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 “Il cosmo come rivelazione”. La teologia di fronte alle scoperte della scienza

 

da  www.micromega.net del 3/5/2018

 

 

Misurarsi e misurare la teologia cristiana con le nuove scoperte della scienza: è questa la sfida cui tenta di rispondere il volume Il cosmo come rivelazione. Una nuova storia sacra per l’umanità (seguito ideale del libro Oltre le religioni. Una nuova epoca per la spiritualità umana) appena dato alle stampe dalla Gabrielli Editore. Curato dalla giornalista Claudia Fanti e dal teologo José María Vigil, il libro raccoglie gli interventi di alcuni dei più noti teologi al mondo: José Arregi, Leonardo Boff, Ivone Gebara, Manuel Gonzalo, Diarmuid O'Murchu (oltre che un intervento dello stesso Vigil). Di seguito, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo uno stralcio del testo di José Arregi.

Il credo dinanzi alle scienze. Appunti per una teologia credibile

di José Arregi

Spirito “e” materia?

La tradizione occidentale greco-cristiana, filosofica e religiosa, è stata chiaramente dualista, intendendo il mondo, e soprattutto l’essere umano, come composto da due elementi: materia e spirito, la materia come massa inerte e lo spirito come autocoscienza indipendente dalla materia. Le scienze, specialmente la fisica e la biologia, non permettono più di conservare questa visione dualista ancora tanto radicata.

Lo sguardo alla realtà nelle culture antiche, ancora vive in molte tradizioni, non era dualista. È noto il detto diffuso tra indù, tupi-guaraní e pellerossa: «Lo spirito dorme nella pietra, sogna nel fiore, sente nell’animale e sa di sentire nell’essere umano». La pietra non è inerte, immobile, fredda. È abitata. Ha anima, o spirito. Ma questo linguaggio continua a essere dualista. La “materia” e lo “spirito” non sono due. E non sono neppure uno. Forse sono due manifestazioni della stessa realtà. O forse due costruzioni della nostra immaginazione. La pietra e l’acqua e anche l’aria e la luce, apparentemente così immateriali, sono atomi e molecole, sono materia. Ma cosa significa “materia”? La materia è energia, dice la fisica, ma allora domandiamo: cos’è l’energia, che abbiamo sempre immaginato come qualcosa di ben diverso da ciò che intendiamo per materia? Cos’è questa energia invisibile, inaccessibile, intangibile? E perché c’è energia? Perché tutto si muove e gira ordinatamente? E perché questa gravità che mantiene uniti, quasi amorosamente, l’atomo e le galassie, e come è possibile, allo stesso tempo, che l’Universo si espanda vertiginosamente? Perché tutto è come è? Cos’è? Perché è come è? Non lo sappiamo; neppure le scienze lo sanno, ma quello che vediamo, sappiamo e ignoriamo ci riempie di meraviglia e di emozione.

[…]. L’essere umano vive, sente, soffre, gioisce e pensa – per quanto ottuso sia ancora il suo pensiero –, e ama – per quanto rudimentale e fragile sia ancora il suo amore –. “Ha un’anima oltre il corpo, uno spirito oltre la materia”, si diceva prima, ma non possiamo più parlare in questi termini. L’essere umano è, interamente, tanto materiale quanto la pietra e l’acqua e l’aria, quanto la pianta e l’animale. I nostri pensieri e le nostre emozioni, la paura e la tenerezza affiorano dalla materia come la musica e i colori. Siamo interamente materia, ma materia complessa che si manifesta e si esprime in forme che definiamo spirituali e che emergono da ciò che chiamiamo materia. Ma anche questo è un modo di dire, considerando che, come abbiamo visto, la materia è energia, pura forza, dynamis, quasi diremmo “spirito”. In fondo, nulla assomiglia più allo spirito di ciò che chiamiamo materia; e nulla è più materiale di ciò che chiamiamo spirito. Non esiste lo spirito puro separato dalla materia, qualunque sia la forma che adotti questa materia. Non esiste la pura materia, poiché questa è dinamismo, movimento, forza, potenza, possibilità, pura possibilità aperta a nuove inimmaginabili forme.

