NON C'È PIÙ (QUELLA) RELIGIONE,

Enrico Peyretti

il foglio 28-03-2012,

Che cosa sta cambiando nella religione in Italia? Queste sono modeste osservazioni personali,

spontanee,  e molte sono raccolte da varie fonti.

Il cristianesimo-cattolicesimo ha largamente congelato la profezia conciliare. Peraltro, nella vita

personale e di base dei credenti, pare di vedere alcuni fatti nuovi, positivi e importanti.

La fede dei credenti non è più quella. Era una dogmatica quadrata, geometrica. Tutto era ben

definito: o tutto o niente, dall'esistenza di Dio al non criticare i preti. Così era ufficialmente. Diceva

Carlo Carlevaris qualche anno fa: «Il “deposito” della fede, quando ero giovane, mi riempiva un

pesante zaino. Ora mi sta tutta in un taschino». Sono successe delle cose: il Concilio ha avuto il suo

maggiore risultato nel fatto che in chiesa si può parlare, discutere. La fede è pensata: anche laici e

laiche studiano teologia, leggono la Bibbia, e non invano. C'è stata la contestazione, ma anche i

fedeli più tranquilli e moderati non sono più pecorelle del gregge come un tempo.

Naturalmente, la capacità di pensare c'era, in molti: ricordo la Fuci dei primi anni 50, dove

l'assistente, il canonico Gosso, parlava di  «tumefazione vaticana»  della chiesa. Ma la comunità era

un impero spirituale, diviso tra comandanti e comandati, sacri e profani. Ci restavi perché avevi

capito nella fede chi è Gesù. Perché insegnamenti ed esempi di bontà ne trovavi. Ma quanti

scappavano, o rimanevano solo per convenzione sociale!

La fede

Le fede, in questi decenni, è diventata piuttosto una sincera e interiore apertura di fiducia

fondamentale. Più assai che una  “dottrina” certa e rassicurante, ora è un atteggiamento interiore di

fiducia in Dio rivelatosi in Cristo. Con tutti i difetti e le incoerenze, essere credenti oggi è questo. Non è mica la stessa cosa!

Certo, questo modo di credere ci viene dalla lunga tradizione della chiesa, e dobbiamo essere grati a

secoli e sistemi cristiani, che non sono più i nostri, ma ci hanno trasmesso la fede formulandola in

espressioni che la rendono, o la rendevano. Senza dubbio. Anche ai nostri genitori siamo

immensamente grati, pur differenziandoci da loro, a volte in cose importanti.

L'accento centrale si è spostato dall'ortodossia (dottrina corretta) all'ortoprassi evangelica (cioè

l'agire buono e retto: la carità, la giustizia nella vita pratica, nelle relazioni vissute). Anche nella

vecchia religione ciò che contava era la vita quotidiana nella carità, ma eri nella chiesa più col

sottoscrivere un credo che col vivere una fede nell'amore. Oggi si sa che la vita di amore va ben al

di là dei piccoli confini visibili della chiesa. «Il bene è più della fede», dice il vecchio prete nel film

di Olmi, Il villaggio di cartone.

Cristianità e secolarizzazione

La chiesa combaciava con la società, (“cristiani” era sinonimo di esseri umani, opposto ad animali),

o meglio ci si illudeva che combaciasse, ma l'immagine ufficiale era quella: un “regime di

cristianità”. Le leggi civili dovevano ricalcare quelle religiose cattoliche. La chiesa, salvo disaccordi

da riparare (Concordati con qualunque regime vigente), era una delle due teste della società, e

doveva andare d'accordo con l'altra, accettando ingiustizie sociali e godendo privilegi in cambio di

benedizioni, anche alle armi e alle guerre.

La secolarizzazione della società ha cambiato questo rapporto, o meglio ha rivelato la verità

sottostante. La chiesa dei credenti è solo una parte della società (sale, lievito), una delle idee della

vita presenti nella società.

Chiesa unica e plurale

Intanto, tra le varie famiglie dell'unica chiesa di Cristo, lacerate da divisioni e condanne totali (epersino guerre), è avvenuta una conversione davvero evangelica,  ancora in corso. Grazie a Dio, le

diverse chiese sono largamente passate  dall'autosufficienza (ognuna più delle altre e senza le altre è nella verità) verso la sorellanza ecumenica, ognuna col bisogno delle altre, per completare il volto di Cristo, ricucire la sua tunica. Esperienze recenti di condivisione dell'eucaristia superano le

tradizionali guerre teologiche sull'interpretazione della Cena: «Fate questo in memoria di me», non

dividetevi nel momento principale.

