Peccato e perdono. Un approfondimento

 

di Enrico Peyretti

 

del 7 aprile 2012

 

Provo (a rischio di imprecisione) a proseguire lo stimolante suggerimento di Piero Stefani.

"Gesù mo per i nostri peccati" significa 1) "a causa dei nostri peccati", oppure 2) "per ripagare con la sua morte un prezzo adeguato all'offesa da noi inflitta a Dio coi nostri peccati"?

Sempre meno il senso cristiano accetta la seconda spiegazione (di lunga tradizione), per cui un meschino dio si fa ripagare l'offesa infinita dei nostri miseri peccati con la vendetta sul figlio uomo- dio, unica vittima adeguata alla infinita dignità dell'offeso.

Invece, Gesù è morto "a causa dei nostri peccati" perché il mondo, sia il popolo sia i potenti, lo ha rifiutato e condannato, e noi, coi nostri peccati, siamo corresponsabili di questo mondo che lo rifiuta.

Ma Gesù ci perdonava anche prima di morire, anche senza morire. Chi ci perdona e risana non è la sua macellazione religiosa sacrificale, ma la sua presenza santa nella nostra carne umana, la sua vita che risponde al male con il bene. Anche se fosse morto nel suo letto, Gesù, il santo, sarebbe il redentore della nostra umanità con la sua santa umanità. Ci salva il suo Spirito infuso da lui in noi.

Il bene, l'amore coraggioso, e non la morte sacra, tolgono il male. Gesù ha accettato quella morte per non tirarsi indietro, nello scontro fattosi estremo, che avrebbe evitato, se ascoltato. La sua croce è stata "necessaria" di fatto, a posteriori, non in assoluto. Il bene salvatore è il suo amore fedele e coraggioso, non la sua morte, se non come segno di un amore così grande. Ora per noi la croce è questo segno. Dio non ha voluto l'assassinio di Gesù, altrimenti dovremmo disprezzarlo.

Se proviamo a pensare così, non possiamo più pensare la violenza sacra che la dottrina sacrificale attribuisce a Dio e perciò ai suoi "fedeli" autorizzati al "malicidio", e a fare vittime in suo onore.

E dovremmo smettere di chiamare "sacrificio" soddisfatorio la memoria di Gesù nella Cena in cui si è dato a tutti per amarci "fino in fondo", ponendo fine a tutti i sacrifici religiosi e vittime sacre, con una vita così viva fin dentro la morte da romperne il potere.