Alcuni scienziati, soprattutto fisici, affermano che la mente e la materia sono estensioni di una stessa realtà fondamentale intesa come una specie di Mente o Coscienza transpersonale (David Bohm, Carl Friedrich Von Weiszäcker, Fritjof Capra, Paul Davies, Hans-Peter Dürr, Bruce Rosemblum, Fred Kuttner…), di cui le nostre coscienze individuali sarebbero una partecipazione o un riflesso. In questo modo, si continua forse a utilizzare ancora un linguaggio troppo dualista. La materia e lo spirito non sono due elementi autonomi, né due componenti di una realtà unica, né due modi di essere della stessa realtà. Quello che chiamiamo materia è interamente spirito, per quanto la si veda come massa. Quello che chiamiamo spirito è interamente materia, per quanto la finezza di questa materia non sia visibile ai nostri occhi.

Il binomio materia-spirito ci sta allora assolutamente stretto. […].

Quanto detto presuppone il superamento radicale non solo della dicotomia naturale/soprannaturale – che fortunatamente sembra essere scomparsa dalla discussione teologica, dopo aver occupato il centro del dibattito negli anni ‘40 e ‘50 del XX secolo –, ma anche della contrapposizione naturale/artificiale, che ancora continua a essere pienamente presente nel discorso della gerarchia cattolica, in particolare per ciò che riguarda temi legati alla vita e alla sessualità: contraccettivi, fecondazione assistita, omosessualità… La natura non conosce essenze compiute e chiuse, ma inventa senza sosta e ciò che è “superiore” sorge incessantemente dall’“inferiore”; la nostra cultura, così come tutte le religioni, la “fede” e la “rivelazione” vengono dalla natura che siamo e che è sempre aperta a nuove forme, animata da un dinamismo trascendente. Il nuovo che emerge è imprevedibile, quasi sempre unico, e sempre irriducibile rispetto a quella realtà (“materia”, “matrice”) da cui emerge, ma tutto ciò che è nuovo, imprevedibile e irriducibile emerge da “qualcosa di materiale” o “matriciale”.

L’essere umano al centro?

Circa 10mila anni fa, la nostra specie umana Homo sapiens smise di vivere esclusivamente della caccia e dei frutti offerti dalla Madre Terra e iniziò a coltivare la terra, imparando a seminare e a piantare alberi. Fu un’ammirevole invenzione, un enorme passo avanti della civiltà, ma non esente da pericoli. Gli esseri umani si fecero signori e padroni della terra, ma anche servi e sudditi gli uni degli altri. Con l’agricoltura, l’essere umano acquisì potere sugli altri esseri della terra considerandosi a tutti superiore e applicando la logica del dominio e della subordinazione alle relazioni sociali e a tutte le istituzioni, compresa la religione. L’Universo venne inteso come un’enorme piramide: sopra i cieli, scaglionati in numero di sette, sotto gli inframondi ugualmente scaglionati, e la terra al centro, con gli esseri umani come cuore della terra e signori di tutte le creature, ma sudditi gli uni degli altri e tutti sudditi di Dio, il signore supremo.

La cultura occidentale è la più antropocentrica di tutte le culture. E la religione giudaico-cristiana è la più antropocentrica di tutte le religioni. Il racconto biblico della creazione è un bellissimo poema, ma in esso troviamo cose che oggi non risultano più così belle e che richiedono una rilettura e una reinterpretazione radicale, come, per esempio, laddove si dice che Dio creò per primo Adamo, l’uomo, e poi Eva, la donna, come se questa fosse inferiore a lui e gli dovesse obbedienza e sottomissione; o laddove Dio dice ad Adamo ed Eva: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gn 1,28).

Il cristianesimo ha esaltato ancor di più la dignità e la centralità dell’essere umano nel cosmo, considerando che, secondo il suo dogma centrale, Dio si è incarnato in un essere umano, non in una pietra, in una pianta o in un animale; e si è incarnato in un uomo, un maschio (con conseguente deduzione, da parte di molti teologi, che, se Dio non si è incarnato in una donna, qualcosa vorrà pur dire: ragionamento assurdo che serve loro, di passaggio, per giustificare ancora oggi l’ingiustificabile discriminazione della donna). Nella sua predicazione e nella sua prassi Gesù ha smantellato il sistema patriarcale, ma l’istituzione cristiana in questo, neppure in questo, lo ha seguito.

