Alla ricerca di Dio

 

Presentazione del libro di Vito Mancuso “Dio e il suo destino”

 

Di don Franco Barbero

 

Sbobinatura e  adattamento  non rivisti dall’autore

 

In “cdb informa” n° 63 maggio 2016

 

 

“ Quando Rabbi Isac Meir era un bambino, qualcuno gli chiese: “Isac Meir ti do un fiorino se mi dici dove abita Dio”. Ed egli rispose:”E  io ti do due fiorini se mi sai dire dove non abita.                                                                                                                                    Martin Buber “I racconti dei chassidim”

 

Quando si presenta un libro, evidentemente c’è sempre l’opinione di chi lo presenta, poi ognuno leggendolo, si farà un’idea sua.  Mancuso fa lo sforzo di ragionare sul presente dell’umanità e del cristianesimo e cerca d’immaginarsi il futuro. L’autore inizia con una espressione simile a quella di Hans Kung nel suo libro “Salviamo la Chiesa” e scrive: “Io come teologo mi metto a fare il chirurgo perché il cristianesimo e la Chiesa sono malati moribondi”

Ho trovato in questo libro una grande fede e, al di là delle riserve che mi permetterò di sollevare sul piano biblico e teologico, devo dire che mi sono trovato in una profonda sintonia.
Vito Mancuso crede che il cammino delle religioni sia un cammino permanentemente valido, ma che, ad iniziare dalla Bibbia, abbiamo spesso scritto e parlato male di Dio.

All’inizio del libro trovate questa riflessione: dobbiamo prendere atto del fatto che nel mondo di oggi non “respiri più Dio. La nuova generazione non ha più Dio nell’aria, non è più il campanile il centro del paese, nella grande città il centro commerciale è molto più importante della parrocchia. Bisogna prendere coscienza della situazione in cui siamo ed è inutile girare la faccia dall’altra parte: è di qui che bisogna partire.

 

Tutto il testo è attraversato dalla critica ad un “immaginario di Dio”,denominato Deus, che è l’aspetto metafisico, provvidenzialista della divinità (“non muove foglia senza che Dio non voglia”), autoritario, violento, patriarcale, nazionalista, che largamente troviamo nei due Testamenti e che l’autore evidenzia e seleziona in modo esauriente in due corposi capitoli. Di Deus assoluto metafisico e del suo ego debordante,  dittatoriale, noi dobbiamo liberarci e riscoprire Deum: il Dio della misericordia, della compagnia, quello che in alcune pagine del N.T. viene definito: “Dio come spirito, luce, amore”.

E’compito di una teologia responsabile prendere congedo e riscattare il Divino da questi immaginari oppressivi e violenti, che continuano però nella predicazione e nella dogmatica ad essere sovrani. Ecco l’aspetto che a lui preme: vuole liberare Dio da questa pesante imbrigliatura che gli abbiamo messo. Il fatto che all’interno delle varie tradizioni ci sia una fiorente ricerca e posizioni aperte dà speranza.

 

Mancuso passa poi a criticare alcune tendenze della modernità che parlano di abbandonare ogni discorso religioso e accontentarsi di una generica spiritualità. Se pur si parlasse anche male di Dio, però in qualche modo si viveva, negli aspetti positivi e negativi, una relazione! Ora questo legame è stato trasferito con le cose. Noi cristiani siamo consapevoli di questo fenomeno?

