I miti sull’industria agricola

Vandana Shiva


www.aljazeera.com 10 ottobre 2012

L’agricoltura biologica è “l’unico modo per produrre cibo” senza danneggiare il pianeta e la salute delle persone.

I media sono stati improvvisamente inondati da storie che cercano di creare dubbi in merito all’agricoltura biologica. Questo per due motivi: primo, la gente viene nutrita dall’aggressione delle aziende a base di tossine e OGM; in secondo luogo, la gente sta passando all’agricoltura biologica e ad i suoi prodotti per porre fine alla guerra tossica contro la Terra ed i nostri organismi.

In un momento in cui l’industria ha messo gli occhi sui mega profitti ricavabili dai monopoli sulle sementi attraverso l’uso di semi brevettati e semi progettati con geni tossici e geni per rendere le colture resistenti agli erbicidi, la gente sta cercando la libertà alimentare attraverso il cibo non-industriale e biologico.

La rivoluzione alimentare è la più grande rivoluzione dei nostri tempi e l’industria sta andando nel panico. Quindi fa girare la propaganda, sperando che sulle orme di Goebbels, una bugia ripetuta un migliaio di volte si trasformi in verità. Ma per il cibo è diverso.

Siamo quello che mangiamo. Siamo i barometri di noi stessi. Le nostre fattorie ed i nostri organismi sono i nostri laboratori, ed ogni contadino e cittadino è uno scienziato che sa perfettamente quanto una cattiva alimentazione ed una cattiva agricoltura nuocciano al nostro terreno e alla nostra salute e quanto, invece, la buona agricoltura ed il buon cibo curi il pianeta ed i suoi abitanti.

Un esempio di uno dei miti sull’agricoltura industriale si può trovare nel pezzo di Rob Johnston The Great Organic Myths [“I Grandi miti Biologici” - ndt] pubblicato nel numero 8 di Agosto del The Tribune. Esso sostiene:

“Il cibo biologico non è più salutare o migliore per l’ambiente – ed è pieno di pesticidi. In un’era di cambiamenti climatici e scarsità, questi alimenti sono un’indulgenza che il mondo non può permettersi”.

Quest’articolo era stato pubblicato sul quotidiano Independent e confutato, ma è stato poi usato dal Tribune senza confutazione.
Ogni ragionamento dell’articolo è fraudolento.

Il mito dominante dell’agricoltura industriale è che essa produce più cibo risparmiando territorio. Tuttavia, più quest’industria si espande, più la gente viene affamata; e più si espande, più il terreno viene usurpato.

Il caso contro l’industria agricola

Nell’industria agricola, la produttività viene misurata in termini di “raccolto” per acro, non sul totale. L’unico fattore produttivo preso in considerazione è il lavoro, molto abbondante, al contrario della scarsità delle risorse naturali.

Un sistema agricolo che ha fame di risorse e distrugge le risorse non risparmia il territorio, lo pretende. Ecco perché l’agricoltura industriale sta portando ad un accaparramento massiccio del territorio in tutto il mondo. Sta causando la deforestazione delle foreste pluviali dell’Amazzonia per la soia e dell’Indonesia per l’olio di palma. Sta alimentando la presa di territorio in Africa, rimpiazzando contadini e pastori.

Secondo la Conferenza Tecnica Internazionale sulle Risorse Genetiche delle Piante in seno alla FAO, tenuta a Lipsia nel 1995, l’agricoltura industriale è responsabile dell’erosione del 75% della biodiversità, del 75% della distruzione delle risorse idriche, il 75% del degrado del territorio ed il 40% dei gas serra. È un fardello troppo pesante per il pianeta. Come mostrano i 270.000 suicidi di contadini indiani a partire dal 1997, è un fardello troppo pesante per i nostri agricoltori.

Le tossine ed i veleni usati nell’agricoltura chimica stanno creando un peso sulla salute della nostra società. Ricordiamo il Bhopal. Ricordiamo le vittime dell’Endosulfan di Kerala. Ricordiamo la serie di casi di cancro nel Punjab.

Il prossimo rapporto della Navdanya, “Veleno nei nostri cibi”, è una sintesi di tutti gli studi sugli effetti sulla salute dei pesticidi che vengono usati nell’agricoltura industriale, ma non in quella biologica.

