Peccato e perdono

 

di Piero Stefani

 

inil pensiero della settimana” n. 381 del 7 aprile 2012

 

Pasqua 2012

 

«A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che ho anchio ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor  15,3-5). In uno degli scritti più antichi della fede cristiana, si trova un rimando a qualcosa di ancora precedente: Paolo trasmette quello che lui stesso aveva ricevuto.

 

Fin dallinizio si  afferma che Gesù morì per i nostri peccati, ma noi non sappiamo più come riempire di contenuti questa formulazione. La giusta caduta di una concezione puramente sacrificale-espiatoria-riparativa collegata alla croce (Ge con la sua morte ha pagato il prezzo del nostro riscatto attraverso unespiazione vicaria) ha lasciato dietro di sé il vuoto. Sappiamo riempirlo in termini di solidarietà, resta non colmato in riferimento al peccato. Il peso ossessionante posto sul peccato in secoli di esposizione catechistica si è dissolto senza lasciare eredi. Nelle nostre società e in noi stessi domina il senso psicologico di colpa e latita quello teologico di peccato. Forse anche per questo è difficile vivere con intensità il «triduo pasquale».

Gli stessi Vangeli non indicano una sola via per la remissione dei peccati. Ogni volta che recitiamo il Padre nostro chiediamo che ci siano rimessi i peccati in riferimento al nostro modo di rapportarci agli altri senza alcun richiamo alla croce. Allinizio della sua vita pubblica, Ge risana per dimostrare che il Figlio delluomo ha il potere di perdonare i peccati  sulla  terra  (Mc  2,4-12  )  senza  compiere alcuna  allusione  alla  propria  morte. Nellinno (anchesso prepaolino) contenuto nella lettera ai Filippesi ci si sprofonda nel mistero della croce parlando di obbedienza, ma tacendo ogni riferimento al peccato (Fil 2,5-11). Fin dallinizio la fede non volle parlare una sola lingua.

Non sappiamo più bene cosa sia il peccato, ma siamo consapevoli di aver bisogno di perdono. Forse il segreto sta qui. La fede è la certezza che Dio ci perdona a prescindere dalle vie in cui giunge a farlo.

Venanzio Reali, il frate cappuccino poeta, scrisse sul letto di morte alcuni  frammenti posti sotto il titolo di Paglie. Uno di essi si intitola Carico

 

Mio Dio

sono pieno di peccati come un carro di fieno

di un tempo.

Ma so che basta

Una goccia del tuo sudore per tutto incenerire

Quel chè mio.

 

Nellimmagine campestre di un carro stracolmo di fieno odoroso è già detta la speranza che il  peccato  possa  venir  trasformato  in  qualcosaltro,  che  il  bruciare  quel  che  è  mio  (il peccato) non annichilisca tutto, ma riveli quello che di «tuo» cè già oggi in me.