Quanto stretti risultano oggi questi schemi piramidali che hanno bisogno di mettere un vertice e un centro in ogni cosa! La Terra come centro e vertice del cosmo, l’essere umano – o, meglio, l’uomo – come centro e vertice della Terra, il cristianesimo come centro e vertice di tutte le religioni, la Chiesa di Roma come centro e vertice di tutte le Chiese, l’Europa come centro e vertice di tutte le culture. Tanta ingenuità sarebbe stata divertente, se non avesse arrecato tanto danno.

La fisica e la biologia ci hanno definitivamente tolto dal centro e ci hanno legato fraternamente a tutto ciò che è, a tutto ciò che vive. Ci raccontano che esistono circa duemila miliardi di galassie – dieci volte di più di quanto si pensasse fino a poco fa – in questo cielo luminoso e nero senza fondo, e tra 200 e 400 miliardi di stelle nella nostra galassia, e pianeti che girano intorno a ogni stella. Abbiamo perso il conto, la misura e la vista, ma tutto risulta così ancor più meraviglioso, misterioso, mistico. E sono sempre più numerosi gli scienziati che ritengono che vi siano pianeti in cui la vita ha potuto evolvere tanto o più che sulla Terra, forse in maniera assai diversa.

In ogni caso, né la Terra è il centro del sistema solare, né il Sole è il centro della Via Lattea, né la Via Lattea è il centro dell’Universo. Ogni galassia, ogni stella, ogni pianeta, ogni organismo, ogni essere è un centro, ma nessun essere è il centro assoluto. Neppure l’essere umano è il centro e il culmine dell’evoluzione della vita sul nostro pianeta. […].

Discendiamo da una fusione di batteri, condividiamo gli antenati con gli scimpanzé e con essi abbiamo in comune il 99% del nostro Dna. Abbiamo chiamato noi stessi Homo sapiens, ma non siamo neppure il centro e il culmine della vita umana; non siamo la prima specie umana e non saremo sicuramente l’ultima. […].

Dio al di là di dualismo e monismo, di teismo e ateismo

Lo chiamiamo “Dio”, ma non è un nome che rinchiude, né è l’unico nome. I musulmani lo chiamano Allah, il Compassionevole, il Misericordioso. Gli ebrei lo designano con il Tetragramma (JHWH: “Io sono”, “Io sarò”) che nessuno deve mai pronunciare. In India lo conoscono come Brahman, al di là del noto e anche dell’ignoto, di ciò che è e anche di ciò che non è. I buddisti lo denominano Shunyata, Vacuità, perché non ha alcuna forma condizionata, per quanto non sia fuori dalle forme: tutti gli esseri sono forme cangianti, ma il loro vero essere è la vacuità di tutte le forme. I cinesi, millenni fa, lo chiamarono Dao, ma avvertendo che “il Dao che può essere espresso non è il Dao eterno, e il Nome che può essere pronunciato non è il Nome eterno”.

“Dio” non è la spiegazione ultima, ma il nome del Mistero ultimo. Né il credente ha bisogno di un Dio che spieghi alcunché, bensì di un Mistero da contemplare e adorare, in cui essere e sentirsi infiniti e indenni, “al sicuro”. Dio non spiega nulla, ma è il Mistero del mondo, Mistero inesplicabile di bellezza e amore nel quale siamo, la nostra essenza ultima e la nostra vocazione suprema.

Quando diciamo “Dio” non spieghiamo cosa sia il mondo né perché esista, ma riconosciamo che tutto è un miracolo inesplicabile, e quanto più avanzano le scienze tanto più grande appare l’enigma legato al fatto che tutto sia come è o che tutto semplicemente sia. Lo sguardo si illumina e il cuore si commuove. La Realtà, nella sua fonte e nella sua profondità, si rivela a chi così la contempla bella e buona, bellezza che trascina e tenerezza che accoglie, luce e consolazione in mezzo a tutti i dolori, balsamo che cura e invito a curare, a provvedere.

