Prima il lavoro. Intervista a Luciano Gallino
Intervista a Luciano Gallino di Sara Farolfi, da sbilanciamoci.info
micromega - online del 22 luglio 2013
Per uscire dalle secche della crisi va riportata in cima 
all'agenda politica la piena occupazione. Perchè avere un lavoro è più 
importante che avere un reddito e la perdita del lavoro, in termini tanto 
sociali quanto personali, può infliggere danni maggiori della povertà stessa.
Redistribuzione del lavoro e redistribuzione del 
reddito: è possibile conciliarle? Sul dibattito lanciato da Sbilanciamoci.info 
sul tema del reddito minimo garantito abbiamo interpellato il sociologo Luciano 
Gallino, professore emerito, già ordinario di Sociologia, all'Università di 
Torino.
Lo slogan più diffuso al momento è: più crescita per rilanciare 
l'occupazione. A parte il fatto che si dice ma non si fa, pensa che sia vero o 
ritiene che il problema occupazionale abbia anche dei caratteri strutturali non 
eliminabili da una ripresa del ciclo economico?
In generale si parla di crescita come un tempo si parlava del 
flogisto, termine medievale che indicava una sostanza imponderabile circolante 
ovunque e capace di compiere miracoli. Nove persone su dieci, tra quelle che 
parlano di crescita, non sanno di cosa parlano. Se non corredato di indicazioni 
precise, infatti, il termine crescita non significa nulla, o addirittura può 
essere fuorviante perchè per esempio la crescita può essere anche legata 
all'aumento dei profitti finanziari. Io penso che sia meglio parlare di 
qualcos'altro, e, per restare alla domanda posta, credo che una misura 
realistica di buon funzionamento economico dovrebbe essere il tasso di 
occupazione e quello di attività.
Il dibattito aperto da Sbilanciamoci.info si è polarizzato tra 
interventi a favore del "lavoro di cittadinanza" e interventi per il "reddito di 
cittadinanza": quale ritiene che sia, tra le due, la strada da intraprendere?
Privilegerei la creazione di occupazione diretta. Riportare in 
cima all'agenda politica la prassi e l'idea di piena occupazione è una questione 
prioritaria. Il fatto è che la terminologia stessa di “piena occupazione” è 
stata rimossa dall'ideologia neoliberale. A partire dal dopoguerra, e per i 
primi vent'anni, il concetto è stato in primo piano, poi è scomparso. Persino 
nel Trattato Europeo l'espressione “piena occupazione” ricorre una sola volta e 
non come fine statutario ma come esito auspicabile di mercati efficienti. È 
paradossale. Detto questo, una prassi di piena occupazione non collide con un 
progetto di reddito di base, ma va detto che le due cose hanno due pesi 
differenti perchè avere un lavoro è più importante che avere un reddito e la 
perdita del lavoro, in termini tanto sociali quanto personali, può infliggere 
danni maggiori della povertà stessa.
Pensa che la proposta di legge di iniziativa popolare sul reddito 
minimo garantito, consegnata alla Camera il 15 aprile, abbia buone probabilità 
di aprire una strada diversa alla tutela del reddito in Italia?
Ne dubito molto, anche perchè il governo in carica è un governo 
di destra che applica le indicazioni, di destra, che provengono da Bruxelles, e 
più in generale dalla Trojka. Una proposta di legge di questo tipo difficilmente 
potrà trovare ascolto e spazio. A mio avviso uno degli aspetti più interessanti 
della legge è il riordino delle prestazioni assistenziali. La sostituzione della 
dozzina di prestazioni, oggi previste, con un unica forma di sostegno al reddito 
potrebbe avere un effetto positivo e sarebbe auspicabile. Naturalmente questa 
unica forma di sostegno al reddito dovrebbe avere un carattere universale ma 
variabile in base ai livelli di reddito e alle condizioni familiari, come 
previsto anche dalla proposta di legge.
Chiedere interventi per un “lavoro di cittadinanza” significa 
porre come obiettivo di politica economica la creazione di nuovi posti di lavoro 
da parte dell'amministrazione pubblica per ottenere una “piena e buona 
occupazione”, cosa ne pensa?
Preferisco parlare, come ha fatto recentemente anche la 
Commissione Europea, di job guarantee. E se persino la Commissione europea 
scopre la “piena occupazione” forse è segnale che è arrivato il momento di fare 
qualcosa.
Chiedere un reddito minimo garantito significa fissare di fatto 
un salario minimo al quale il soggetto beneficiario è disposto a prestare il suo 
lavoro. Non costituirebbe un argine ai processi di precarizzazione del mondo del 
lavoro?
Nutro molti dubbi in proposito perchè i rapporti di lavoro 
precari non riguardano l'entità della retribuzione ma la possibilità di usare il 
lavoro esattamente come si usano ricambi e componentistica nei servizi. Il 
principio che si è affermato prima nella produzione e poi nel mercato del lavoro 
è quello del “giusto in tempo”. La flessibilità è figlia di questa idea e non 
penso che pagando qualcosa in più o in meno le cose possano cambiare. È 
sull'organizzazione complessiva della produzione che bisogna intervenire.
Cosa pensa di proposte che vogliono connettere la redistribuzione 
del reddito nella forma di una garanzia universale e una redistribuzione del 
lavoro attraverso l'espansione di forme contrattuali a tempo ridotto?
Penso che siano linee di difesa di secondo e terzo piano, mentre 
oggi sarebbe meglio concentrarsi su quelle di primo piano. Negli ultimi 
trent'anni abbiamo assistito a una gigantesca redistribuzione del reddito dal 
basso verso l'alto: questa è un'enorme questione politica che andrebbe 
affrontata attraverso gli strumenti legislativi, il potenziamento dei sindacati 
e del contratto nazionale.
Pensa che politiche di sostegno al reddito come quelle di cui 
abbiamo parlato siano sostenibili o che richiedano una rimodulazione della 
politica fiscale nel suo complesso per il loro finanziamento?
Una rimodulazione delle politiche fiscali sarebbe comunque 
necessaria perchè, come ho detto, le politiche fiscali hanno ridotto le entrate 
e favorito soprattutto l'aumento delle disuguaglianze. Però è necessario fare 
due conti: con 15 miliardi di euro si potrebbero creare posti di lavoro, in un 
anno, per 1 milione di persone, mentre destinando la stessa somma al reddito 
garantito non si coprirebbe una popolazione altrettanto numerosa e non si 
avrebbe quell'effetto moltiplicatore sull'economia che il creare occupazione 
produce.