Leggo a pagina 45: “ per non essere infatti un’evasione dalla vita reale, la fede in Dio che crede nel compimento futuro dell’ideale del ben -giustizia deve assumere qui e ora la forma della cura delle ferite della vita, o più radicalmente dalla ferita che è la vita”. Molto interessante questo discorso della ferita, perché una parte del pensiero moderno dice: “Dio non solo non è necessario, ma è completamente superfluo, nel senso che non c’è n’è più nessun bisogno”. Mancuso dice no, l’umanità, l’antropologia più vera che il cristianesimo e l’Islam ci hanno trasmesso, ma anche l’antropologia in generale dicono che noi siamo feriti. E’ la nostra una vita che ha questa antinomia: il bene e il male, e noi siamo feriti, anzi lui dice addirittura che sono Dio e la creazione ad essere feriti. E continua: “se io credo in Dio e cerco di coltivare la vita spirituale è anche per questo, per il bisogno di essere curato dalla ferita della vita.(…)  Ritengo che le religioni siano sorte principalmente per questo e che il loro senso più importante consista nella cura, non a caso la missione dei preti cattolici era designata tradizionalmente cura animarum e il prete era il curato”. La ferita è la contraddizione tra bene e male, è la realtà che è dentro questa antinomia; siamo sempre lì che dobbiamo scegliere e non possiamo fare i dualisti: chi sceglie il bene, chi sceglie il male. Siamo dentro questo processo, tutta la realtà è coinvolta. E prosegue: “Chi è per me Dio? Credo nell’esistenza di un principio trascendente rispetto al mondo in cui tutto viene e tutto ritorna, credo in questo principio tradizionalmente denominato Dio, sorgente, destino della mia come di tutte le altre esistenze, dalla cui ricerca al fine di esserne unificati è nata la spiritualità. Credo che questo principio sia buono, giusto intelligente, amico della vita, libero, e che abbia creato questo mondo al fine di generare la sua immagine e somiglianza in ciascuno di noi(…) Il fatto che dalla polvere primordiale sia scaturita la mente e la sua possibilità d’intelligenza e libertà, e che sia scaturito il cuore e la sua possibilità di cura e di tenerezza, e che sia scaturito il desiderio di legare questa mente e questo cuore alla sorgente primordiale da cui provengono e in cui torneranno, è ciò che, a mio avviso rende ancora plausibile la «Quaestio Deo»”. L’autore continua dicendo che non si può proclamare la trascendenza assoluta di Dio e dimenticare che lui è anche il Dio vicino, immanente, presente come animatore e fondamento dell’essere. Lo dice in termini filosofici, noi potremmo dire con Atti 17,28: In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”. Questo concetto, perché non venga confuso, viene ripetuto molte volte. Quindi non solo non cede al paradigma post-religioso ma coniuga sempre trascendenza e immanenza in una terminologia che a volte è un po’ spessa filosoficamente ma, restituita poi teologicamente, è molto importante per il pensiero moderno. Perché noi o siamo catturati dall’immediato o tendiamo ad evadere verso il cielo.

 

 Molto bella a pag. 35 e seguenti la sua confessione di fede “Io credo in Dio, ma da anni il modo in cui ne parla il cattolicesimo, religione nella quale sono stato educato e che ho studiato a lungo, mi lascia sempre più insoddisfatto (…)Credo in Dio, ma non più nel Dio della mia religione così come viene professato nella dottrina ufficiale della Chiesa cattolica. In particolare non credo più nel Dio del credo (…)qualcuno mi dice non sei più cattolico, forse ma io credo di esserlo ancora anche cristiano dato che a mio avviso ciò che rende cristiani non sono le dottrine confessate a parole ma lo stile di vita condiviso. Gesù non ha insegnato teologia dogmatica, sono altri ad aver costruito dogmi su di lui, Gesù ha insegnato a vivere all’insegna dell’amore e della giustizia, e alla fine del discorso della montagna ha dichiarato: “Non chiunque mi dice Signore! Signore! Entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio ”.

 

Molto belli i capitoli dove Mancuso analizza l’immagine del divino, che lui chiama Deus, presente nel Primo Testamento, le scritture ebraiche, e nel Secondo Testamento, le scritture cristiane. 

