Chiara
Saraceno:
«Sto
diventando
più
radicale,
in
Italia
serve
il
reddito
di
base»
intervista
a Chiara Saraceno
a cura di Roberto
Ciccarelli
“il
manifesto”
del 1 maggio
2016
Chiara
Saraceno, sociologa
e autrice
del
libro
«Il lavoro
non basta»
(Feltrinelli)
ha raccontato
di essere
stata
pagata
con un voucher
per una lezione.
«Credevo
di essere
un’eccezione,
ma
ho scoperto
di non essere
l’unica
tra chi
fa ricerca
– afferma
– Non ho certo
il
profilo di
chi lavora
con
i
voucher.
Quando è successo ero già
in pensione.
Il voucher
non è
solo
una forma
leggera
di lavoro
nero, ma
è anche una
forma di
elusione
fiscale
non voluta
dal lavoratore.
Legalmente
il
denaro guadagnato
con i voucher
è esente
da tasse e
quindi
è conveniente.
Il dramma
è che questo
strumento
è diventato
la nuova frontiera
del
lavoro, non
solo
a tempo,
ma
precarissimo.
Non era stato
pensato
così all’epoca
della
riforma
Biagi.
Allora
c’era
la positiva
intenzione
di fare
emergere
il
lavoro nero e
assegnare
un minimo
di contributi
ai
lavoratori
molto
occasionali.
Il caso classico
è la studentessa
che fa
la baby
sitter
o chi fa
il
commesso fa
il
commesso
nei negozi
per poche ore.
Oggi
invece
è diventato
una forma per
passare
al nero
al grigio.
Al datore
di
lavoro può convenire
pagare un po’
in voucher,
un po’
in nero. Se
in
un cantiere
c’è un
incidente,
può sempre
dire
che
quel giorno
l’incidentato
lavorava
con il
voucher.
Pensato per
essere
usato
per picchi
produttivi,
questo buono viene
usato per
pagare normalmente”.
La tracciabilità
dei voucher
proposta
dal governo
contrasterà questo
fenomeno?
Non
credo. Con
la
tracciabilità
si dovrà dichiarare
in anticipo
per chi e
per quante
ore è stato
usato.
Ma questo non esclude
che poi ci
sia
il
nero: che si
dichiari
cioè di
avere pagato
con voucher per duemila
euro per un
tot
di numero
di ore. Il
lavoratore
potrà essere
costretto
a lavorarne
altrettanto
in nero. È
importante
che si facciano
più
controlli.
Il sindacato
dovrebbe essere molto
più
attento.
I voucheristi
sono molto
ricattabili.
Se denunciano,
nessuno li
riassume.
Il
voucher
inaugura
una nuova
epoca del precariato?
La
diffusione
abnorme
di questa
forma
di pagamento
tutto
sommato
marginale
è dovuta
alla
capacità
dei datori
di
lavoro di
sfruttare
ogni possibilità
dei contratti
per fregare i
lavoratori.
Non vale
per tutti
naturalmente.
Accadde
lo stesso
con i cocopro.
Il progetto
in questione
è diventato
il fine,
e non
la causa,
per fare questi
contratti.
Risultato:
esistono
persone che hanno
lavorato
con un cocopro per
anni. Soprattutto
per
lo Stato
italiano.
Oppure nei
consultori
dove si può
avere
lo
psicologo
solo se ci
si inventa
un progetto.
Questo progetto
serve a giustificare
un lavoro
di routine.
È passato
del tempo
dalla
riforma
dei contratti
a termine,
un aspetto non
molto
citato
del Jobs
Act. Qual
è il
bilancio?
È
assolutamente
contraddittorio
rispetto
al contratto
a tutele
crescenti.
Un lavoratore
può essere contrattualizzato
a
termine
e rinnovato
fino
a cinque
volte.
Resterà
sempre
precario
con il
terrore che
non sia
rinnovato.
Se è fortunato
può avere un contratto
a tutele
crescenti
dove continuerà
a essere
precario.
Questo diventa
un periodo
di prova allungato
smisuratamente
fino a otto
anni.
Il lavoro diventa
una corsa ad ostacoli,
senza contare
che è
molto
più facile
licenziare
oggi.
La maggioranza
dell’occupazione
prodotta
è data dal rinnovo
dei contratti
e riguarda
gli
over
50. Come
si spiega
questo andamento?
Da anni tutti
gli
interventi
sul lavoro
insistono
sul lato
dell’offerta
per rendere i
lavoratori
più flessibili
e meno
costosi.
In italia
abbiamo
il
problema
opposto:
quello
della
domanda
di
lavoro e
imprese
non competitive
che non
sono
in
grado di stare
sul
mercato
internazionale
e non investono
su quello
nazionale.
I governi potranno
tagliare
il
costo della
forza-lavoro
perché un’impresa
assuma.
Ma se non c’è una
vera ripresa
e le
imprese
non diventano
più
efficienti,
questo non
avverrà.
La politica
del governo
Renzi
va in
questa direzione?
Assolutamente
no, Sostengono
che dipende
dal
mercato
e che
la
politica
non c’entra
nulla.
Hanno erogato
miliardi
di incentivi
alle
imprese
a fondo perduto,
senza
chiedere
una contropartita
in nuova
occupazione.
Che
cos’è
il
lavoro
povero
oggi?
