La Chiesa cattolica si trova “in una situazione d’emergenza”, le vocazioni calano sensibilmente e presto potrebbero verificarsi drammatiche diserzioni nell’esercito del clero tedesco. Per questo è necessario che la Conferenza episcopale affronti “una urgente verifica e un’analisi differenziata della disciplina del celibato nella chiesa cattolico-romana in Germania e nel mondo intero”. È il febbraio del 1970: la posizione sul celibato è il punto-chiave di un memorandum che la presidenza della Conferenza ha commissionato a nove teologi sui problemi della fede.

Qualche giorno fa i cattolici militanti dell’AKR, Aktionkreis Regensburg (circolo d’azione di Ratisbona), ritrovano il documento negli archivi della Conferenza episcopale. Leggendolo, nessuno, in un primo momento, si stupisce più di tanto: da sempre in Germania fioriscono, nella chiesa cattolica, polemiche sul celibato. Ma i dirigenti dell’AKR fanno un salto sulla sedia quando, preparando la pubblicazione del memorandum sulla loro rivista Pipeline, mettono gli occhi sulle firme che figurano in calce. Dei nove nomi due sono molto noti: quelli di Karl Lehmann, il presidente che ha retto più a lungo di tutti le sorti della Conferenza episcopale (1987-2008), e di Walter Kasper, cardinale, capo del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità tra i cristiani, ascoltatissimo consigliere di Benedetto XVI. Ma di nome ce n’è un altro ed è una bomba: Joseph Ratzinger. Quarantuno anni fa il papa che oggi incarna lo spirito più conservatore del cattolicesimo, il difensore del rigore assoluto contro ogni “relativismo”, aduso a demonizzare le nequizie dello Zeitgeist, compresa l’educazione sessuale, consigliava “con tutto il rispetto” ai pastori della sua chiesa di chiedersi se il celibato dei preti avesse ancora un senso nel mondo moderno, se non fosse il caso di guardare alla chiesa orientale e ai più vicini fratelli evangelici, se non fosse arrivato il momento di ripercorrere la storia della dottrina cristiana, a cominciare dalla Lettera ai Galati di San Paolo, per cogliervi l’inesistenza del dogma del celibato. Si tratta di evitare – scrivevano Ratzinger e gli altri – che chi sceglie il sacerdozio oggi debba affrontare “solitudine” e “mancanza di identità del proprio ruolo” nella società attuale. Per questo, i pastori della chiesa hanno il compito di essere “quanto meno consiglieri attenti del Papa, pure se il loro consiglio non viene ascoltato volentieri”. Insomma, secondo i nove – papa attuale compreso – i vescovi tedeschi avrebbero dovuto far pressione sul papa di allora, Paolo VI, per indurlo a riflettere sulla inopportunità del celibato dei preti. Se fosse rimasto coerente con le posizioni di allora, Ratzinger, oggi, dovrebbe sentirsi impegnato a riflettere anche lui come pretendeva che facesse Paolo VI allora. Il suo “compagno di firma” Lehmann in qualche modo questa coerenza l’ha avuta, visto che in più occasioni ha sollevato, sia pur prudentemente, la questione del celibato. Una sensibilità condizionata fortemente dalla convivenza con la chiesa evangelica, ma anche dal rapporto con la base cattolica e da un sentire generale riflesso anche dalla politica: la cancelliera Merkel, evangelica, si è espressa a favore della possibilità di matrimonio per i preti cattolici e perfino la Cdu, interconfessionale ma a maggioranza cattolica, sostiene la stessa posizione.