Parte dalla contraddittorietà dei Salmi che parlano della relazione con Dio: è vero che Egli è impersonale, ma noi ci rivolgiamo a lui come ad una persona ed il rapporto con il Tu di Dio è un rapporto personale. I salmi sono un atto di confidenza, di fiducia, ma poi ci sono i salmi della violenza, i salmi del popolo eletto, ci sono aspetti pesantemente ideologici e violenti. Il Deus che ha distrutto gli egiziani, che ordina lo sterminio dei popoli sconfitti, trasmette un’immagine violenta di Dio che è assimilata dalla gente. L’autore analizza tutti i lati oscuri, senza dimenticare che anche Deus in Osea, in tante altre parti, ha degli aspetti positivi. Però lui dice: è questa ideologia tragica che ha poi dato alle Chiese la possibilità di costruire una catechesi, una predicazione, una dogmatica fondata su un Dio onnipotente, dal potere arbitrario, dittatore metafisico, che punisce gli uni e premia gli altri, agli uni destina il bene agli altri il male. Dobbiamo dire che queste cose sono purtroppo vere. Noi, che nei nostri gruppi biblici siamo abituati a utilizzare la contestualizzazione storica, il metodo storico critico, possiamo più facilmente leggere i salmi senza scandalizzarci troppo. Però, lui dice, bisogna guardare apertamente questa parte della Bibbia che porta molte persone, che non hanno gli strumenti interpretativi adatti, a rifiutarla totalmente.

Passa poi ad analizzare il Deus presente nel Secondo Testamento ed anche qui le sorprese non mancano e rompe qualche tabù. “Gesù era pienamente ebreo anche dal punto di vista teologico, Gesù non era cristiano: il che significa che il suo Dio, e di conseguenza il Dio di tutti i libri del NT, è per buona parte ancora la figura che io denomino Deus. Ciò significa anche che la costruzione della Trinità avvenuta nel IV secolo non trova legittimazione nell’esperienza spirituale di Gesù? E’ evidente che essa deve essere ricondotta all’elaborazione teologica successiva iniziata con l’apostolo Paolo e con l’autore del Vangelo di Giovanni” (…) Gesù pensava, sbagliando, che il regno di Dio si sarebbe compiuto da un giorno all’altro mettendo fine alla storia; e pensava che in tale avvento del regno divino il suo ruolo avrebbe avuto un’importanza fondamentale, in quanto egli probabilmente si identificava con la misteriosa  figura di”figlio dell’uomo” di cui aveva parlato Daniele”(…)Fino all’inizio del IV secolo la qualifica di Dio era generalmente riservata solo a Yhwh e al Padre; i testi che parlano di Gesù come Dio sono eccezioni che vanno trattate come tali, mentre non vi sono testi biblici che parlano dello Spirito Santo come di una persona divina”. E’ sconcertante e non si riesce a capire come, dopo tutto questo, lui continui a parlare, in altre parti del libro, in termini di Gesù Dio, figlio di Dio, ontologicamente Dio, Trinità. Non si capisce se lo fa tentando una mediazione con l’istituzione o se sia ancora in bilico tra le due concezioni. Dopo la sua critica serrata, Mancuso termina la Parte su Gesù e il NT dicendo: “Occorre aggiungere però che annunciando Deus Gesù ne approfondisce gli aspetti positivi. Il suo detto sull’amore per i nemici, i suoi detti non violenti: porgere l’altra guancia, dividere il mantello, fare più strada di quanta richiesta, la sua dedizione verso i malati e gli esclusi, il rifiuto di reagire con violenza al momento dell’arresto e soprattutto lo stile con cui ha affrontato la tortura e la morte prefigurano un nuovo paradigma concettuale mediante cui pensare il divino: non più l’onnipotenza ma il bene”p. 196 -