L’agricoltura industriale è un sistema inefficiente e dispendioso ad uso intensivo di prodotti chimici, carburanti fossili e capitali economici. Distrugge, da un lato, il patrimonio naturale e, dall’altro, quello della società, rimpiazzando le piccole fattorie e danneggiando la salute. Secondo David Pimentel, professore di ecologia e scienze agricole presso la Cornell University, vengono usati 10 unità di energia in entrata per produrre un’unità di cibo in uscita.

Lo spreco aumenta esponenzialmente quando gli animali vengono messi in fattorie industriali e nutrite con frumento, invece che tramite il pascolo libero in sistemi ecologici. Rob Johnston saluta queste prigioni animali come efficienti, ignorando il fatto che ci vogliono 7 kg di frumento per produrne uno di carne di manzo, 4kg per produrne uno di carne di maiale e 2,4 kg per produrne uno di carne di pollo.

La tattica dell’uso del frumento è uno dei fattori che contribuiscono maggiormente alla fame nel mondo. Gli acri ombra che vengono usati per produrre questo frumento non vengono mai contati. L’Europa usa un’area 7 volte più grande dell’area esterna all’Europa per produrre mangime per le sue fattorie industriali.

Pur fornendo il 70% del cibo, le piccole fattorie stanno venendo distrutte in nome delle basse “rendite”. Circa l’88% degli alimenti viene consumato all’interno della stessa eco-regione o paese dove viene coltivato.

L’industrializzazione e la globalizzazione sono l’eccezione, non la norma. E là dove la prima non ha distrutto le piccole fattorie e le economie alimentari locali, la biodiversità porta sostentamento alla gente. La biodiversità dell’agricoltura viene mantenuta dai piccoli contadini.

Come riporta la ETC nel suo rapporto “Chi Ci Nutrirà”, “i contadini allevano 40 specie di bestiame circa 8.000 razze. Inoltre, coltivano 5.000 sementi domestiche ed hanno donato più di 1,9 milioni di varietà di piante alle banche genetiche mondiali”.

“Gli allevatori marini raccolgono e proteggono più di 15.000 specie d’acqua dolce. Il lavoro degli allevatori e dei pastori che preservano la fertilità del suolo è 18 volte più utile dei fertilizzanti sintetici forniti dalle sette maggiori corporative”.

Quando questo ricco sistema alimentare di biodiversità viene sostituito dalle monocolture industriali, quando il cibo viene mercificato, il risultato è la malnutrizione e la fame. Dei 6,6 miliardi della popolazione mondiale, 1 miliardo di persone non riceve abbastanza cibo; un altro miliardo a malapena ottiene abbastanza calorie ma una nutrizione insufficiente, specialmente per quanto riguarda i micro-nutrienti. Inoltre, 1,3 miliardi di persone obese soffrono di malnutrizione essendo condannati a consumare cibi trattati, ipercalorici, poveri di nutrienti ed artificialmente economici.

Metà della popolazione mondiale è vittima della fame strutturale e dell’ingiustizia alimentare del sistema dominante odierno. Abbiamo avuto la fame in passato, ma era causata da fattori esterni – guerre e disastri naturali. Era localizzata nel tempo e nello spazio.

La fame di oggi è di carattere permanente e globale. È una fame architettata. Ciò non significa che coloro che gestiscono i sistemi alimentari contemporanei abbiano l’intenzione di creare la fame. Significa che la creazione della fame è costruita nel disegno aziendale della produzione industriale e della distribuzione mondiale del cibo.

Una serie di rapporti dei media hanno avuto come oggetto un altro studio di una squadra guidata da Bravata, membro di rilievo del Stanford’s Centre for Health Policy, ed il Dr. Crystal Smith-Spangler, docente presso la scuola del Division of General Medical Disciplines e ricercatore fisico presso il VA Palo Alto Health Care System, il quale ha elaborato la meta-analisi più completa sino ad oggi nel quadro degli studi di comparazione tra gli alimenti biologici e quelli convenzionali. Non hanno prodotto delle prove schiaccianti per cui il cibo biologico sia più nutritivo o meno rischioso per la salute rispetto alle alternative convenzionali, sebbene il consumo di alimenti biologici può ridurre il rischio di esposizione ai pesticidi.

