“IlFattoQuotidiano.it”
del 27 aprile 2016
Purtroppo, ma era prevedibile, è arrivata la
prova del nove: la
speranza di vita in Italia nell’ultimo anno è calata e
tutto sembra indicare che questa tendenza sia destinata a proseguire nel tempo.
Dopo i
dati dell’Istat che
certificava nel 2015 ben 54.000
decessi in più del 2014,
dopo i dati Ocse che mostravano un grave e veloce calo della qualità della vita
degli ultra 65enni dovuto al peggioramento delle condizioni di salute, dopo
l’allarme di Altroconsumo che documentava come nell’ultimo anno circa il 40%
delle famiglie italiane ha rinunciato ad almeno una delle cure necessarie per
tutelare la salute dei propri componenti, è arrivata oggi la pubblicazione dei
risultati di una ricerca “Osservasalute”
condotto dall’osservatorio sulla Salute delle regioni. Lo studio, coordinato da Walter
Ricciardi,
certamente non sospetto di essere un pericoloso estremista, né per essersi mai
distinto nella critica all’attuale governo, conferma per il 2015 sul 2014, un
calo della speranza di vita per gli uomini da
80,3 a 80,1 anni e
per le donneda
85,0 a 84,7.
Le ragioni di tale situazione non sono particolarmente difficili
da identificare.
Innanzitutto i
tagli delle risorse destinate alla sanità che
sono diminuite dell’1% all’anno negli ultimi tre anni: ad esempio tra il
personale, a causa del blocco del turnover,
nel 2013 ogni 100 dipendenti andati in pensione i nuovi assunti sono stati 85,6 e
nel 2012 il numero era ancora più basso raggiungendo solo il 68,9%.
Inoltre la disponibilità di posti letto nel 2014 era per gli acuti del 3,04 per
1000 abitanti e dello 0,58 per mille per lungodegenze e riabilitazione, numeri
decisamente inferiori a quelli previsti dalla legge.
Ma il vero scandalo che ci colloca negli ultimi posti tra i
Paesi Ocse è quel 4,1% (dato
del 2013) della spesa sanitaria destinata allaprevenzione.
Non è necessario essere laureati in Medicina per capire che il modo migliore per
spendere meno in sanità è fare di tutto per diminuire il numero di coloro che si
ammalano. Ma è altrettanto semplice comprendere come la possibilità di
guadagnare attraverso appalti
“aggiustati”, mazzette, tangenti e riconoscenze varie da
amici degli amici è molto più alta nella medicina curativa, che nelle campagne
di prevenzione da realizzarsi a cominciare dalle scuole e finalizzate a
modificare gli stili di vita. Da una campagna contro il fumo è più difficile
(nulla è impossibile nel nostro Paese) che qualcuno tragga guadagni illeciti o
finanziamenti “formalmente leciti” per le proprie fondazioni, finanziamenti
generosamente elargiti invece dai colossi del tabacco. Poco importa che le morti
per patologie ischemiche del cuore aumenti costantemente fino a superare il
12% dei decessi totali (dati 2012).
Certo anche da una
campagna di prevenzione all’Aids alcune
agenzie di comunicazione sono state capaci di trarre profitti illeciti, ma nulla
in confronto ai guadagni stratosferici delle multinazionali farmaceutiche che
producono antiretrovirali e che grazie all’inerzia di chi ci governa aumentano
ogni anno il numero dei loro clienti affezionati di 4.000
unità.
Se per fare una mammografia è
necessario attendere dei mesi e se poi si deve aspettare ancora altri mesi, come
denunciato anche da
Walter
Bergamaschi direttore
generale uscente dell’assessorato alla Sanità della regione Lombardia,
per poter sottoporsi all’intervento eventualmente necessario non è complicato
comprendere come ne risenta la diagnosi precoce in un ambito nel quale il tempo
incide fortemente sulla prognosi, ossia sull’evoluzione della malattia.
A meno che…
A meno che il soggetto in questione non disponga di risorse economiche tali da
permettergli di rivolgersi alle strutture
privatee
di acquistare salute e anni di vita. Ed infatti in questi ultimi anni la
condizione economica torna ad essere un determinante fondamentale della salute;
il divario tra ricchi e poveri nel poter accedere alle cure e quindi nel godere
di buona salute, che si era ristretto grazie alla conquista nel 1978 del Servizio
Sanitario Nazionale universale,
ha rincominciato ad allargarsi significativamente. Così come sono specularmente
aumentati ovunque, dalla Lombardia alla Sicilia, passando per il Lazio, i
guadagni dei proprietari di cliniche private spesso non sconosciuti ai gestori
del potere politico.
Il recente decreto cosiddetto sull’appropriatezza degli esami
diagnostici,
soprattutto in assenza di precisi percorsi di formazione rivolti ai medici,
rischia di trasformarsi in un ulteriore ritardo nella diagnosi di varie
patologie amplificando le nefaste conseguenze sopra descritte.
La tutela della nostra salute si scontra quindi con i continui tagli dei
finanziamenti destinati alla sanità, ma anche con politiche tese a privilegiare i
forti interessi privati presenti
nel campo della salute e certamente più interessati a dispensare cure a caro
prezzo a chi può permettersele piuttosto che a garantire una vita sana.