La lettura sbagliata della crisi
di Luciano Gallino,
da La 
Repubblica 30-07-2012
Il 20 luglio la Camera ha approvato il “Patto fiscale”, trattato Ue che impone 
di ridurre il debito pubblico al 60% del Pil in vent’anni. Comporterà per 
l’Italia una riduzione del debito di una cinquantina di miliardi l’anno, dal 
2013 al 2032.
Una cifra mostruosa che lascia aperte due sole possibilità: o il patto non viene 
rispettato, o condanna il Paese a una generazione di povertà.
Approvando senza un minimo di discussione il testo la maggioranza parlamentare 
ha però fatto anche di peggio. Ha impresso il sigillo della massima istituzione 
della democrazia a una interpretazione del tutto errata della crisi iniziata nel 
2007. Quella della vulgata che vede le sue cause nell’eccesso di spesa dello 
Stato, soprattutto della spesa sociale. In realtà le cause della crisi sono da 
ricercarsi nel sistema finanziario, cosa di cui nessuno dubitava sino agli inizi 
del 2010. Da quel momento in poi ha avuto inizio l’operazione che un analista 
tedesco ha definito il più grande successo di relazioni pubbliche di tutti i 
tempi: la crisi nata dalle banche è stata mascherata da crisi del debito 
pubblico.
In sintesi la crisi è nata dal fatto che le banche Ue (come si continuano a 
chiamare, benché molte siano conglomerati finanziari formati da centinaia di 
società, tra le quali vi sono anche delle banche) sono gravate da una montagna 
di debiti e di crediti, di cui nessuno riesce a stabilire l’esatto ammontare né 
il rischio di insolvenza. Ciò avviene perché al pari delle consorelle Usa esse 
hanno creato, con l’aiuto dei governi e della legislazione, una gigantesca 
“finanza ombra”, un sistema finanziario parallelo i cui attivi e passivi non 
sono registrati in bilancio, per cui nessuno riesce a capire dove esattamente 
siano collocati né a misurarne il valore.
La finanza ombra è formata da varie entità che operano come banche senza 
esserlo. Molti sono fondi: monetari, speculativi, di investimento, immobiliari. 
Il maggior pilastro di essa sono però le società di scopo create dalle banche 
stesse, chiamate Veicoli di investimento strutturato (acronimo Siv) o Veicoli 
per scopi speciali (Spv) e simili. Il nome di veicoli è quanto mai appropriato, 
perché essi servono anzitutto a trasportare fuori bilancio i crediti concessi da 
una banca, in modo che essa possa immediatamente concederne altri per ricavarne 
un utile. Infatti, quando una banca concede un prestito, deve versare una quota 
a titolo di riserva alla banca centrale (la Bce per i paesi Ue). Accade però che 
se continua a concedere prestiti, ad un certo punto le mancano i capitali da 
versare come riserva. Ecco allora la grande trovata: i crediti vengono 
trasformati in un titolo commerciale, venduti in tale forma a un Siv creato 
dalla stessa banca, e tolti dal bilancio.
Con ciò la banca può ricominciare a concedere prestiti, oltre a incassare subito 
l’ammontare dei prestiti concessi, invece di aspettare anni come avviene ad 
esempio con un mutuo. Mediante tale dispositivo, riprodotto in centinaia di 
esemplari dalle maggiori banche Usa e Ue, spesso collocati in paradisi fiscali, 
esse hanno concesso a famiglie, imprese ed enti finanziari trilioni di dollari e 
di euro che le loro riserve, o il loro capitale proprio, non avrebbero mai 
permesso loro di concedere. Creando così rischi gravi per l’intero sistema 
finanziario.
I Siv o Spv presentano infatti vari inconvenienti. Anzitutto, mentre gestiscono 
decine di miliardi, comprando crediti dalle banche e rivendendoli in forma 
strutturata a investitori istituzionali, hanno una consistenza economica ed 
organizzativa irrisoria. Come notavano già nel 2006 due economisti americani, G. 
B. Gorton e N. S. Souleles, «i Spv sono essenzialmente società robot che non 
hanno dipendenti, non prendono decisioni economiche di rilievo, né hanno una 
collocazione fisica». Uno dei casi esemplari citati nella letteratura sulla 
finanza ombra è il Rhineland Funding, un Spv creato dalla banca tedesca IKB, che 
nel 2007 aveva un capitale proprio di 500 (cinquecento) dollari e gestiva un 
portafoglio di crediti cartolarizzati di 13 miliardi di euro.
L’esilità strutturale dei Siv o Spv comporta che la separazione categorica tra 
responsabilità della banca sponsor, che dovrebbe essere totale, sia in realtà 
insostenibile. A ciò si aggiunge il problema della disparità dei periodi di 
scadenza dei titoli comprati dalla banca sponsor e di quelli emessi dal veicolo 
per finanziare l’acquisto. Se i primi, per dire, hanno una scadenza media di 5 
anni, ed i secondi una di 60 giorni, il veicolo interessato deve infallibilmente 
rinnovare i prestiti contratti, cioè i titoli emessi, per trenta volte di 
seguito. In gran numero di casi, dal 2007 in poi, tale acrobazia non è riuscita, 
ed i debiti di miliardi dei Siv sono risaliti con estrema rapidità alle banche 
sponsor.
La finanza ombra è stata una delle cause determinanti della crisi finanziaria 
esplosa nel 2007. In Usa essa è discussa e studiata fin dall’estate di 
quell’anno. Nella Ue sembrano essersi svegliati pochi mesi fa. Un rapporto del 
Financial Stability Board dell’ottobre 2011 stimava la sua consistenza nel 2010 
in 60 trilioni di dollari, di cui circa 25 in Usa e altrettanti in cinque paesi 
europei: Francia, Germania, Italia, Olanda e Spagna. La cifra si suppone 
corrisponda alla metà di tutti gli
attivi dell’eurozona. Il rapporto, arditamente, raccomandava di mappare i 
differenti tipi di intermediari finanziari che non sono banche. Un green paper 
della Commissione europea del marzo 2012 precisa che si stanno esaminando regole 
di consolidamento delle entità della finanza ombra in modo da assoggettarle alle 
regole dell’accordo interbancario Basilea 3 (portare in bilancio i capitali 
delle banche che ora non vi figurano).
A metà giugno il ministro italiano dell’Economia – cioè Mario Monti - commentava 
il green paper: «È importante condurre una riflessione sugli effetti generali 
dei vari tipi di regolazione attraverso settori e mercati e delle loro 
potenziali conseguenze inattese». Sono passati cinque anni dallo scoppio della 
crisi. Nella sua genesi le banche europee hanno avuto un ruolo di primissimo 
piano a causa delle acrobazie finanziarie in cui si sono impegnate, emulando e 
in certi casi superando quelle americane. Ogni tanto qualche acrobata cade 
rovinosamente a terra; tra gli ultimi, come noto, vi sono state grandi banche 
spagnole.
Frattanto in pochi mesi i governi europei hanno tagliato pensioni, salari, fondi 
per l’istruzione e la sanità, personale della PA, adducendo a motivo 
l’inaridimento dei bilanci pubblici. Che è reale, ma è dovuto principalmente ai 
4 trilioni di euro spesi o impegnati nella Ue al fine di salvare gli enti 
finanziari: parola di José Manuel Barroso. Per contro, in tema di riforma del 
sistema finanziario essi si limitano a raccomandare, esaminare e riflettere. Tra 
l’errore della diagnosi, i rimedi peggiori del male e l’inanità della politica, 
l’uscita dalla crisi rimane lontana.