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Il patto scellerato contro i diritti

di Chiara Saraceno

 “la Repubblica” del 25 gennaio 2017

Sacrificati sull’altare di un possibile compromesso sulla legge elettorale e della rincorsa populistica,

ancora una volta i bambini e ragazzi figli di migranti nati e cresciuti in Italia devono rinunciare a

poter acquisire la cittadinanza italiana senza dover attendere il compimento della maggiore età.

Il progetto di legge già approvato alla Camera oltre un anno fa sembra definitivamente insabbiato al

Senato. Rimandato nei lunghi mesi della campagna referendaria, fermo alla Commissione Affari

costituzionali per l’opposizione di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, nel disinteresse dei

Cinquestelle, ora sembra diventato, merce di scambio per l’accordo sulla legge elettorale. Renzi,

che da segretario del Pd e presidente del Consiglio aveva, all’inizio del mandato e prima di entrare

nel girone infernale della riforma costituzionale, ne aveva fatto uno dei fiori all’occhiello del suo

programma, non solo lo ha lasciato al suo destino, non si oppone (per non pensare il peggio) che

venga scambiato per ciò che ora gli sta più a cuore: arrivare alle elezioni il più presto possibile, a

costo di rimandare sine die una legge di civiltà. Con grande felicità della Lega, che in questo modo

coglie due piccioni con una fava — elezioni subito e contrasto duro ai migranti, inclusi quelli che

migranti non sono perché nati e cresciuti qui. Un successo che saranno la Lega e gli altri partiti di

destra a sbandierare nelle elezioni prossime-future come difesa dell’italianità rispetto all’odiato

straniero. E l’intero iter legislativo dovrà ricominciare da capo, rendendo inutile il lungo processo di

mediazione e i molti compromessi restrittivi che avevano portato alla legge approvata alla Camera.

Nel frattempo, i ragazzi nati e cresciuti qui, o arrivati da piccoli e andati a scuola qui, dovranno

continuare a vivere da stranieri nel Paese che conoscono meglio, in cui vanno a scuola e di cui

parlano la lingua a volte meglio di quella del Paese dei loro genitori. Stranieri in casa propria,

verrebbe da dire, in bilico tra due mondi cui per motivi diversi non sono pienamente appartenenti:

l’Italia, perché rifiuta di riconoscerli come propri cittadini, il Paese d’origine, perché lo conoscono

solo in via mediata.

Esclusi dall’appartenenza, dovranno anche stare attenti a non fare passi falsi nella lunga attesa della

maggiore età. Se i genitori, come sta capitando in questi anni di crisi, li mandano temporaneamente

a vivere con i nonni nel Paese d’origine, rischieranno di perdere il diritto ad accedere a una corsia

privilegiata per ottenere la cittadinanza una volta divenuti maggiorenni. A differenza dei loro

coetanei italiani, non potranno partecipare a scambi culturali che prevedono mesi all’estero, perché

ciò potrebbe inficiare il requisito della residenza ininterrotta in Italia. Se non in possesso di un

documento di identità del Paese d’origine (cosa difficile per i rifugiati, ma anche per molti migranti

economici), non potranno recarsi all’estero con la loro classe.

È davvero paradossale che un Paese che ha tra le maggiori preoccupazioni per la propria tenuta da

un lato la fecondità ridotta, dall’altro la presenza crescente di stranieri portatori di culture diverse,

getti via, per un calcolo politico di breve periodo, una opportunità per affrontarle entrambe

seriamente. Deludendo sistematicamente le attese legittime di una giovane generazione di stranieri e

dichiarandone implicitamente ed esplicitamente l’irrilevanza, si aliena la fiducia di chi potrebbe

concorrere sia agli equilibri demografici, sia alla costruzione di una società più integrata e meno

divisa in gruppi non comunicanti.

L’unico modo che hanno il Pd e il suo