NONè del tutto chiaro come mai Monti, che 
						tanto ha insistito sullo sguardo lungo e l' Europa, 
						abbia deciso di frenare lo scatto iniziale. Per dire d' 
						un tratto ai tedeschi, in un' intervista alla Welt dell' 
						11 gennaio: «Gli Stati Uniti d' Europa non li avremo 
						mai. Non foss' altro perché non ne abbiamo bisogno». F 
						orse è la prudenza a produrre un' affermazione così 
						perentoria, che chiude orizzonti possibili. La battaglia 
						contro gli egoismi di Berlino reclama compromessi. Forse 
						è quella deferenza che lui stesso aveva stigmatizzato, 
						il 26 giugno sul Financial Times: una sorta di virus che 
						affligge i capi europei quando si compiacciono di sé per 
						custodire apparenti sovranità. Nell' immediato e a casa 
						i governi ne profittano - il potere degli esecutivi 
						aumenta - ma in Europa quel che accampano è un diritto 
						all' impotenza. O forse Monti non è un federalista, cosa 
						senz' altro legittima se al diniego non aggiungesse la 
						glossa un po' stupefacente: della federazione «non c' è 
						bisogno». Non ce n' è bisogno, spiega, perché l' utopia 
						di Ventotene è già realizzata, grazie alla sussidiarietà 
						(quel che gli Stati non sanno fare da soli è delegato 
						all' Unione sovranazionale, e viceversa). La 
						sussidiarietà tuttavia dà risultati negli Stati 
						compiutamente federali, non nell' Europa di oggi: se uno 
						Stato affida incarichi a un' Unione senza statualità e 
						di continuo paralizzata da 27 governi con diritto di 
						veto, quando mai l' impresa funzionerà? Monti dice che 
						il rimedio già c' è, ma nega la necessità dei mezzi per 
						renderlo operante. Giunge addirittura ad annunciare che 
						non ci saranno mai: per un Premier che nell' Unione è 
						tra i più europeisti, e col coraggio dell' impolitico 
						sta reinventando la politica, presumere con certezza un 
						futuro ignoto è scommessa quantomeno azzardata. Quel che 
						è stupefacente, è l' ora storica in cui il federalismo 
						viene sconfessato. I tempi bui sono sempre momenti di 
						verità, e la verità la vediamo: l' alternativa alla 
						federazione è una confederazione, che esclude un governo 
						politico europeo, che dà il primato a finti Stati 
						sovrani - limitandosi a migliorare coordinamento e 
						reciproca sorveglianza - e che sta franando penosamente. 
						La sorveglianza fa dell' Europa un panopticon, un 
						Controllore: non prelude a un' azione comune, e di 
						conseguenza non presuppone nuove competenze attive, non 
						solo ispettive, degli organi sovranazionali 
						(Commissione, Parlamento europeo). Non implica neppure 
						la tutela delle democrazie: la prevalenza della 
						concertazione economica, in nome dell' euro, aiuta 
						paradossalmente gli autoritarismi- quello di Berlusconi 
						ieri, quello ungherese oggi - a sopravvivere. Non così 
						prima dell' euro: le terribili crisi dei cambi sempre 
						provocavano cadute di governi. Non vorremmo che l' euro 
						divenisse il garante di una Europa fondata sul doppio 
						sacrificio del welfare e della democrazia. Ernesto Rossi 
						scriveva sin dal ' 52: «Federazioneè l' arrosto; 
						Confederazione è soltanto il fumo dell' arrosto. Coloro 
						che dicono di volere un' unione confederale, in verità 
						non vogliono niente; vogliono lasciare le cose come 
						stanno, perché non sono disposti ad accettare alcuna 
						limitazione delle sovranità nazionali». Il nome che 
						Monti dà alla confederazione, denunciando il duopolio 
						francotedesco, è «un' Europa dai molti centri (tra cui 
						l' Italia)». L' arrosto ancora non c' è. C' è il fumo 
						che avvolge i brancolanti superstiti degli 
						Stati-nazione, consegnandoli alle furie dei mercati. La 
						tesi di Monti è la seguente: alcune economie europee 
						vacillano, ma non l' euro. Basta dunque che ci si 
						coordini meglio, e la solidarietà verrà. In parte il 
						ragionamento tiene: oppressi dalla crisi, gli europei 
						hanno sempre finito col fare qualche progresso, tanto 
						grande in tutti è la paura dello sfascio. Quel che tiene 
						di meno è l' analisi della crisi: venendo dagli Usa, 
						essa «non è in alcun modo legata a un difetto del 
						modello europeo (...) In Europa questa crisi non sarebbe 
						mai potuta succedere. L' Europa è virtualmente in ottima 
						posizione». Anche qui, la sicurezza è tanta. Sia l' 
						Europa sia l' euro sono nati con imperfezioni gravi. La 
						Banca custode della moneta è federale, ma ha le mani 
						spesso legate (Monti l' ha detto a chiare lettere, ieri 
						sul Financial Times ). Le manca il rapporto dialettico 
						con un governo egualmente sovranazionale, che le 
						consenta di divenire prestatore di ultima istanza, come 
						negli Usa, condividendo i rischi con il potere politico. 
