San Raffaele, cassa vaticana

 

di Marco Politi

 

il Fatto Quotidiano” del 23 luglio 2011

 

Il cardinale Bertone ha messo il dito nellingranaggio del San Raffaele e ora rischia di vedersi stritolare il braccio e forse più. Perché se persino il prudente Corriere della Sera sente odore di fondi neri, tangenti, corruzione e bustarelle a non meglio individuati uomini politici, vuol dire che la conquista dellimpero di don Verzè, iniziata dalla Segreteria di Stato vaticana con piglio decisionista e addirittura con lambizione di fondare un polo cattolico” della sanità italiana (ma dove è scritto che questo faccia parte della missione della Santa Sede?), rischia di tramutarsi nella carica di cavalleria di Balaklava.

FORSE Oltretevere non se ne rendono conto. Ma dal 15 luglio 2011 gli affari oscuri del San Raffele non sono più questioni che riguardano il privato cittadino Luigi Verzè. Ora ricadono sotto la responsabilità diretta del Vaticano, che ha voluto nominare la maggioranza del cda della fondazione Tabor e ha imposto allo stesso Verzè di conferire al nuovo consiglio tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione” e più precisamente di affidarli al protetto del cardinale Bertone, il professore Giuseppe Profiti presidente dell’ospedale Bambin Gesù di proprietà vaticana e neo- vicepresidente del San Raffaele. Ieri, durante i funerali di Mario Cal, braccio destro di Verzè, il consiglio d’amministrazione è rimasto riunito per sette ore nel tentativo di acquisire una panoramica d’insieme dellaggrovigliata situazione economica del colosso raffaeliano e del suo reale stato patrimoniale. Tenuto conto che al nuovo management sono stati concessi appena cinquantacinque giorni prima della dichiarazione ufficiale di bancarotta.

Non si può dire che don Verzè, allindomani del suicidio di Cal, si sia mostrato all’altezza del momento. Ieri è venuto a rendergli omaggio nella camera ardente, ma nel necrologio dettato per il “carissimo Mario” ha pensato bene di scrivere che Cal si “gode” dal cielo i miracoli realizzati dal San Raffaele, mentre io poveretto (Verzè) lacrimando non posso dirti che grazie”.

 

E piuttosto poco. Cal si è ucciso disperato, perché in adorazione di don Verzè ha realizzato e coperto tutte le operazioni finanziarie più opache che hanno portato al crack di un miliardo. Come d’altronde a maggior gloria dellimpresa di Verzè era già stato arrestato nel 1994 con l’accusa di avere versato una tangente di trenta milioni di lire ai funzionari dell’Ufficio imposte. La sua ultima lettera alla moglie è chiarissima: “Cara Tina… non ce la faccio più. Ancora una volta ho pagato errori di altri. Tu sai che non ho colpa”.

 

PAROLE pesantissime per le quali Verzè non può credere che bastino lacrime. Serve una sua piena assunzione di responsabilità e soprattutto una piena collaborazione sia con gli inquirenti sia con le società che si occupano dell’analisi dei bilanci.

 

Non è la prima volta che preti-manager, anche geniali nel costruire opere, si sentono a tal punto investiti da Dio da ritenere che il fine giustifichi i mezzi. Il corpo di Mario Cal sta li a ricordare che le sbrasate tipiche di Verzè Quando mi impediscono di fare una cosa che Dio mi chiede, non c’è santo che tenga…” sono arrivate al capolinea. Bussa alla porta il rendiconto. E la parola “cristiano” in questi casi diventa bestemmia se non è accompagnata dalla verità. Tuttavia l’onere delle scelte strategiche è adesso in mano agli uomini voluti dal Vaticano e sul Vaticano si appunta ormai l’attenzione.

 

LA SITUAZIONE che si sta delineando è – nonostante tutto – piuttosto evidente. Da un lato stanno lo standard di eccellenza nella sanità e nella ricerca del San Raffaele, da tutti riconosciuto, e la piena libertà scientifica e di dibattito garantita nella sua università. Personalità come Cacciari, Boncinelli, Severino, Mancuso, De Monticelli, Giorello sono pronti a testimoniarlo.

 Dall’altro c’è tutto il reparto estero della fondazione San Raffaele – non si sa fino a che punto ancora controllato da Verzè le cui operazioni non sono state soltanto azzardate e rovinose, ma che nello spreco di soldi e nella documentazione opaca lasciano intravvedere forse la costituzione di fondi riservati che il prete-manager gestiva senza alcun controllo. E sintomatico che la società di certificazione di bilanci Bdo si sia fermata davanti al muro di una contabilità poco trasparente e che la società di consulting Deloitte abbia riscontrato una grave carenza di documentazione.

 

Siamo insomma – a quel che si capisce in presenza di bilanci volutamente confusi e comincia a diventare assolutamente riduttivo parlare dimegalomania” di Verzè, quando invece si profila una pericolosa spregiudicatezza. Ciò che sta emergendo è che molti introiti non venivano dalle prestazioni offerte dall’ospedale, ma dalla capacità di trovare finanziamenti anche pubblici sul filo del rasoio di prospettive e garanzie, rivelatesi senza fondamento.

 

LA REAZIONE piccata del governatore lombardo Formigoni all’accusa di non avere controllato a sufficienza (il nostro rapporto riguarda solo gli acquisti di prestazioni sanitarie da parte dei cittadini, non abbiamo poteri di controllo”) mostra che sul piano dei finanziamenti pubblici, anche da parte del ministero della Salute ed eventualmente da altre fonti, c’è molto da verificare.

 

E significativo che l’Unione europea, a quanto si dice, non ritenesse più possibile finanziare il San Raffaele per mancanza di trasparenza. Il nuovo cda ha promesso ierimassima trasparenza e collaborazione con l’autorità giudiziaria”. E esattamente ciò che si attende dagli uomini del Vaticano. L’Udc lombarda ha già chiesto una commissione d’inchiesta.

 

“Deus ex machina” della conquista o del salvataggio del San Raffaele, il cardinale Bertone è dinanzi a un bivio. Può salvare le eccellenze di clinica, ricerca e università solo a patto di fare massima pulizia e di portare risolutamente alla luce ogni eventuale irregolarità e illegalità. Regalare al pontificato ratzingeriano un altro incidente, per di più legato ad affari sporchi, sarebbe veramente troppo.