Padania senza padani

 

di Ilvo Diamanti

 

 la Repubblica” del 27 febbraio 2013

 

Le elezioni appena svolte hanno cambiato l’Italia. O meglio: hanno fatto emergere – esplodere – cambiamenti latenti e profondi, ma ancora inespressi e invisibili.

In particolare, sembrano essersi consumate — fino a spezzarsi le fedeltà politiche territoriali. Tutti i principali partiti della Seconda repubblica hanno, infatti, perduto consensi in alcune fra le aree dove erano più forti e radicati. Il Pd, come mostra la mappa delle variazioni di voto rispetto alle elezioni del 2008, ha subito un’erosione sensibile in tutta la “zona rossa”. In misura particolare nelle province adriatiche (le Marche). Ma anche in Basilicata, in Sardegna, in Puglia: dove si era consolidato negli ultimi dieci anni. In aree particolarmente colpite dalla crisi economica e dalla disoccupazione. Lo stesso centrodestra ha visto calare più che altrove la propria base elettorale nel Nord e in Sicilia. Cioè: dove è sorta e si è sviluppata lavventura politica di Silvio Berlusconi, fin dal 1994.

Ma il caso esemplare, maggiormente indicativo dello sradicamento” avvenuto in queste elezioni è certamente offerto dalla Lega Nord. Cresciuta nella “zona bianca” del Nord-Est e della Pedemontana lombarda, dove aveva incalzato e sostituito” la Democrazia cristiana, negli anni Novanta. La Lega: ha fondato la sua identità e la sua proposta politica proprio sul rapporto con il territorio. Ne ha fatto un marchio, una bandiera, ma anche un modello organizzativo. La Lega: ha inventato la Padania. La patria del Nord produttivo opposto allo Stato centralista dei partiti e dei poteri romani”. Ha lanciato il progetto federalista, alternato, a seconda delle stagioni, alle iniziative separatiste, variamente denominate: fra secessione e devoluzione. La Lega: come i tradizionali

partiti di massa, ha una struttura di sezioni e di volontari diffusa sul territorio. La Lega: in queste elezioni ha subito un profondo arretramento. In misura forse superiore a ogni altro partito. Sul proprio stesso terreno. Rispetto al 2008, infatti, ha più che dimezzato la sua base elettorale: dall’8,3 per cento è scesa al 4,1. In particolare, in Lombardia si è ridotta quasi a metà: dal 21,6 per cento al 12,9. In Veneto dal 27,1 al 10,5. In Piemonte dal 12,6 al 4,8. Insomma: si è ristretta a quasi un terzo in cinque anni. Ma il calo appare ancor più forte se si considerano le Regionali del 2010, quando la Lega ha conquistato la presidenza del Veneto e del Piemonte.

Tra le cause dellimprovviso smottamento della base territoriale dei principali partiti della Seconda repubblica c’è, sicuramente, il successo del Movimento 5 Stelle. Tanto dirompente da aver catturato elettori da tutte le direzioni. Impossibile, altrimenti, conquistare il consenso di un quarto dei votanti, alla prima occasione.

Il M5S ha, comunque, modificato profondamente il retroterra territoriale” del voto, nel nostro Paese. Anzitutto perché ha un’organizzazione (e un’identità) meta-territoriale. Che si sviluppa attraverso la Rete. Poi, perché presenta una geografia elettorale indubbiamente nazionale”. Più di ogni altro partito. Senza concentrazioni di voto né zone di debolezza. Se facciamo riferimento al voto per il Senato, il M5S ottiene un risultato compreso fra il 25 e il 30 per cento in dieci regioni su diciannove. In altre sette supera il 20 per cento. Infine, si attesta intorno al 15 per cento in Trentino e in Lombardia (17%). È, dunque, un partito nazionale” che ha intercettato e canalizzato diverse domande, diverse esperienze, diversi sentimenti. Compresa una componente, molto ampia, di elettori critici contro i partiti e la classe politica. E insoddisfatti contro le politiche di rigore imposte” dalla Ue. Ha, cioè, “nazionalizzato” movimenti locali e risentimenti “nazionali e (anti) europei.

Se osserviamo la mappa dei risultati ottenuti alla Camera su base provinciale, questo aspetto appare ancor più evidente. Il M5S, infatti, è il primo partito, per numero e percentuale di voti, in cinquanta province. Il Pd in quaranta. Il PdL in diciassette (quasi tutte nel Sud). La Lega in una sola: Sondrio. La forza elettorale del M5S si sviluppa un po’ dovunque. Nelle Isole, nel Mezzogiorno, nel Centro e nel Nord. Tra l’altro, primeggia nelle province adriatiche fra la Romagna e le Marche (oltre all’Abruzzo e al Molise). Ma anche a Livorno. E nel Nordest. In altri termini: nelle province (un tempo) rosse e in quelle leghiste. Il M5S, dunque, ha “nazionalizzato” il comportamento elettorale non solo perché ha una geografia nazionale, ma anche perché ha eroso le basi dei partiti più definiti su basi territoriali. Il Pd, erede dei partiti di sinistra e, in particolare, del Pci. Ma soprattutto la Lega. Il Sindacato del Nord.

Tuttavia, i percorsi politici del nostro Paese non procedono mai in modo lineare. Così, proprio oggi, o meglio, ieri, Roberto Maroni, leader della Lega, è stato eletto governatore della Lombardia. Successore di Formigoni. Il che sottolinea un singolare e significativo paradosso. La Lega, infatti, oggi è al governo delle tre Regioni più importanti del Nord. Le più rilevanti in Italia, dal punto di vista delle attività produttive. Le più europee”, sul piano della proiezione economica. La Lega ha, dunque, realizzato la Padania. Senza i padani. Visto che gli elettori, nel frattempo, hanno “ridotto” la Lega a un partito minore”. Superato, nelle province padane, dal Pd e dal M5S. In un paio di casi dal PdL. Dovunque. Salvo che a Sondrio.

La Lega, in questo modo, rilancia l’asse del Nord, sul quale ha costruito la propria biografia politica e il proprio successo elettorale. Proprio mentre i partiti si stanno de-territorializzando. Incalzati da un nuovo soggetto — e fenomeno — politico, il M5S, “nazionale”. Composito e plurale. Ma senza radici e senza identità locali che lo ancorino e lo specifichino. Uno strano paradosso che conferma la frattura prodotta da queste elezioni. Che hanno reso visibili cambiamenti profondi, in atto da tempo. Non ce n’eravamo accorti prima. Ma siamo solo allinizio.