Riguardo a questa Realtà Ultima o Prima, il Mistero del mondo, le scienze non affermano né negano alcunché, ma, questo sì, impongono al nostro linguaggio un certo quadro di coerenza e ragionevolezza, se vogliamo dire qualcosa che non sminuisca il Mistero.

Nella tradizione occidentale, a eccezione delle diverse correnti mistiche, abbiamo immaginato Dio come separato dal mondo e al di sopra di esso, come Soggetto personale separato da tutti i soggetti personali, “Dio dei cieli”, Ente Supremo, Sovrano dell’Universo, Saggio Disegnatore e Architetto del mondo, provvidente Principio Ordinatore di tutte le cose, Giudice giusto e misericordioso. Secondo questa visione “teista”, Dio e il mondo sarebbero due e anche Dio e l’essere umano. Ma pensare in questi termini significa cadere in un dualismo grossolano, inaccettabile per qualunque filosofia o teologia mistica. «In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo», disse Paolo nell’Areopago di Atene (At 17,28), ispirandosi al poeta greco Epimenide, del VI secolo a.C. “Dio” è in tutti gli esseri e tutti gli esseri sono in “Dio”.

È chiaro che la soluzione al dualismo teista non può essere la sua antitesi correlativa, il monismo “panteista” secondo cui “Dio” e il mondo sono una cosa sola, come se tutto fosse “Dio” o “Dio” fosse la somma di tutte le cose. Dio o la Realtà ultima e il mondo non sono due ma nemmeno uno. Dio o la Profondità del Reale non è né dentro né fuori dal mondo. Dio non è dicibile né localizzabile. Non è possibile applicargli il nostro schema mentale di spazio o di tempo, né di numero o di genere.

Non possiamo immaginare né credere in un “Dio” a immagine e somiglianza dell’essere umano, “personale”, con una psicologia umana: qualcuno che ascolta e risponde, che si offende e si riconcilia, che sceglie ed esprime preferenze, che si rivela agli uni e si nasconde agli altri, che perdona o castiga, che cura gli uni e lascia morire gli altri… Non possiamo credere nel “Dio” dei miracoli intesi in maniera tradizionale come eventi che rompono le leggi della natura tramite un intervento divino particolare (e arbitrario).

Questo “Dio” Ente Supremo, Causa esplicativa della realtà, fondamento dell’ordine e della morale, sovrano garante dei valori, del bene e del male, è una creazione umana. Nietzsche annunciò la sua morte nel pensiero; non lo uccise lui, non essendo mai esistito; ne constatò la scomparsa, presentandone il certificato di morte nella filosofia metafisica occidentale, la quale ha funzionato, come segnalò Kant, come onto-teologia, cioè come spiegazione di ciò che è a partire da un Ente Supremo necessario. Nella prima metà del XX secolo, i teologi della morte di Dio e, pertanto, della religione teista (W. Hamilton, Th. Altizer, P. van Buren, G. Vahanian, H. Kox, J. A.T. Robinson, P. Tillich, D. Bonhöffer…) hanno preso nota di questo trascendentale avvenimento culturale, ma la loro linea di pensiero non ha avuto continuità. Oggi torna a farsi sentire la necessità di una teologia transteista, al di là del teismo tradizionale e dell’ateismo moderno.

Cos’è allora Dio al di là della sua immagine teista-personale e al di là della sua mera negazione atea associata al positivismo dogmatico? Non sappiamo dirlo. Ci restano soltanto immagini insufficienti: Dio sta al mondo come il Tutto sta alla somma delle parti, come il Fondo o la Fonte di tutte le forme, l’Essere degli esseri, la Creatività dell’Universo (Alfred N. Whitehead, Stuart A. Kauffman), la Bellezza di tutto il bello, la Bontà di tutto il buono, la Comunione di tutti gli esseri, l’Io di ogni tu e il Tu di ogni io o il Noi misterioso del tu e dell’io, la Vita di tutti i viventi, la Memoria cosmica in cui vivono tutte le “forme” o “anime” di tutti i morti, o l’Informazione universale, o l’Anima del mondo, o la Coscienza dell’Universo, o la tenerezza degli amanti.

(3 maggio 2018)