Ciò avviene più ancora nella base che nei vertici, ma avviene davvero. Ovviamente con ritardi, resistenze, anche contrasti forti.

Il primato dell'amore

Nella vita morale, nel piano personale e quotidiano di ciascuno nel cercare di vivere il vangelo, c'è

stata una evoluzione (con alti e bassi, e differenze, ovvio)  da una morale legalistica al primato della

giustizia e dell'amore universali. Gesù non ha abolito i comandi della legge, che sono aiuti a

dirigere la nostra vita nel bene, evitando deragliamenti, ma li ha completati e ricapitolati nel suo

“nuovo” comandamento: amate tutti, fino ai nemici, come vi ama il Padre, come io vi ho amato.

Questa regola di vita è “nuova” non perché recente, ultima trovata, ma perché è “di qualità tutta

nuova”: essa supera in grandezza e bellezza di vita la tradizione di tutte le civiltà, anche

dell'ebraismo, che sempre tendono a discriminare amici e nemici nell'amore e nella giustizia: ci

amiamo tra noi, ma non gli estranei, differenti, barbari, inferiori, atei, peccatori, sfruttatori, nemici

politici e nazionali.

Popolo sacerdotale

Importante è anche il mutamento che riguarda il momento essenziale della vita spirituale ecclesiale:

la liturgia è cambiata, da riserva supersacrale, quasi esclusivamente sacerdotale, alla maggiore

partecipazione popolare (riforma liturgica conciliare), verso una maggiore comprensione del

sacerdozio comune, della liturgia come atto del popolo sacerdotale, della corresponsabilità di tutti

nella chiesa, nella teologia e nella missione. Ci sono dure reazioni di quella religiosità che chiude

Dio nel sacro separato, fuori dalla vita, ma il fenomeno non sarà fermato, anche perché è

essenzialmente evangelico, è ciò che ha fatto Gesù, rivoluzionando (causa della sua condanna) la

religione del tempio, della purità, della legge: «Viene un'ora, ed è adesso, che i veri adoratori

adoreranno il Padre in Spirito e verità» (Giovanni 4, 23). Cioè, il vero culto sarà opera dello Spirito

di Dio che vive in noi, e non delle nostre arti e tecniche religiose; e sarà «non con le parole e con la

lingua, ma con le opere e nella verità» (1 Giovanni 3,18). «Il vostro culto spirituale sono i vostri

corpi [cioè la vita reale] offerti come in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio» (cfr Romani 12, 1).

Dio è cambiato

Tutto ciò sta attorno ad un punto centrale: è cambiata l'immagine di Dio. O si soppianta il vecchio

Dio con le spiegazioni scientifiche (ma era solo il dio architetto), o lo si  licenzia accusandolo del

male del mondo; oppure Dio è cambiato: era il  padrone di tutto, onnipotente, giudice infallibile e

inflessibile, oggetto di paura, capace di mandare all'inferno eterno, un faraone tale che vuole il

sacrificio cruento del suo unico prezioso perfetto Figlio (dopo lo farà risorgere) per placare la

propria ira contro l'umanità; e ora è diventato il Padre di Gesù e nostro, che i vangeli annunciano

soprattutto come vita di misericordia e amore paterno, fraterno, intimo. Dio non è più un sommo

Bene e sommo Potere, ma è lo Spirito santo, effuso nei cuori che lo accolgono, e anche in altri che

non lo conoscono, ma hanno volontà buona. È cambiato Dio: mica poco. Al confronto, le statistiche

contano molto meno.

Sono segnali più che positivi, nella vita religiosa comune, semplice, e assai meno nei palazzi e loro

paraggi. La decadenza dell'istituzione religiosa nel potere e nel prestigio sociale mette paura ai

pavidi quanto ai numeri, alla diminuita quantità di fedeli (salvo facili e soddisfacenti raduni di

massa), quanto alla precaria continuità della trasmissione della fede da una generazione all'altra, ma è possibile non aver paura quanto alla genuinità della fede, che probabilmente si purifica e si

approfondisce. Speriamo.