Questo studio difficilmente si merita il nome di “meta-analisi più completa”; i ricercatori hanno setacciato migliaia di documenti e ne hanno identificati 237 tra i più rilevanti per l’analisi. Questo fatto già mina il giudizio. La più grande meta-analisi sul cibo e l’agricoltura è stato prodotto dall’ONU, cioè la Valutazione Internazionale sulle Conoscenze Agricole, Scientifiche e Tecnologiche per lo Sviluppo (IAASTD).

Quattrocento scienziati di tutto il mondo hanno lavorato per quattro anni per analizzare tutte le pubblicazioni con diversi approcci sull’agricoltura ed hanno concluso che l’agricoltura chimico-industriale non è più un’opzione, solo la coltivazione ecologica è possibile.

Tuttavia la squadra di Stanford presenta il suo studio come il più completo e dichiara che l’agricoltura biologica non apporta benefici alla salute, anche se non sono stati fatti studi a lungo termine sugli effetti sulla salute nelle persone che consumano cibo biologico contro quelle che consumano alimenti convenzionalmente prodotti; la durata degli studi che interessavano esseri umani andava dai due giorni ai due anni. Due giorni non producono uno studio scientifico. Non si può misurare alcun impatto in uno studio di due soli giorni. Si tratta di scienza spazzatura che si atteggia a vera scienza.

Uno dei principi sui cui si basano l’alimentazione e la salute è che il nostro cibo è tanto salutare quanto il terreno in cui esso è cresciuto; ciò viene a mancare nel momento in cui il terreno viene impoverito dalle colture chimiche.

L’agricoltura chimico-industriale crea fame e malnutrizione privando le sementi dei loro nutrienti. Il cibo trattato industrialmente è una massa nutrizionalmente vuota, carica di prodotti chimici e tossine. Il nutrimento del cibo proviene dai nutrienti presenti nel terreno. L’agricoltura industriale, basata sulla mentalità dei fertilizzanti a base di azoto sintetico, il fosforo e potassio, porta alla distruzione dei micro-nutrienti vitali e delle tracce di altri elementi come magnesio, zinco, calcio e ferro.

David Thomas, un ex geologo, ora nutrizionista, ha scoperto che tra il 1940 ed il 1991 gli ortaggi hanno perso – in media – circa il 24% del loro magnesio, il 46% del loro calcio, il 27% di ferro e non meno del 76% di rame [cfr. David Thomas, "A study on the mineral depletion of the foods available to us as a nation over the period 1940 to 1991", Nutrition and Health, 2003; 17(2): 85-115].
Le carote hanno perso il 75% di calcio, il 46% di ferro ed il 75% di rame. Le patate hanno perso il 30% di magnesio, il 35% di calcio, il 45% di ferro ed il 47% di rame.
Per ottenere la stessa quantità di nutrizione, la gente dovrà mangiare molto più cibo. L’aumento dei “raccolti” di massa vuota non si traduce in un aumento della nutrizione. Infatti, sta conducendo alla malnutrizione.

Il rapporto IAASTD riconosce che, attraverso un approccio agro-biologico, “anche gli ecosistemi agricoli delle società più povere possono sfruttare le loro potenzialità tramite l’agricoltura biologica ed la gestione integrata degli animali nocivi per equiparare o addirittura andare oltre i raccolti prodotti con metodi convenzionali, ridurre la domanda per la conversione del terreno, ripristinare i servizi ecosistemici (in particolare quello idrico), ridurre l’uso ed il bisogno di fertilizzanti sintetici derivanti da combustibili fossili ed infine l’uso di pesanti insetticidi ed erbicidi”.

I nostri 25 anni di esperienza nella Navdanya ci mostrano che l’agricoltura ecologica e biologica è l’unico modo di produrre alimenti senza danneggiare il pianeta o la salute delle persone. Si tratta di una tendenza in crescita, a discapito delle tante storie pseudo-scientifiche che l’industria piazza nei media.

Vandana Shiva è una fisica, ecofemminista, filosofa, attivista ed autrice di più di 20 libri e 500 articoli. È la fondatrice della Research Foundation for Science, Technology and Ecology, ed ha indetto campagne per la biodiversità, la conservazione ed i diritti degli agricoltori – vincendo il Right Livelihood Award (Premio Nobel Alternativo) nel 1993.