Per il nostro percorso di studio e ricerca sui due Testamenti non sono cose del tutto nuove: Gesù non ci dice tutto di Dio non lo esaurisce; di Lui nessuna tradizione dice tutto, nessun profeta, nessuno esaurisce il suo mistero. Ma nel suo cuore questa consapevolezza c’era certamente: “perché mi chiami buono, nessuno è buono se non Dio”. Aveva questa consapevolezza perché pregava Dio e adorava il suo mistero. Sono belle queste pagine, molto feconde per la nostra lettura. Perché è chiaro che anche Gesù ha avuti dei limiti, non è uscito interamente dalla categoria “premio - castigo - retribuzione”, aveva la categoria sapienziale, ma anche quella apocalittica. Ha preso un grande abbaglio, diceva Barbaglio nel suo libro “Gesù ebreo di Galilea”, prevedendo che il regno di Dio fosse imminente. Pensava che ci fosse bisogno un giudizio finale. Questo non toglie nulla a Gesù. Per chi non ha mai pensato che egli sia la totalità, la carta d’identità di Dio, è chiaro che il pensiero, la strada, la vita e la sua testimonianza, per noi così normativa, così importante e centrale, non sono la fotografia di Dio. Gesù è una trasparenza per noi, ma non è la trasparenza totale, è imago, immagine, una via che conduce al padre. Lui cercava Dio quando  pregava e quando cerchi non possiedi: se sei un ricercatore esamini solo sempre dei frammenti. Sono poi i Concili che hanno fatto di Gesù un’altra cosa. Il nostro compito, se adoriamo il mistero di Dio, è di renderlo bello. Non sempre ci siamo riusciti; la stessa Bibbia, le stesse tradizioni religiose, in realtà, hanno causato un ateismo, una fuga dal divino. Ma non è per accusare chi ci ha preceduto, è la storicità, la relatività. Prendere sul serio questo non vuol dire essere contro. Quando in nome della tradizione vieni accusato di essere contro la tradizione, in effetti sei semplicemente contro il tradizionalismo. La tradizione è un mare aperto, un oceano vitale, pensate alla tradizione cristiana: ha certo avuto le sue intemperie, le sue banalizzazioni, le sue violenze, ma ha avuto molti punti fecondi. 

 

 Nel libro non c’è mai un cedimento al qualunquismo ed al nichilismo. Mancuso si cimenta con la ricerca, a pag. 346 scrive: “Si tratta di pensare un essere di cui non c’è né sentore né esperienza possibile, che nessun uomo ha mai visto né mai rimanendo uomo vedrà, inconcepibile perché sfugge allo spazio e al tempo, cioè alle condizioni a priori senza le quali non vediamo altro che vuoto, un essere quindi del tutto al di là, totalmente altro; e però insieme un essere che è principio di tutte le cose, nel senso che tutte le cose prendono origine da lui e sono destinate a confluirvi, padre-madre dell’essere e quindi per nulla totalmente altro, e, se non proprio della stessa sostanza, per lo meno analogo rispetto agli enti, visto che provengono da lui. Si tratta di pensare un essere che è assente da ogni cosa che conosco, perché se dico “eccolo qui” ho un idolo, non Dio; e che insieme è presente in ogni cosa che conosco, perché se dico “questo ente non ha nulla a che fare con Dio” tolgo a Dio il carattere dell’universalità e del suo essere il creatore di tutte le cose: si tratta cioè di coniugare la prospettiva della somma trascendenza con quella altrettanto importante della somma immanenza.” E’ una confessione di fede molto bella. Nella predicazione bisogna portare questo che è filosofico sul piano ermeneutico, non abbandonarsi al Deus provvidenzialista che è sempre presente, per risolvere i nostri dubbi, ma nemmeno al Dio che è talmente assente che le cose non sono la sua “epifania”, che non riesce a far emozionare il nostro cuore. Occorre coniugare queste due cose, Dio vuole che noi entriamo in dialogo con lui.

