Nella Torino a 5 stelle, la famiglia diventa plurale. Clericali all'attacco
Giampaolo Petrucci
Adista Notizie n° 27 del 23/07/2016
38626 TORINO-ADISTA.
Paese che vai, Movimento che trovi. Se infatti durante la campagna elettorale
nella “Città di Pietro” l'attuale sindaca Virginia Raggi ha dovuto fare i
salti mortali per accreditarsi presso l'elettorato cattolico e di destra,
scrollandosi goffamente di dosso l'immagine di candidata “Lgbt friendly” – con
la cancellazione dal programma delle pagine dedicate ai diritti del mondo gay e
con la clamorosa buca rifilata al Gay Village di Vladimir Luxuria e Imma
Battaglia (v. Adista Notizie 24/16) – nel capoluogo piemontese (altra
fondamentale roccaforte espugnata dal Movimento 5 Stelle con i ballottaggi del
17 giugno), se il vento è davvero cambiato, il fatto potrebbe appare più
evidente. A distanza di sicurezza dal Cupolone, infatti, la sindaca Chiara
Appendino ha tranquillamente partecipato con fascia tricolore, in prima fila
e a testa alta, alla parata del Torino Pride, dicendosi persino «onorata». Ma il
primo grande scossone della nuova municipalità sul tema c’era stato pochi giorni
prima, il 3 luglio, quando la pentastellata ha cambiato il nome dell'assessorato
alla Famiglia, declinandolo al plurale (“alle Famiglie”) e mettendo alla sua
guida Marco Alessandro Giusta, fino al giorno prima presidente di Arcigay
Torino con un curriculum di militanza di tutto rispetto nel mondo Lgbt. «Un atto
politico – ha commentato il 3 luglio scorso al Corriere della Sera l'assessore
freschissimo di nomina – che consiste nel dare un nome alle cose, a quelle
realtà che già esistono e che non trovano un riconoscimento nemmeno nel
linguaggio». Il nuovo corso, promette Giusta, non coinvolgerà solo l'ambito di
lavoro specifico riguardante la sua delega alle Famiglie, ma pervaderà tutta
l'amministrazione. È infatti sua intenzione introdurre il linguaggio inclusivo
in tutti gli atti e i documenti dell'amministrazione municipale che riguardano
la vita delle famiglie torinesi (anche i fogli di iscrizione all'asilo nido, in
cui verosimilmente comparirà la dicitura “genitore 1 e genitore 2”, considerata
dalle destre cattoliche una sorta di punto di non ritorno verso l'abisso
morale).
Una scelta, dunque, pluralista, inclusiva delle realtà familiari omosessuali e
di fatto, in linea con i tempi e, soprattutto, laica. Tanto da far infuriare in
un colpo solo la Curia torinese, i cattolici del Pd e quel mondo cattolico
tradizionalista che sulla famiglia “naturale” – quella formata da un uomo e una
donna, aperta alla vita, ecc. – ha condotto crociate piuttosto animate, sui
territori e nel Paese, come il “grande” Family Day romano.
«Le forme nominalistiche o ideologiche», scrive il direttore de La Voce del
Popolo, settimanale della diocesi torinese, in un editoriale pubblicato lo
scorso 8 luglio, «spesso nascondono obiettivi diversi». Secondo Luca Rolandi,
“portavoce” delle preoccupazione dei vescovi della città, «se la vita è
relazione e da questa relazione si riproduce vita, resta il fatto ontologico per
il quale la famiglia è composta da un uomo e una donna». Con questa «discutibile
modifica al vocabolario del Comune», dunque, la Giunta Appendino intende
«omologare tutte le forme di relazione», «senza distinguere». Diverse le accuse
mosse dalla Curia all'operazione: innanzitutto, Rolandi sottolinea che
«l’iniziativa torinese perde di vista il dettato costituzionale» sulla famiglia
uomo-donna (art. 29); poi, accusa la sindaca di essersi spinta ben oltre le
intenzioni della Legge Cirinnà, che concede diritti alle coppie gay ma non
annulla «le specificità delle situazioni»; infine, trattandosi della prima e
sbrigativa mossa dell'amministrazione, si chiede il direttore, «perché non
ascoltare la città, quanto meno il Consiglio comunale, prima di procedere con un
passo di così grande rilievo simbolico, oltre che amministrativo?».
Se il radicale ed ex vicecapogruppo del Partito Democratico torinese, Silvio
Viale, ha accolto con favore la decisione di rendere famiglia al plurale,
definendola «il primo atto anticlericale di Appendino» – «l'unico rammarico», ha
poi aggiunto, «è che non sia stato fatto prima, perché si è dato retta troppo
alla Curia» – la consigliera comunale cattodem Monica Canalis ha
depositato un'interpellanza contro la neoeletta sindaca, dal titolo: “Famiglia o
Famiglie, la scelta non è Chiara”. Canalis – dalla quale i colleghi di partito
hanno presto preso le distanze – parla di una «forzatura giuridica che viene
realizzata attribuendo lo status di famiglia anche alle persone conviventi di
fatto e alle unioni civili omosessuali» e accusa Appendino di aver addirittura
superato a sinistra la Legge Cirinnà, la quale definisce le unioni gay
«specifiche formazioni sociali distinte dalla famiglia fondata sul matrimonio».
In molti poi, incalza la cattodem, hanno votato la candidata 5 stelle «senza
sapere che il suo primo atto sarebbe stato questo: chiedo quindi che venga
chiarito e detto esplicitamente».
Nessun dubbio per l'associazione ProVita Onlus: secondo la definizione Treccani,
«lo scopo della famiglia (almeno potenzialmente) è la “perpetuazione della
specie mediante riproduzione”» e quindi «la famiglia è una e soltanto una,
quella del diritto naturale». «Cambiando le parole, si plagiano e trasformano le
menti, fin dalla più tenera età, piegandole all’ideologia del totalitarismo
arcobaleno». La famiglia è una sola, incalza l'associazione: «Questa è la
realtà. Il resto è ideologia, chiacchiera, menzogna e violenza». E «da questo
modo di ragionare sono nate solo sciagure: il terrore giacobino, i gulag
sovietici, i lager nazisti».