						Questi non sono piccoli, ma grandissimi difetti di 
						costruzione. Lo pensarono coloro che sin dall' inizio 
						ammonirono contro l' «euro senza Stato». Lo afferma un 
						rapporto sulla moneta unica, appena pubblicato per il 
						Peterson Institute for International Economics: 
						«Crediamo che la crisi europea sia politica, e in larga 
						misura di presentazione », scrivono Fred Bergsten e 
						Jacob Funk Kirkegaard. I due economisti americani 
						appoggiano l' euro e l' unione fiscale decisa il 9 
						dicembre, ma aggiungono: «Fin dalla sua creazione negli 
						anni ' 90, quel che è mancato nella moneta unica sono le 
						istituzioni cruciali per assicurare il ripristino della 
						stabilità finanziaria in tempi di incertezza acuta e di 
						volatilità del mercato. Per questo il compito dei leader 
						dell' eurozona va ben oltre i salvataggi (...) Essi 
						devono riscrivere le regole dell' eurozona e completare 
						una casa fatta solo a metà. Devono combinare misure 
						finanziarie creative, per risolvere la crisi immediata, 
						con un' ondata di nuove istituzioni». Il federalismo non 
						è subito attuabile, ma come orizzonte resta: «La 
						maggiore sfida consiste nell' usare l' opportunità 
						politica offerta dalla crisi per creare le basilari 
						istituzioni (comuni), e completare nel lungo termine la 
						casa lasciataa metà». Questo comporta, per Bergsten e 
						Kirkegaard (anche per i federalisti europei), «revisioni 
						aggiuntive e sostanziali dei trattati e delle 
						istituzioni». L' Europa va ripensata sapendo che la via 
						multicentrica-confederale non funziona. Quale via 
						davvero alternativa tentare, se non quella federale? Se 
						il difetto di costruzione è l' euro senza Stato, lo 
						stesso vale per le misure di rigore nazionali: anch' 
						esse difettose, perché non compensate da un' Europa 
						politica che generi crescita comune quando gli Stati non 
						possono farlo. Domenica, su La Stampa, Enzo Bianchi ha 
						detto una cosa illuminante: «Mi chiedo se uno dei motivi 
						della progressiva disaffezione verso l' Europa non abbia 
						anche a che fare con il fatto che non paghiamo 
						direttamente alcuna tassa per il fatto di essere 
						cittadini europei: cosa ho a che fare con quest' entità 
						superiore che non ha una cassa comune alla quale io 
						contribuisco? Si è infatti disposti a pagare di tasca 
						propria solo per una realtà che ci supera ma che 
						sentiamo nostra». Pagare un po' meno tasse agli Stati e 
						un po' più tasse all' Europa, perché essa abbia un 
						bilancio forte e investa in una crescita diversa 
						(energie alternative, ricerca, trasporti, difesa, 
						politiche mediterranee indipendenti dagli Usa). Questo è 
						spendere meno e meglio, e dare una prospettiva al nostro 
						mondo divenuto angosciosamente bidimensionale. Molti 
						ritengono che l' Europa federale abbia perso senso, ora 
						che non è più questione di pace e guerra. Ma non meno 
						drammatiche sono le crisi d' oggi: il welfare 
						rattrappito, l' ineguaglianza, la miseria (dalla 
						primavera scorsa negli ospedali greci mancano medicine). 
						Per chi suona la campana della solidarietà, degli 
						eurobond, dei debiti sovrani smorzati in comune, se non 
						per noi che paghiamo il prezzo dell' Europa incompiuta? 
						Non rischiamo più guerre fra Stati, ma il movente degli 
						anni ' 40 rimane. L' Europa non si edifica per creare il 
						Bene (l' Identità e la Prosperità, secondo Monti): del 
						Bene ognuno ha una sua idea, personale o identitaria. L' 
						Europa serve per scongiurare insieme le sciagure: ieri 
						la guerra, oggi la contrazione economica, la povertà, il 
						clima, le possibili guerre civili. Compito nostro è 
						evitare che naufraghi come la nave Concordia, con tutti 
						i comandanti che fuggono per salvare solo se stessi, 
						alla maniera del capitano Schettino, dopo aver condotto 
						il bastimento alla rovina.
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