: un istituto che sin dal nome si dichiara a favore della dottrina, non contro qualcuno da perseguitare. Però la sede è la stessa, e anche l´archivio. E le materie esaminate sono molto simili. Nessuno oggi viene più bruciato per eresia, tuttavia il meccanismo che persegue le dottrine sbagliate - pensiamo alla bioetica o all´aborto - è rimasto lo stesso». C´è quindi una forte continuità? «Direi qualcosa di più, ossia l´idea che la Chiesa cattolica non possa rinunziare alla definizione centralizzata della verità, da cui discende il perseguimento di quel che viene ritenuto eresia. Anche la ritualità è rimasta integra. È stato papa Ratzinger a riproporre la tradizionale partecipazione del pontefice alla riunione della feria quinta del giovedì coram Sanctissimo».


Sono ancora profonde le tracce lasciate dai tribunali della fede nel costume degli italiani. «La nostra ignoranza religiosa è enorme rispetto ad altre culture», spiega lo studioso. «Fin dal XVI secolo, la lettura della Bibbia è stata perseguita e vietata: la sua interpretazione spettava soltanto al corpo ecclesiastico. Da noi la religione si conosce attraverso le norme del catechismo; non esiste come domanda, inquietudine, ricerca. Chi dubita è già sospetto. Machiavelli, vissuto prima dell´istituzione del Sant´Uffizio, diceva che gli italiani avevano nei confronti della Chiesa e dei preti il debito di essere diventati "sanza religione e cattivi": una buona sintesi per indicare gli effetti di lunga durata».


Può essere interessante scoprire la trama che collega lo studio dell´Inquisizione con i movimenti più profondi della società italiana. «Se il cinquantennio liberale dopo l´Unità fu stagione di ricerche importanti, il fascismo ha operato in senso opposto: la saldatura tra Chiesa e regime mise in sordina questo genere di studi. Nel lungo evo democristiano, gli studi su vescovi, parrocchie, moralità quotidiana sul modello di san Carlo Borromeo finirono per oscurare il tema, che ricomparve negli anni Novanta con l´apertura degli archivi. Un passo importante, che però la Chiesa ha dimostrato di far fatica a compiere, con molti ripensamenti».


Oggi nella comunità scientifica c´è anche chi inclina a tesi apologetiche. «Mi auguro che il Dizionario serva a riportare alla ragione alcuni studiosi anglosassoni che si affidano a definizioni grossolane. È affiorata di recente un´immagine dell´Inquisizione simile alla dieta mediterranea: un tribunale rigoroso, perfettamente funzionante, che non fa vittime oppure ne fa ma in misura infinitamente più bassa rispetto ai tribunali secolari. Il problema è la qualità del reato. Non si tratta di furti o di assassini, ma siamo davanti a reati di coscienza, di scelta intellettuale, di orientamento religioso».
Quali sono stati i problemi più rilevanti nel comporre le voci? «Uno dei problemi principali è stato quello di dare un nome agli inquisiti. Sappiamo moltissimo degli inquisitori ma non delle loro vittime: la macchina inquisitoriale ne prevedeva la cancellazione.

 

Io ho provato particolare soddisfazione quando ho potuto mettere il nome di Giuditta Ebrea. Fu bruciata come strega a Mantova al principio del Seicento. Di lei restano solo tre righe in una cronaca manoscritta. Manzoni parlava della lotta per strappare al tempo le sue vittime. Qui il tempo ha il volto di un´istituzione che si fondava sul controllo assoluto della memoria. Poter combattere in nome della memoria è sempre una bella partita».