 

Mancuso ribadisce che Dio è insieme, impersonale perché non lo puoi chiamare col volto di Carlo, Giuseppina ecc., ma che noi non possiamo riferirci a Lui che sentendolo personale. Abbiamo usato la parola persona perché non avevamo di meglio ed allora noi, per parlare con Dio, ci rivolgiamo a lui e lo chiamiamo persona, quindi dice: io sono una persona che parla a una persona, in senso metaforico. L’autore sostiene che dentro la tradizione cristiana c’è effettivamente una grande capacità dialogica: in tutti i tempi dell’esperienza cristiana, mistica o appassionata per la giustizia, si è sempre ritenuto di parlare con Dio. Noi abbiamo bisogno di darci un immagine, non possiamo parlare con una pietra o con una radice secca. Per cui Mancuso se la prende, ma in modo molto amabile, con coloro che vorrebbero togliere da Dio il riferimento personale: “Se non voglio rinunciare al più di essere che la vita contiene devo pensare il divino, la trascendenza, affermo ciò in contrapposizione all’ateismo nichilista. Pensando il divino se non voglio rinunciare alla dimensione spirituale dell’essere, devo pensare un Dio personale, tale da rispecchiare in sé quella dimensione dell’essere che nel fenomeno umano si chiama coscienza, libertà, che a mio avviso sarebbe poco coerente riscontrare nell’umanità e non attribuire alla più perfetta dimensione dell’essere detta divinità. Pensando Dio quindi lo devo pensare come personale e dotato di volontà etica, affermo ciò in contrapposizione all’ateismo spirituale nichilista.” Qui c’è una parte di elaborazione e una parte della sua fede. Il linguaggio è quello del “panenteismo”: significa che Dio è presente in tutto il creato, nello stesso tempo è irriducibile al creato ed è totalmente altro; in tutte le cose c’è una presenza misteriosa di Dio, c’è un Dio presente. Per Mancuso il “Dio realtà primaria è il cuore del mondo, ciò che appassiona la realtà secondaria e che la porta ad evolvere e ad intessere relazioni sempre più complesse fino ad assumere la consapevolezza di tutto ciò e riprodurre concretamente la logica dell’amore. Dio realtà primaria fa muovere il processo del mondo attraendone energia.” Dio fa muovere il processo stando sia fuori sia dentro questa è la sua concezione della teologia… devo dire che è la concezione della teologia della creazione.

E’ comunque sicuro e possibile relazionarci a Dio in modo personale, c’è tutta la storia della spiritualità occidentale a mostrarlo, anzi dobbiamo dire che in un certo senso è doveroso rapportarci a Dio in modo personale intendendo con ciò la relazione più profonda che a noi è possibile istituire. Il che significa relazionandoci a Dio non dobbiamo spogliarci della nostra umanità ma potenziarla al massimo facendo scaturire da essa le sue note più belle quelle della dedizione personale della comunicazione più intima e sincera ed è così che dobbiamo e possiamo parlare con Dio” Questo è un po’ il suo orizzonte, la sua preoccupazione, anche la sua speranza. Se noi, come dice il Secondo Testamento, in Lui ci muoviamo, viviamo, esistiamo allora è possibile un altro “volto di Dio”, quello delle citazioni di Vincent Van Gogh presenti nelle pagine iniziali del testo: "Per me, quel Dio degli uomini di chiesa è morto e sepolto. Ma sono forse ateo per questo? Gli uomini di chiesa mi considerano tale - ma io amo, e come potrei provare amore se non vivessi e se altri non vivessero? E nella vita c'è qualcosa di misterioso. Che venga chiamato Dio, o natura umana, o altro, è cosa che non riesco a definire chiaramente, anche se mi rendo conto che è viva e reale, e che è Dio o un suo equivalente". E di Pierre Teilhard de Chardin: “La chiesa continuerà a declinare finché non si sottrarrà al mondo fittizio della teologia verbale, del sacramentalismo quantitativo e delle devozioni eteree di cui ama circondarsi, per tornare a incarnarsi nelle reali aspirazioni umane. Nessuna considerazione di alcun genere, lo sento, potrà farmi recedere da questa linea. Nulla al mondo per me conta di più di questa causa: salvare lo spirito e la verità. Ora non posso sfuggire all'evidenza che è giunto il momento per il senso cristiano di "salvare Cristo" dalle mani del clero affinché il Mondo si salvi”