Ci sono due
tipi
di lavoro
povero. I voucheristi
e chi
prende un salario
molto
al di
sotto
del salario
minimo
sono lavoratori
poveri su base
individuale.
Poi
ci sono i
lavoratori
poveri su
base familiare.
L’Italia
è uno dei
paesi
in cui
questo fenomeno
è più
diffuso.
La
quota
di famiglia
monoreddito
è molto
elevata,
non c’è sostegno
all’occupazione
femminile,
in particolare
per le
donne con meno
istruzione
e carichi
familiari
pesanti,
non esistono
servizi
né trasferimenti
adeguati
e universali
per il
costo
dei figli.
Dal sistema
sono esclusi
anche gli
autonomi
poveri e i
disoccupati
di lungo periodo.
E pensare che
i fondi
del bonus
sugli
80 euro potevano
servire per
una seria riforma.
Solo con quelli
del bonus bebé
si poteva
sottrarre
dalla
povertà
un’ampia
quota di
famiglie.
Il
presidente
dell’Inps
Tito Boeri
sostiene che
chi è nato negli
anni Ottanta
lavorerà
fino
a 75 anni
e avrà una pensione
minima.
Che
mondo
ci
aspetta?
Ho
simpatia
per Boeri
e concordo con
le sue paure.
Mi preoccupa
di più
un’altra
parte del
suo discorso:
il poco reddito
che hanno i
giovani
oggi. È
vero che non matureranno
i contributi
per la pensione,
ma
non hanno un redditto
sufficiente
per fare la
loro vita
oggi,
per farsi una
famiglia
se vogliono. Se
li
mettessimo
nelle
condizioni
di una vita
decente,
creando un orizzonte
temporale
per pensarsi e fare
progetti,
forse la situazione
migliorerà.
“. Se invece
li
costringiamo
a inseguire
spezzoni
di lavoro e
terrorizzandoli
dicendo
che non avranno
una pensione,
mi
sembra
che sprecheranno
le
loro energie.
Mi preoccupa
questo
perché anch’io
ho figli
che hanno già
questa carriera
frammentata
alle
spalle.
Oltre
ai giovani
ci sono anche
i 40enni.
È sempre
convinta che
la soluzione
sia
il
reddito
minimo?
Sto
diventando
più radicale.
Il lavoro
buono per tutti
non è dietro
l’angolo,
forse
bisognerà cominciare
a pensare a
una garanzia
di reddito
di base universale
che si
può dare sotto
forma
di imposta
negativa,
una misura
che in
Italia
non esiste
ancora, si
rende conto?
Il reddito
potrebbe essere
uno degli
strumenti
per non essere ricattati
e inventarsi
cose che noi
anziani
non abbiamo
ancora pensato.
Per quanto
riguarda
le pensioni
è chiaro
che prima
o poi si
dovrà pensare
a una pensione di
base. È dalla
riforma
Dini
del 1995 che
si sa come
sarebbe andata
a finire
la
flessibilità.
E’
stata
fatta
una riforma
fordista
mentre
il
mercato
del
lavoro cambiava
in
tutt’altro
senso. Già allora
si sapeva che
una quota
di persone
non avrebbero
mai
maturato
la
storia
contributiva
per avere una pensione
decente.
Perché
non è stato
fatto
nulla da allora
per rimediare?
La
preoccupazione
era di
mettere
in sicurezza
il
sistema
senza pensare
a cosa sarebbe
successo dopo.
Adesso è
evidente,
molto
evidente.
Non è proprio
possibile
pensare che un
muratore,
un camionista,
una maestra
lavorino
fino a 75 anni.
Sono fantasie.
Le diseguaglianze
iniziano
ad affermarsi
nelle
speranze di
vita:
tanto
più si
lavorerà peggio,
prima
si
morirà.
Un tempo
lavorare fino
a 75 anni era considerato
un privilegio.
Nella
mia
generazione
questo
valeva
per i
professori universitari,
i giudici,
i vescovi
o i medici.
Non era
un obbligo,
anzi
gli
altri
che andavano
in pensione
a 60 anni
avrebbero voluto
lavorare
di più.
È vero che
la
vita
si è allungata,
ma
il corpo non
è più
la
cosa che era
prima.
La
resistenza
fisica,
e
la
lucidità
si appannano.
Dagli
anni
Settanta
in poi,
il
rischio
povertà
tra gli
anziani
è andato
diminuendo.
Hanno
iniziato
a
lavorare
di più,
ad avere storie
contributive
continuative,
sono stati
tutelati
meglio
dal sistema
previdenziale
che si è rafforzato
in
tutto
il
mondo.
Oggi ci
stiamo
nuovamente
avviando
verso una condizione
dove una quota
di anziani
sarà di nuovo
a rischio
povertà,
mentre
sta
aumentando
la
povertà
dei minori
e delle
famiglie
con minori.
Questo problema
non lo si
può risolvere
restando
più a
lungo
al lavoro.
Con le
carriere
interrotte
e i salari
bassi nessuno
riuscirà
a farsi
una pensione
decente.
E non riuscirà
ad avere i
fondi per
una pensione
integrativa.
Ai voucheristi
come
si fa a dire
di farsi
una pensione
integrativa,
se non sono sicuri
di avere
un lavoro
domani?
Dovranno risparmiare
per l’oggi
e non avranno risorse
da investire
per il
domani.